1.1 IL MATRIMONIO
2 Santità del Matrimonio cristiano
289 I pastori devono
prospettare per il popolo cristiano una vita beata e perfetta, perché
potrebbero anch'essi auspicare quel che l'Apostolo diceva di desiderare,
scrivendo ai Corinzi: "Voglio che siate tutti come me" (1 Cor 7,7),
cioè che tutti seguissero la perfetta castità. Che cosa infatti di più alto ci
può essere, per i fedeli quaggiù, di un riposo permanente dello spirito che non
sia distratto da nessuna cura con ogni carnale libidine debellata nell'amore
della devozione e nella meditazione delle celesti verità? Ma poiché, secondo la
frase del medesimo Apostolo, ciascuno riceve un proprio dono da Dio (chi in un
modo chi in un altro), mentre il Matrimonio stesso è accompagnato da così
grandi e soprannaturali beni da essere annoverato veramente e propriamente fra
gli altri sacramenti della Chiesa cattolica e da meritare che il Signore
santificasse con la sua presenza una cerimonia nuziale (Gv 2,2), appare
evidente l'opportunità di parlarne. Tanto più che san Paolo (Rm 7,2, 1 Cor 7;
Ef 5,22; Col 3,18) come il principe degli Apostoli (1 Pt 3,1) in più luoghi
hanno scritto intorno alla dignità e agli obblighi del Matrimonio. Illuminati
dal divino spirito, essi comprendevano gli insigni vantaggi che possono
ridondare sulla società cristiana, qualora i fedeli conoscano bene e rispettino
la santità matrimoniale e i danni e le calamità che invece possono piombare
sulla Chiesa, qualora la ignorino e la trasgrediscano.
Si devono quindi spiegare
anzitutto la natura e i doveri del Matrimonio, perché spesso i vizi assumono
l'apparenza dell'onestà e occorre badare a che i fedeli, ingannati da un falso
concetto del Matrimonio, non finiscano con il macchiare l'anima in turpi
libidini.
Per mostrare meglio la cosa,
cominceremo dall'esaminare il significato dei termini.
"Matrimonio"
è una denominazione che deriva dal fatto che lo scopo principale per cui la
donna deve andare a nozze è quello di divenire madre; oppure perché è
particolare ufficio della madre concepire, partorire ed educare la prole.
"Coniugio" poi
deriva da "coniugare", in quanto la moglie legittima è sottoposta al
medesimo giogo con il marito. Infine il vocabolo "nozze", come dice
sant'Ambrogio (De Abr., 1, 9), sorge
dalla circostanza che le fanciulle solevano velarsi per pudore e pare che si
accennasse anche al dovere che esse fossero sottomesse e obbedienti ai loro
mariti.
3 Definizione del Matrimonio
290 Questa è la definizione,
secondo il parere concorde dei teologi: "II Matrimonio è l'unione maritale
dell'uomo con la donna, contratta fra persone legittime, che implica una
inseparabile comunanza di vita".
Affinché si possano meglio
comprendere le varie parti della definizione, si deve far notare che, sebbene
il Matrimonio comprenda il consenso interno, il patto espresso esternamente con
la parola, l'obbligo e il vincolo che ne scaturiscono e l'accoppiamento dei
coniugi, con cui il Matrimonio è consumato, pure nulla di ciò costituisce
l'essenza del Matrimonio, che consiste propriamente nell'obbligazione e nel
vincolo reciproco, espresso dal vocabolo "unione".
Si aggiunge il qualificativo
"maritale", perché le altre convenzioni con cui si obbligano uomini e
donne a prestarsi scambievole assistenza, in base a compenso o per altra
ragione, sono del tutto estranee alla natura del Matrimonio.
È detto poi "fra persone
legittime", perché coloro che le prescrizioni legali escludono
perentoriamente dalle nozze non possono contrarre Matrimonio e, se lo
contraggono, è invalido. Per esempio chi è legato da parentela dentro il quarto
grado, o il giovanetto prima del suo quattordicesimo anno e la giovanetta prima
del dodicesimo (età fissata dalle leggi) non sono idonei a stringere validi
vincoli nuziali.
L'ultima clausola,
"costituisce un'inseparabile comunanza di vita", spiega la natura del
vincolo indissolubile che lega marito e moglie.
Da ciò risulta che la natura
e il valore del Matrimonio consistono in questo vincolo. Se le definizioni di
altri illustri scrittori sembrano riporle nel consenso, dicendo, per esempio,
che il Matrimonio è il consenso dell'uomo e della donna, ciò va inteso nel
senso che il consenso è la causa efficiente del Matrimonio, come insegnarono i
Padri del Concilio Fiorentino, non potendoci essere obbligo e vincolo
reciproco, se non in virtù di un consenso o contratto.
È assolutamente necessario
che questo consenso sia espresso con parole al tempo presente. Infatti il
Matrimonio non è una semplice donazione, ma un patto scambievole; non può
dunque bastare all'unione matrimoniale il consenso di uno dei due coniugi, ma
deve essere mutuo. Ora è evidente che a esprimere il mutuo consenso dell'animo
sono necessario le parole. Se il Matrimonio potesse sorgere dal puro consenso
interiore, senza alcun segno esterno, quando due persone lontanissime
consentissero nel progetto di Matrimonio, sarebbero subito strette in vincolo
matrimoniale, anche prima di manifestare per lettera o per interposta persona
la loro volontà; ciò è del tutto difforme dalla ragione, dalla consuetudine e
dalle leggi della santa Chiesa.
Inoltre abbiamo detto che il
consenso deve esprimersi con parole indicanti il tempo presente e giustamente,
perché quelle che indicano il futuro non uniscono il Matrimonio, ma lo
promettono. Quel che è futuro evidentemente non esiste ancora e quel che non
esiste non ha stabilità e concretezza; perciò non possiede ancora diritto
coniugale sulla donna chi promette semplicemente di prenderla in moglie, ne
sempre l'adempimento segue subito la promessa, sebbene chi promette debba
osservare la parola data e, se non lo faccia, incorra nel reato di fede
violata. Invece chi si unisce con il vincolo matrimoniale, pur pentendosi poi,
non può mutare o annullare quel che ha fatto.
Siccome l'obbligo coniugale
non è una pura promessa, ma una cessione, per la quale l'uomo trasmette
realmente la potestà sul proprio corpo alla donna e questa a lui, ne segue
necessariamente che il Matrimonio deve essere contratto con parole al presente,
la cui forza perdura dopo che sono state pronunciate e lega indissolubilmente
marito e moglie. Al posto però delle parole possono bastare alla validità del
Matrimonio gesti e segni che indichino nettamente il consenso intimo e lo
stesso pudico silenzio della fanciulla, quando parlino per essa i suoi
genitori.
In complesso i parroci
insegneranno ai fedeli che l'essenza e la forza del Matrimonio risiedono nel
vincolo e nell'obbligazione e che posto il consenso, espresso nel modo
indicato, non è necessario l'accoppiamento perché il vero Matrimonio sussista.
Infatti i nostri progenitori, prima del peccato, quando ancora nessun contatto
carnale era intervenuto tra loro, come i Padri riconoscono, erano già congiunti
in vero Matrimonio. Perciò i Padri affermano che il Matrimonio consiste nel
reciproco consenso, non già nella copula, come anche sant'Ambrogio ripete nel
suo scritto intorno alle Vergini (6,1).
Dopo ciò il parroco spiegherà
che il Matrimonio presenta due aspetti; si può infatti considerare come unione
naturale (l'accoppiamento infatti non è una istituzione umana, bensì un fatto
naturale), o come sacramento, la cui forza oltrepassa lo stato delle realtà
naturali. E poiché la grazia perfeziona la natura e lo spirituale non è prima
dell'animale, ma viceversa, la logica vuole che si tratti prima del Matrimonio
nel suo aspetto di fatto naturale e poi di ciò che lo riguarda come sacramento.
4 Istituzione e finalità del Matrimonio
291 Anzitutto i fedeli siano
istruiti sulla verità che il Matrimonio fu istituito da Dio. Scrive la Genesi:
"Dio li creò maschio e femmina e li benedisse, dicendo: "Crescete e
moltiplicatevi" ". E poi: "Non è bene che l'uomo sia solo:
facciamogli un essere simile a lui, che lo aiuti". E poco dopo:
"Adamo non aveva ancora un aiuto simile a lui.
Mandò dunque il Signore Dio
un invincibile sonno ad Adamo e quando si fu addormentato, gli estrasse una
costa, la circondò di carne, trasformandola in donna, e la consegnò ad Adamo, il
quale disse: "Ecco dunque, ossa delle mie ossa e carne della mia carne;
sarà chiamata Virago, poiché è stata tratta dall'uomo". Perciò l'uomo
lascerà suo padre e sua madre, si unirà a sua moglie e saranno due esseri in
una sola carne (Gn 1,27; 2,18-24). Queste parole, confermate dallo stesso
nostro Signore in san Matteo (19,6), mostrano come il Matrimonio sia istituito
divinamente.
Dio però non si limitò a
istituirlo, ma, secondo le definizioni del santo Concilio di Trento, lo rese
vincolo perpetuo e indissolubile. Per questo il Salvatore sentenziò:
"L'uomo non osi dividere quel che Dio ha congiunto" (Mt 19,6).
Già al Matrimonio, come
semplice fatto naturale, conveniva che non potesse mai sciogliersi, quantunque
tale proprietà rampolli soprattutto dalla sua natura di sacramento; esso
infatti per tutte le sue proprietà naturali raggiunge la più alta perfezione. A
ogni modo ripugna già all'esigenza dell'educazione dei figli e agli altri beni
matrimoniali la dissolubilità del vincolo.
Le parole poi del Signore
"Crescete e moltiplicatevi" mirano a delucidare le cause
dell'istituto matrimoniale, non già a imporre un obbligo a tutti e singoli gli
uomini.
Ormai il genere umano si è
tanto accresciuto che non solamente non sussiste legge che obblighi ciascun
uomo a contrarre Matrimonio, ma appare invece singolarmente raccomandata la
verginità, consigliata nella Scrittura come stato superiore al Matrimonio,
dotata di maggiore perfezione e santità. Insegnò il Salvatore: "Chi può
capire, capisca" (Mt 19,20). E l'Apostolo ammonì: "Non ho da
comunicare un esplicito precetto del Signore intorno ai vergini: ma lo dò come
un consiglio, per restar fedele alla misericordia ottenuta dal Signore" (1
Cor 7,25).
Si devono anche spiegare le
ragioni dell'unione matrimoniale.
La prima è rappresentata da
quella associazione, voluta dall'istinto naturale dei due sessi che, cementata
dalla speranza del reciproco sostegno e appoggio, rende più agevole affrontare
le asprezze della vita e gli incomodi della vecchiaia.
La seconda sta nel desiderio
della procreazione, non tanto per lasciare eredi dei beni materiali, ma perché
possano allevarsi buoni cultori della vera fede religiosa. La Bibbia mostra
come questo fosse il principale proposito dei Patriarchi nello sposarsi.
Ammonendo Tobia sul modo di
rintuzzare la violenza del demonio, l'angelo gli dice: " Ti mostrerò io
quelli sui quali il demonio può prevalere. Su coloro che contraggono Matrimonio
per eliminare Dio dal proprio spirito, per tuffarsi nella concupiscenza. come
tanti cavalli e muli privi di ragione, il demonio trionferà". E aggiunge:
"Tu impalmerai una vergine nel timore di Dio, spinto più dal desiderio dei
figlioli che dalla cupidigia carnale, affinché nel seme di Abramo tu possa
conseguire la benedizione che è nei propri figli" (Tb 6,16s). Del resto fu
questo l'unico motivo per cui Dio istituì agli inizi il Matrimonio. S'intende
perciò quanto mostruoso sia il delitto di quei coniugi che, mediante ritrovati
medici, impediscono il concepimento o procurano l'aborto; questo equivale all'azione
infame degli omicidi.
La terza causa del Matrimonio
sopravvenne dopo il peccato originale che fece perdere la giustizia in cui
l'uomo era stato creato e suscitò il conflitto fra l'appetito sessuale e la
ragione: chi, consapevole della propria fragilità, non vuole affrontare la dura
lotta carnale, può perciò ricorrere al rimedio del Matrimonio per evitare le
colpe della libidine. Scrive in proposito l'Apostolo: "In vista del
pericolo della fornicazione, ciascuno abbia moglie, e ciascuna marito". E
poco oltre, imponendo l'astinenza temporanea dall'atto matrimoniale per fare
preghiera, soggiunge: "E poi ravvicinatevi l'un l'altro, affinché Satana
non vi tenti con il pungolo della vostra incontinenza" (1 Cor 7,5).
A qualcuno di questi motivi
deve ispirarsi chi vuole contrarre Matrimonio e lo vuol fare piamente e
religiosamente, come si conviene a figli di santi.
Non si condannano però altri
moventi, non contrastanti con la santità del Matrimonio, che vengono ad
aggiungersi a questi e spingono gli uomini al Matrimonio o inducono, nella
scelta della moglie, a preferire questa a quella: per esempio la brama di
lasciare eredi, la ricchezza della prescelta, la sua bellezza, la nobiltà della
sua schiatta, la somiglianza del temperamento. Neppure la Bibbia infatti
rimprovera al Patriarca Giacobbe di aver preferito, per la sua bellezza,
Rachele a Lia (Gn 29,17).
5 Il Matrimonio cristiano come sacramento
292 Dopo aver parlato del
Matrimonio in quanto unione naturale, i pastori spiegheranno come, in qualità
di sacramento, il Matrimonio assume una natura molto più nobile e volta a un
fine molto più alto. Come agli inizi il Matrimonio, quale unione naturale, fu
istituito per la propagazione del genere umano, così più tardi gli fu conferita
la dignità sacramentale, affinchè sorgesse un popolo nuovo, educato al culto
del vero Dio e del nostro Salvatore Gesù Cristo.
Quando Cristo volle offrire
un simbolo sensibile della sua strettissima unione con la Chiesa e della sua
sconfinata benevolenza verso di noi, espresse appunto la divinità di così
ineffabile mistero con la santa unione dell'uomo con la donna. E quanto simile
scelta fosse opportuna, risalta dal fatto che fra tutte le relazioni fra esseri
umani nessuna vincola più strettamente dell'unione matrimoniale; nessun amore è
più forte di quello che passa fra marito e moglie. Per questo la Scrittura
raffigura molto spesso l'unione divina di Cristo con la Chiesa mediante
l'immagine delle nozze.
La Chiesa, sulla esplicita
autorità dell'Apostolo, ritenne sempre per certa e sicura la natura
sacramentale del Matrimonio. Scrive infatti san Paolo agli Efesini: "II
marito deve amare sua moglie come il proprio corpo. Chi ama sua moglie, ama se
stesso. Chi mai odiò la propria carne? Tutti la nutrono e la custodiscono, come
Cristo fa con la Chiesa, poiché siamo membri del suo corpo, parte della sua
carne e delle sue ossa. Per questo l'uomo abbandonerà suo padre e sua madre e
si unirà alla propria moglie, per essere due in una sola carne. Veramente
grande è questo sacramento; io intendo dire in Cristo e nella Chiesa" (Ef
5,28-32). La frase "grande è questo sacramento" va riferita
indubbiamente al Matrimonio e vuol dire che l'unione fra l'uomo e la donna, di
cui Dio è l'autore, è un sacramento, vale a dire segno sacro di quell'ineffabile
vincolo che congiunge Cristo Signore alla Chiesa.
I Padri antichi, commentando
il passo paolino, l'hanno inteso in questo senso e il santo Concilio di Trento
ha definitivamente approvato simile interpretazione. Evidentemente l'Apostolo
paragona il marito a Cristo e la moglie alla Chiesa; stabilisce che il marito è
il capo della moglie, come Cristo lo è della Chiesa; perciò il marito deve
amare la moglie e la moglie a sua volta amare e rispettare il marito. Gesù
Cristo amò la Chiesa, diede la propria vita per essa e, secondo lo stesso
Apostolo, la Chiesa è soggetta a Cristo. Il sacro concilio dichiara inoltre che
con questo sacramento è simboleggiata e anche realmente conferita la grazia,
come del resto vuole l'indole stessa sacramentale. Esso dice: "Gesù Cristo,
istitutore e consumatore dei venerandi sacramenti, meritò con la sua passione
la grazia, atta a sublimare l'amore naturale, e a rassodarlo in una
indissolubile unità". I pastori spiegheranno perciò che per la grazia del
sacramento i coniugi, stretti nel vincolo dello scambievole amore, riposano
nella mutua affezione, rifuggono dagli amori illeciti ed estranei, conservando
immacolato il talamo del loro connubio (Eb 13,4).
6 Dignità del Matrimonio cristiano
293 II sacramento del
Matrimonio sta molto al disopra dei matrimoni contratti prima e dopo la legge
mosaica. Sebbene anche i pagani abbiano sempre intravisto nel matrimonio
qualcosa di divino e di conseguenza abbiano considerato gli illegali
accoppiamenti come vietati da natura e degni di punizione gli stupri, gli
adulteri e simili delitti sessuali, tuttavia i loro connubi non ebbero valore
sacramentale.
Presso gli Ebrei le leggi
nuziali furono indubbiamente rispettate con maggiore coscienza, ne possiamo
negare che una più alta santità accompagnava i loro matrimoni. Depositari della
promessa secondo la quale tutti i popoli dovevano essere benedetti nel seme di
Abramo (Gn 12,3; 18,18), ritenevano che fosse insigne compito religioso
procreare figlioli, rampolli del popolo da cui doveva trarre origine il Cristo
nostro Salvatore, per quanto naturalmente concerne la natura umana. Alle loro
unioni però mancava la natura sacramentale.
Se poi ci poniamo dal punto
di vista della legge, sia di natura dopo il peccato, sia di Mosè, facilmente
constatiamo che la prassi matrimoniale era decaduta dal suo decoro originario.
Vigendo la legge naturale riscontriamo che parecchi antichi Padri furono
poligami. Più tardi la legge di Mosè permetteva che, consegnato il libello del
ripudio, il marito divorziasse, in determinati casi, dalla moglie (Dt 24,1). La
legge evangelica soppresse tali abusi e restituì il Matrimonio al suo stato
primitivo (Mt 19,9).
Quanto la poligamia (di cui
però non tutti quei vecchi Padri devono rimproverarsi, avendo alcuni ottenuto
da Dio indulgente il permesso di sposare più mogli) sia difforme dalla natura
del Matrimonio, è dimostrato da quelle parole del Signore: "Per questo
lascerà l'uomo il padre e la madre e si unirà con sua moglie; i due saranno una
sola carne". E subito dopo: "Dunque non sono più due, ma una sola
carne" (Mt 19,5). Così volle mostrare che il Matrimonio fu da Dio
istituito in modo da consistere nell'unione di due sole persone e non di più.
Verità cotesta esplicitamente asserita anche altrove. Egli dice: "Chi
ripudia la moglie e sposa un'altra, è adultero. E se la moglie, ripudiato il
marito, sposa un altro, è adultera" (Me 10,11). Se infatti al marito fosse
lecito sposare più mogli, non si vede perché dovrebbe dirsi adultero quando,
oltre la moglie che ha in casa, ne impalma un'altra e non quando, congedata la
prima, si unisce con una nuova. Tanto è vero che se un infedele, che secondo le
consuetudini del suo popolo ha parecchie mogli, si converte alla vera
religione, deve, per ordine della Chiesa, lasciarle tutte, ritenendo solo come
legittima la prima sposata.
7 Indissolubilità del Matrimonio cristiano
294 Sempre con le parole di
Cristo è facile provare che il vincolo matrimoniale non può essere spezzato da
nessun divorzio. Se dopo avere ricevuto il libello del ripudio la moglie fosse
sciolta dalla legge maritale, le sarebbe lecito senza colpa di adulterio unirsi
in matrimonio con un altro uomo. Invece il Signore sentenziò perentoriamente :
"Chi rimanda la propria moglie e ne prende un'altra, è adultero" (Lc
16,18). Il vincolo coniugale dunque può essere spezzato solo dalla morte. Anche
l'Apostolo lo afferma, quando scrive: "La moglie è legata alla legge,
finché il marito vive; quando questi sia morto, essa è affrancata dalla legge e
può sposare chi vuole, nel Signore" (1 Cor 7,39).
E poco prima: "Non io,
ma il Signore così comanda a coloro che sono uniti in Matrimonio: "La
moglie non si allontani dal marito; qualora se ne allontani, non si risposi, o
cerchi di riconciliarsi con il proprio marito" " (1 Cor 7,10).
L'Apostolo lascia così alla moglie, che per una ragionevole causa abbandoni il
marito, questa alternativa: che rimanga senza marito o si riconcili con lui. Né
la Chiesa consente agli sposi di allontanarsi l'uno dall'altro senza gravissimi
motivi.
Perché non sembri troppo dura
la legge matrimoniale che importa l'indissolubilità, se ne devono prospettare i
vantaggi. Ricordino anzitutto gli uomini che nel concludere il Matrimonio
occorre tener conto della virtù e dell'affinità spirituale, molto più che delle
ricchezze e della bellezza. Si potrebbe provvedere meglio di così al bene della
comune convivenza? In secondo luogo riflettano che se il Matrimonio potesse
rompersi con il divorzio, non mancherebbero mai ragioni di dissidio,
giornalmente messe avanti dall'antico avversario della pace e della pudicizia,
mentre se riflettono che, pur allontanati dalla convivenza coniugale, perdura
l'efficacia del vincolo matrimoniale ed è sottratta la prospettiva di poter
prendere un'altra moglie, i fedeli saranno molto più guardinghi dal farsi
trascinare dall'ira e dalla discordia. Pur separati dall'altro coniuge,
finiranno con il sentirne vivo desiderio e facilmente l'intervento degli amici
porterà alla riconciliazione.
I pastori non tralasceranno
di ricordare a questo proposito l'ammonizione di sant'Agostino, il quale per
indurre i fedeli a non essere troppo restii a perdonare alle mogli congedate
per adulterio, purché pentite del misfatto, interrogava: "Perché il marito
non accoglierà una moglie che la Chiesa accoglie? E perché la moglie non perdonerà
al marito adultero ma penitente, dal momento che anche Cristo gli perdonò?
" (De adult. con., 2, 6). La
frase biblica: "E’ sciocco chi tiene con sé un'adultera" (Prv 18,22),
vale per colei che, avendo peccato, non vuole ravvedersi.
Da tutto ciò si rileva come
il Matrimonio dei cristiani supera di gran lunga in nobiltà e perfezione sia
quello dei pagani sia quello degli Ebrei.
8
9 Effetti del sacramento del Matrimonio
295 I pastori insegnino ai
fedeli che tre sono i beni del Matrimonio: la prole, la fede, il sacramento.
Con essi sono neutralizzate quelle pene cui allude l'Apostolo con le parole:
"Sperimenteranno la tribolazione della carne" (1 Cor 7,28) e le
unioni sessuali, che al di fuori del Matrimonio apparirebbero giustamente
riprovevoli, ne vengono nobilitate e coonestate.
Il primo bene è costituito
dalla "prole", cioè dai figli ottenuti da una legittima moglie.
Così importante appariva
questo bene all'Apostolo, da dire: "La donna sarà salvata mediante la
generazione dei figli" (1 Tm 2,15). Questo inciso non va inteso come
allusivo alla semplice procreazione, ma anche alla formazione spirituale per la
quale i figli sono educati alla pietà. Aggiunge infatti l'Apostolo: "Se
essi permarranno nella fede".
Ammonisce poi la Scrittura:
"Hai dei figli? Istruiscili e piegali dai giorni della loro infanzia"
(Sir 7,23). San Paolo riproduce il comando (Ef 6,4; Col 3,20) e nella Scrittura
Tobia, Giobbe e altri santi Padri offrono esempi dei magnifici risultati di
questa disciplina. Ma quali siano i doveri dei genitori e dei figli sarà
spiegato più diffusamente nel quarto precetto del Decalogo.
Il secondo bene è la
"fede", non già intesa come quell'ambito di virtù che riceviamo
all'istante del Battesimo, ma come quella fedeltà in virtù della quale marito e
moglie si legano tanto strettamente a vicenda da trasmettersi la potestà del
proprio corpo e da giurarsi perpetua osservanza del patto coniugale. Ciò
risulta dalle parole pronunciate dal primo uomo nel momento di ricevere Eva per
moglie (Gn 2,24), parole che Cristo ratificò nel Vangelo: "Per questo
lascerà l'uomo il padre e la madre e si unirà con sua moglie e i due saranno
una sola carne" (Mt 19,5). E risulta pure dal passo dell'Apostolo:
"La moglie non ha potestà sul proprio corpo, ma l'ha il marito; parimenti
il marito non ha potere sul proprio corpo, ma lo ha la moglie" (1 Cor
7,4).
Si comprendono perfettamente
le gravissime minacce lanciate dal Signore nel Vecchio Testamento contro gli
adulteri che violano la fede coniugale (Lv 20,10). Tale fede inoltre esige che
marito e moglie siano stretti da un amore particolare, puro e santo, sicché si
amino non come adulteri, ma come Cristo amò la sua Chiesa. Questa è la regola
dell'Apostolo: "Mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la sua
Chiesa" (Ef 5,25) che egli predilesse con affetto inesauribile, unicamente
volto al suo vantaggio.
Il terzo bene, denominato
"sacramento", consiste nell'infrangibile vincolo matrimoniale poiché,
secondo l'Apostolo, il Signore ha imposto alla moglie di non abbandonare il
marito, di restare, qualora se ne allontani, senza marito, oppure di
riconciliarsi con lui; al marito comanda di non mandar via la propria moglie (1
Cor 7,10). Infatti il Matrimonio esprime, in quanto sacramento, l'unione di
Cristo con la Chiesa e poiché Cristo mai si separa dalla Chiesa, è necessario
che, per quanto riguarda il vincolo coniugale, la moglie non possa mai
separarsi dal marito.
10 Doveri coniugali
296 Affinché la santa società
coniugale perduri più serena, devono essere inculcati i doveri del marito e
della moglie, quali furono descritti da san Paolo e da san Pietro, principe
degli Apostoli.
S'impone al marito l'obbligo
di trattare con generosità e onore la moglie. Si ricordi che Adamo chiamò
"compagna" Eva: "La donna che mi desti a compagna" (Gn
3,12).
Perciò, secondo
l'insegnamento di alcuni Padri, Eva non fu tratta, per esempio, dai piedi
dell'uomo, ma dal suo fianco; ne dal suo capo, affinché capisse di essere non
padrona, ma suddita del marito. Inoltre è bene che il marito sia costantemente
occupato in qualche onesta professione per provvedere il necessario al
sostentamento della famiglia e per non poltrire nell'ozio, padre di tutti i
vizi. Infine deve saggiamente organizzare la famiglia, correggere i costumi di
tutti i membri di essa, sorvegliare su ciascuno perché adempia il suo compito.
Alla moglie incombono i
doveri indicati dal principe degli Apostoli: "Le mogli siano soggette ai
loro mariti, sicché se alcuno di questi non crede alla parola [di Dio], sia
guadagnato, senza la parola, dalla condotta esemplare della compagna,
valutandone la santità unita al rispetto. Non siano loro vanto la capigliatura
bene acconciata, ornamenti d'oro, sfoggio delle vesti: ma cercate piuttosto di
adornare l'interno del cuore, coltivato nell'integrità di uno spirito schivo e modesto,
ricco al cospetto di Dio. Così una volta si ornavano le sante donne, ricche di
speranza in Dio, soggette ai propri mariti. Così Sara obbediva ad Abramo,
chiamandolo signore" (1 Pt 3,1-6). Sia loro somma cura educare i figli
nell'amore della religione e sorvegliare l'andamento della casa. Stiano
volentieri in casa, se il bisogno non le costringa a uscire, e in tal caso
chiedano sempre il permesso allo sposo. Infine (ed è qui l'essenza dell'unione
matrimoniale) ricordino sempre che per volontà divina nessuno devono amare e
apprezzare più del marito, al quale obbediranno prontamente in tutto ciò che
non sia in contrasto con la virtù cristiana.
11 Riti nuziali: impedimenti matrimoniali
297 I parroci faranno bene a
illustrare le cerimonie che accompagnano la celebrazione del Matrimonio. Non
registreremo qui le regole emanate in proposito dal sacro Concilio di Trento
con diligenza e abbondanza. I parroci non possono ignorare i suoi decreti. Ci
limiteremo a raccomandare loro di studiare bene la dottrina del Concilio su
questo punto e di esporla coscienziosamente ai fedeli.
Insisteremo piuttosto nel
ricordare loro di ammonire senza stancarsi i giovani e le ragazze, la cui età è
contrassegnata da tanta leggerezza, a non iniziare, sotto illusorie parvenze
nuziali, rapporti di turpi amori. Proclamino solennemente che non sono veri e
legittimi Matrimoni quelli contratti senza la presenza del parroco, o di altro
sacerdote delegato da lui o dall'ordinario, e di un certo numero di testimoni.
I pastori devono poi additare
con cura ciò che impedisce il Matrimonio. Molti gravi e dotti autori, che
scrissero sui vizi e le virtù, si fermarono su questo tema con tale
accuratezza, che a tutti sarà facile ricavarne sufficiente istruzione; tanto
più che si tratta di libri che i pastori devono aver sempre sotto mano. Leggano
attentamente le prescrizioni in essi contenute e poi quanto il santo Concilio
di Trento ha stabilito circa gli impedimenti che scaturiscono dalla parentela
spirituale, dalla pubblica onestà, dalla fornicazione e ne parlino poi ai
fedeli.
Da quanto si è detto emerge
quali sentimenti debbano animare i fedeli che contraggono Matrimonio. Non
pensino di stringere un contratto umano, ma di compiere un atto divino, il
quale esige speciale integrità di spirito e grande pietà, come mostrano a
sufficienza gli esempi dei Padri dell'antico Patto. Essi andando a nozze,
seppure non insignite di dignità sacramentale, ritennero sempre di dover
portare a esse massima riverenza religiosa e purezza di cuore.
Fra l'altro si esortino
specialmente i figli di famiglia a rendere ai loro genitori, e in genere a
coloro da cui dipendono, l'onore di non contrarre Matrimonio a loro insaputa o
nonostante la loro opposizione. Vediamo nel Vecchio Testamento come il
matrimonio dei figli è sempre concertato dai genitori. Anche l'Apostolo sembra
raccomandare che su questo terreno ci si attenga molto al volere del padre e
della madre, quando dice: "Chi congiunge in matrimonio la propria figliola
fa bene e chi non la sposa fa meglio" (1 Cor 7,38).
Rimane infine da esporre quel
che riguarda l'uso del Matrimonio. I parroci ne parlino in modo che dalle loro
labbra non esca parola capace di offendere le orecchie e l'animo degli
ascoltatori, o di muovere a riso. Come i discorsi del Signore sono casti, così conviene
in particolare al dottore del popolo cristiano usare parole improntate a
serietà e purezza di mente.
Due ammaestramenti in
proposito saranno impartiti ai fedeli: primo, che non devono usare del
Matrimonio esclusivamente per voluttà libidinosa, ma per quei fini che Dio ha
prescritto e che abbiamo sopra segnalato. Occorre ricordare la raccomandazione
dell'Apostolo: "Chi ha moglie, sia come se non l'avesse" (1 Cor 7,29)
e il detto di san Girolamo: "II saggio amerà ragionevolmente, non per
istinto di passione, sua moglie: frenerà l'impeto carnale, non cercherà
freneticamente l'accoppiamento. Nulla di più turpe che amare la propria moglie
come una sgualdrina" (Adv. lovin.,
1, 49). E poiché ogni bene deve essere umilmente chiesto a Dio, il secondo
ammaestramento da impartire ai fedeli riguarda l'astensione saltuaria dall'atto
coniugale, per pregare Dio. Sappiano che tale norma deve principalmente
osservarsi tre giorni almeno prima di ricevere la santa Eucaristia e più spesso
durante la celebrazione del digiuno quaresimale, come i nostri Padri
giustamente e piamente prescrissero. Così i coniugi sentiranno crescere
giornalmente i beni del Matrimonio, sotto l'influsso della grazia divina e,
battendo i sentieri della virtù, non solo trascorreranno serenamente la vita
terrena, ma nutriranno speranza verace di conseguire, per misericordia di Dio,
la beatitudine sempiterna.
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