PARTE PRIMA
LA FEDE E IL SUO SIMBOLO
1 Definizione della fede
9 Le Sacre Scritture
attribuiscono al termine fede molti significati: noi ne parliamo come di una
disposizione, in forza della quale prestiamo assenso completo alle verità
divinamente manifestate. Che una tale fede sia necessaria al conseguimento
della salvezza, nessuno potrà porlo seriamente in dubbio, specialmente
ricordando quanto è scritto: "Senza la fede è impossibile piacere a
Dio" (Eb 11,6). Essendo infatti la meta proposta all'uomo per la sua
beatitudine troppo sublime per poter essere raggiunta dalla capacità della
ragione umana, era necessario riceverne conoscenza da Dio. Ora questa
conoscenza è appunto la fede e la sua efficacia fa sì che riteniamo per certo
quanto l'autorità della Chiesa nostra madre addita come rivelato da Dio. In
nessun fedele infatti può nascere dubbio intorno a verità di cui Dio, verità
per essenza, è garante.
Cosi appare chiara la
differenza che corre tra questa fede, prestata a Dio, e quella riposta negli
scrittori della storia umana. Essa varia notevolmente per estensione,
intensità, dignità. È detto infatti nelle Sacre Scritture: "Uomo di poca
fede, perché hai dubitato?" (Mt 14,31) e altrove: "grande è la tua
fede" (Mt 15,28) e ancora: "Accresci la nostra fede" (Lc 17,5);
infine: "la fede senza le opere è una fede morta" (Gc 2,20) e "la
fede... opera attraverso la carità" (Gal 5,6). Tuttavia la fede è sempre
genericamente la stessa e ai molteplici suoi gradi conviene la medesima natura
e il significato della definizione. Quanto poi essa sia fruttifera e quanto
beneficio ne ricaviamo, sarà spiegato nel commento dei singoli articoli.
2 Il Simbolo della fede
10
I cristiani devono dunque conoscere in primo
luogo le verità che, animati dallo Spirito divino, i santi Apostoli, maestri e
dottori della fede, distribuirono nei dodici articoli del Simbolo. Avendo
infatti essi ricevuto dal Signore l'ordine di andare, quali suoi ambasciatori
(2 Cor 5,20), nel mondo intero, ad annunciare il Vangelo a ogni creatura (Mc
16,15), decisero di redigere una formula della fede cristiana, che permettesse
a tutti l'unanimità del sentimento e della professione e rimuovesse ogni
possibilità di scisma tra i chiamati all'unità della fede, perfezionandoli
nell'unità di spirito e di credenza (1 Cor 1,10).1 E, dopo averla composta, gli
Apostoli chiamarono questa professione di fede e di speranza cristiana "Simbolo";
sia perché risultante dalle varie sentenze messe dai singoli in comune, sia
perché di essa avrebbero potuto servirsi, quasi di sigillo e di parola
d'ordine, per distinguere facilmente i disertori e gli intrusi, falsi fratelli
(Gal 2,4) intenti ad adulterare l'Evangelo (2 Cor 2,17), da coloro che si erano
arruolati sinceramente nella milizia di Cristo.
3 Divisione del Simbolo
11 Tra le molte verità
proposte dalla religione cristiana ai fedeli, a tutte e singole le quali
occorre prestare sicuro e incrollabile assenso, la prima ed essenziale, quasi
fondamento e ricapitolazione di tutta la verità, è quella che Dio medesimo ci
insegnò intorno all'unità dell'essenza divina e alla distinzione delle tre
Persone, nonché alle azioni, che in singolar modo a ciascuna di esse sono
attribuite. Il parroco mostrerà come la dottrina riguardante tale mistero sia
compendiata nel Simbolo degli Apostoli.
Come già notarono i nostri
Padri, che studiarono con pietà e amore l'argomento, esso appare distribuito in
tré parti principali. Nella prima è studiata la prima Persona della natura
divina e l'opera mirabile della creazione; nella seconda, la seconda Persona e
insieme il mistero dell'umana redenzione; nella terza infine la terza Persona,
principio e sorgente della nostra santità; il tutto condensato in molteplici e
opportune sentenze. Queste, secondo una consuetudine dai nostri Padri
frequentemente seguita, son chiamate "articoli". In realtà, come le
membra del corpo sono distinte mediante articolazioni, cosi in questa confessione
di fede è rettamente e lucidamente chiamato articolo ogni inciso che, per se
stesso e indipendentemente dal conseguente, vuole il nostro assenso.
Articolo 1
IO CREDO IN DIO PADRE
ONNIPOTENTE CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA
4 Significato dell'articolo
12 Ecco il senso racchiuso in
queste parole: ritengo con certezza e riconosco senza ombra di dubbio che v'è
un Dio Padre, cioè la prima Persona della Trinità, il quale nella onnipotente
sua virtù trasse dal nulla il cielo, la terra e quanto è contenuto nell'ambito
del cielo e della terra; egli regge e governa tutto il creato. Ne solamente
credo con il cuore in lui e lo confesso con le labbra, ma aspiro a lui con il
fervore e l'amore più intensi, come al sommo e perfettissimo bene. Questa, in
breve, una prima delucidazione dell'articolo. Ma poiché quasi ogni suo vocabolo
nasconde sublimi misteri, occorre che il parroco vi consacri attentissima
considerazione, affinché il popolo fedele ascenda, pavido e tremante, a
contemplare la gloria della maestà divina entro i limiti stabiliti da Dio.
4.1 Valore e significato della parola "Credo" nel dominio della fede cristiana
13 IO CREDO. Qui il verbo
"credere" non significa reputare, stimare, opinare, bensì, secondo
l'insegnamento della Sacra Scrittura, significa il sicurissimo assenso, in
virtù del quale l'intelligenza aderisce, con fermezza e tenacia, a Dio che
rivela i propri misteri. Perciò chi crede (nel senso qui inteso) possiede
indubbia e nettissima convinzione di qualcosa. Né si pensi che la conoscenza
insita nella fede sia meno sicura, per il fatto che le realtà proposteci a
credere sono invisibili; perché se la luce divina che ce le fa percepire non le
fa raggiare nell'evidenza, non permette tuttavia che ne dubitiamo.
Il medesimo Dio che comandò
alla luce di scaturire dalle tenebre, quello stesso rifulse nei nostri cuori (2
Cor 4,6), perché il Vangelo non fosse velato per noi, come lo è per coloro che
periscono (ibid. 4,3). Ne consegue che chi possiede simile celeste conoscenza
data dalla fede è immune da ogni vana curiosità di ricerca. Infatti Dio,
comandandoci di credere, non ci volle intenti a scrutare i divini giudizi, il
loro piano, la loro causa, ma impose quella fede inalterabile che da all'anima
il riposo nella conoscenza della verità eterna. Ora, se l'Apostolo proclama che
Dio solo è veritiero, mentre tutti gli uomini mentiscono (Rm 3,4), e se noi
normalmente reputiamo segno di impudente arroganza non prestar credito a un
uomo che, fornito di saggezza e gravita, ci comunichi qualcosa e pretendere che
comprovi con ragioni e testimoni il suo asserto, di quale temeraria stoltezza
non si renderà reo chi, ascoltando la parola di Dio, oserà chiedere le ragioni
della celeste salutare dottrina? Perciò la fede deve bandire non solo ogni
parvenza di dubbio, ma anche ogni velleità di dimostrazione.
5 Necessità dell'atto esterno di fede
14 II parroco non mancherà
inoltre di insegnare a colui che dice "Io credo" che, oltre a
esprimere così l'assenso intimo del proprio spirito, in cui si compendia l'atto
interno della fede, deve con la massima sollecitudine manifestare
pubblicamente, con esplicita professione di fede, quanto porta chiuso nel
cuore. Nei fedeli deve aleggiare quello spirito che spingeva il Profeta a
esclamare: "Ho creduto e per questo ho parlato" (Sal 115,11). Essi
devono imitare gli Apostoli, che rispondevano alle autorità del popolo:
"Non possiamo tacere quanto abbiamo visto e udito" (At 4,20); memori
della bella frase di san Paolo: "Io non arrossisco del Vangelo, che è la
virtù di Dio per la salvezza di tutti i credenti" (Rm 1,16) e di
quell'altra, in cui è la diretta conferma della sentenza qui illustrata:
"Crediamo con il cuore per essere giustificati; confessiamo con le labbra
per essere salvati" (Rm 10,10).
6 Conoscenza di Dio per mezzo della fede
15 IN Dio. Già di qui c'è
dato di apprezzare la dignità e l'eccellenza della sapienza cristiana e con ciò
il debito contratto verso la divina bontà, potendo noi rapidamente salire,
quasi attraverso i gradini della fede, alla conoscenza della più nobile e
desiderabile realtà. Qui appunto risiede una delle grandi differenze tra la
filosofia cristiana e la sapienza di questo mondo. Mentre questa, guidata
semplicemente dal lume di natura, muovendo adagio adagio dagli effetti e da
tutto ciò che è percepito dai sensi, riesce solo dopo diuturni sforzi a
contemplare a malapena le realtà invisibili di Dio, a riconoscerlo e
comprenderlo quale prima Causa e Autore di tutto il creato; quella invece
affina talmente la penetrazione dello spirito umano, che esso può innalzarsi al
cielo senza fatica. Illuminato dallo splendore divino, scorge dapprima l'eterna
fonte stessa della luce e poi quanto giace al disotto di essa.
Perciò a noi è dato di
constatare con la più intensa letizia spirituale come veramente, secondo la
parola del principe degli Apostoli, siamo chiamati dal fondo delle tenebre a
una luce mirabile (1 Pt 2,9) e possiamo trasalire di ineffabile gioia nella
nostra fede (ibid. 1,8). A ragione dunque i fedeli proclamano anzitutto di
credere in Dio, la maestà del quale, con Geremia, definiamo incomprensibile
(Ger 32,19). Egli dimora, come dice l'Apostolo, in uno splendore inaccessibile,
che nessuno vide o può vedere (1 Tm 6,16). Parlando a Mosè disse Dio stesso:
"Nessuno mi vedrà e sopravviverà" (Es 33,20). Infatti, per arrivare a
Dio, vertice del sublime, l'intelligenza nostra deve essere del tutto astratta
dai sensi; il che non è concesso alle facoltà naturali in questa vita.
7 La conoscenza razionale di Dio
16 Tuttavia Dio, secondo la
sentenza dell'Apostolo, non mancò di dare di sé testimonianza, beneficandoci,
inviando dal cielo le piogge e le stagioni fruttifere, ricolmando di nutrimento
e di gioia le creature umane (At 14,16). Così ai sapienti fu evitato di
concepire intorno a Dio nozioni indegne e concesso di eliminare dal suo
concetto ogni elemento corporeo, materiale, composito. Essi inoltre collocarono
in Dio la pienezza di tutti i beni, la fonte perenne e inesauribile di bontà e
di misericordia, da cui rifluisce su tutte le realtà e nature create ogni bene
e ogni perfezione. Lo chiamarono sapiente, autore e tutore della verità,
giusto, benefico: con tutti quei nomi, insomma, in cui è espressa la suprema e
assoluta perfezione; sostennero poi che la sua immensa e infinita virtù riempie
ogni luogo e raggiunge ogni estremo. Tutto ciò traspare molto più nettamente
dalle Sacre Scritture, come mostrano, per esempio, i passi seguenti: "Dio
è spirito" (Gv 4,24); "Siate perfetti come il vostro Padre celeste è
perfetto" (Mt 5,48); "Tutto è nudo e scoperto ai suoi occhi" (Eb
4,13); "O profondità dei tesori della sapienza e della scienza
divina!" (Rm 11,33); "Dio è veritiero" (Rm 3,4); " Io sono
la via, la verità, la vita" (Gv 14,6); "La tua destra è ricolma di
giustizia" (Sai 47,11); "Tu apri la tua mano ed empi di benedizione
ogni essere che respira" (Sai 144,16); "Dove mi rifugerò per evitare
il tuo spirito e il tuo volto? Se salgo al cielo, ivi tu sei: se scenderò
nell'inferno, sei presente; se all'alba prenderò le mie ali e mi lancerò verso
i confini del mare, tu sei lì" (Sal 138,7-9); "II Signore dice: non
riempio io forse il cielo e la terra?" (Ger 23,24).
8 La conoscenza di Dio mediante la fede è superiore alla conoscenza razionale
17 Sono grandi in verità e
insigni queste nozioni, che circa la natura di Dio, in armonia con l'autorità
della Sacra Scrittura, i filosofi trassero dalla contemplazione del creato.
Eppure anche qui scopriremo la necessità di una dottrina rivelata, se
riflettiamo che la fede, come abbiamo detto, non solo fa sì che le verità
scoperte dai sapienti dopo paziente studio brillino d'un tratto e senza sforzo
anche agli ignoranti, ma che la loro conoscenza, conseguita attraverso la
pedagogia della fede, penetri nei nostri intelletti in modo infinitamente più
sicuro e immune da errori di quel che si verificherebbe se l'avessero raggiunte
mediante i ragionamenti della scienza umana.
Però quanto non è da
reputarsi più nobile quella conoscenza della divinità che non è indistintamente
data a tutti dallo spettacolo della natura, ma particolarmente fu irraggiata
nei credenti dal lume della fede? Orbene, questa è condensata in quegli
articoli del Simbolo che ci manifestano l'unità dell'essenza divina e la
distinzione delle tre Persone e ci additano Dio come ultimo fine dell'uomo, da
cui dobbiamo attenderci la celestiale ed eterna beatitudine, come apprendemmo
da san Paolo: "Dio è rimuneratore di chi lo cerca" (Eb 11,6). Di qual
valore sia tutto ciò e come trascenda i beni, ai quali la conoscenza avrebbe
potuto aspirare da sola (1 Cor 2,9), già molto prima dell'Apostolo lo aveva spiegato
Isaia: "Dall'origine dei secoli, al di fuori di te, o Signore, non fu
inteso da orecchio o percepito da occhio umano quanto tu hai preparato a coloro
che ti amano" (Is 64,4).
9 Unità di Dio
18 Da quanto abbiamo esposto
risulta che dobbiamo anche confessare l'esistenza di un solo Dio, non di più
dei. Attribuendo infatti a Dio la suprema bontà e perfezione, è inconcepibile
che l'infinito e l'assoluto si riscontrino in più d'un soggetto. E se a uno poi
manca qualcosa per toccare la perfezione assoluta, con ciò stesso è imperfetto,
né può convenirgli la natura divina. Molti passi scritturali confermano simili
deduzioni. È scritto infatti: "Ascolta, Israele: il Signore Dio nostro è
Dio unico" (Dt 6,4). Ed è comando di Dio: "Non avrai altro Dio, fuori
che me" (Es 20,3). Dio inoltre spesso ammonisce per mezzo del Profeta:
"Io sono il primo e l'ultimo; nessun Dio fuori di me" (Is 41,4;
44,6). E apertamente assicura l'Apostolo: "Un solo Signore, una sola fede,
un solo battesimo" (Ef 4,5). Né ci sorprenda il fatto che talora la Sacra
Scrittura attribuisce l'appellativo Dio anche a nature create. Chiamando
infatti talora dei i profeti e i giudici non rispecchia i preconcetti dei
gentili, che empiamente e stoltamente si raffigurarono molteplici divinità, ma,
secondo il parlare usuale, vollero esprimere qualche esimia loro virtù o
qualche speciale funzione a essi da Dio affidata. In conclusione la fede
cristiana crede e professa un Dio solo, nella natura, nella sostanza,
nell'essenza, come il Simbolo del Concilio Niceno, per rassodare tale verità,
ha spiegato. Né basta: elevandosi più in alto, la fede intende l'unità in modo
tale da venerare l'unità nella trinità e la trinità nell'unità. Di questo
mistero, che segue appunto nel Simbolo, dobbiamo ora trattare.
10 Dio, Padre di tutte le cose per creazione, Padre in modo peculiare dei cristiani per adozione
19 PADRE. Poiché il vocabolo
di "Padre" è attribuito a Dio per molteplici ragioni, dovremo
anzitutto spiegare quale sia il significato più proprio di questa parola. Già alcuni
di coloro le cui tenebre non erano state dissipate dal sole della fede avevano
compreso essere Dio la sostanza eterna, da cui il mondo aveva ricevuto l'essere
e dalla cui provvidenza è governato e conservato nella sua ordinata
disposizione. Presa dunque la similitudine dalle realtà umane, poiché chi
propaga l'essere in una famiglia e ne vigila le sorti con il consiglio e
l'autorità è chiamato padre, furono indotti a chiamare Padre quel Dio che
riconoscevano artefice e moderatore di tutte le cose.
Anche le Sacre Scritture
ricorsero al medesimo appellativo, quando, parlando di Dio, vollero mostrare
come a Dio si dovessero attribuire la creazione, il potere e la mirabile
provvidenza nell'universo. Vi leggiamo infatti: "Non è lo stesso Padre tuo
che ti ha posseduto, ti ha fatto, ti ha creato?" (Dt 32,6). E altrove:
"Non è forse uno solo il Padre di tutti noi? Uno solo il nostro
Creatore?" (Mi 2,10). Ben più spesso e quasi con peculiare proprietà,
soprattutto nei libri del Nuovo Testamento, Dio è chiamato Padre dei cristiani,
poiché questi non ricevettero, nel timore, lo spirito di schiavitù, bensì lo
spirito di adozione, quali figli di Dio, che li autorizza a invocare:
"Abbà, Padre" (Rm 8,15). Il Padre infatti ci usò tale amore, che in
verità possiamo essere nominati e in realtà siamo figli di Dio (1 Gv 3,1). Se
poi figli, anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Gesù Cristo, primogenito tra
innumerevoli fratelli (Rm 8,17.29), che non arrossisce nel chiamarci tali (Eb
2,11). Sicché a buon diritto i fedeli professano la loro fede in Dio loro
padre, sia che si consideri la relazione generica nascente dalla creazione e
dalla provvidenza, sia che si tenga conto del singolare vincolo della
spirituale adozione.
11 Il valore del nome Padre nella Divinità
20 Oltre le nozioni testé
spiegate, il parroco mostrerà a quali più sublimi misteri l'intelletto debba
innalzarsi nell'ascoltare l'appellativo di Padre. Gli oracoli divini infatti
cominciano, con il vocabolo di "Padre", a farci intravedere quanto si
nasconde più misteriosamente in quella luce inaccessibile, che è dimora di Dio
e che la ragione e l'intelletto dell'uomo mai avrebbero potuto da sé, non dico
raggiungere, ma neppure sospettare. Poiché quel nome dimostra che nell'unica
essenza divina dobbiamo riconoscere non già una sola Persona, bensì una
distinzione di Persone.
Tre di fatto sono le Persone
nell'unica Divinità: quella del Padre, da nessuno generato; del Figlio,
generato dal Padre anteriormente a tutti i secoli; dello Spirito Santo, pur
dall'eternità procedente dal Padre e dal Figliolo. Nell'unica sostanza divina
il Padre è la prima Persona che, con il Figlio unigenito e con lo Spirito
Santo, forma un solo Dio, un solo Signore, non già nella singolarità di
un'unica Persona, bensì nella trinità di un'unica sostanza.
12 Le tre Persone divine sono distinte per le loro rispettive proprietà
21 Non essendo permesso
concepire tra queste tre Persone alcuna differenza o ineguaglianza, dovranno
intendersi distinte solamente in virtù delle loro proprietà; per cui il Padre è
non generato, il Figlio è generato dal Padre, lo Spirito Santo procede da
entrambi. E professeremo fra le tre Persone una tale identità di essenza e di
sostanza, che nella confessione completa di un Dio vero ed eterno riterremo
dover adorare, piamente e santamente, nelle Persone la proprietà, nell'essenza
l'unità, nella trinità l'uguaglianza. Sicché quando diciamo che la Persona del
Padre è la prima, non bisogna pensare che nella trinità sussista una differenza
come se una fosse anteriore o posteriore, maggiore o minore.
Lo spirito dei fedeli sia
immune da una tale empietà: la religione cristiana proclama nelle tre Persone
l'identica eternità e la stessa maestà di gloria. Noi affermiamo senza
esitazione che il Padre è veramente la prima Persona, perché è principio senza
principio; e poiché ciò che la contrassegna è la proprietà di Padre, a essa
sola conviene l'aver generato dall'eternità il Figlio. Infatti pronunciamo
insieme in questo articolo i nomi di "Dio" e di "Padre",
per ricordare costantemente che Dio è stato sempre Padre.
13 Non occorre istituire intorno alla Trinità troppo sottile ricerca
22 Siccome in nessun altro campo vi è tanto pericolo
nell'indagine e tanta possibilità di errori gravissimi come nel presentare e
spiegare questa sublime e difficilissima verità, il parroco insegnerà doversi
scrupolosamente ritenere i vocaboli propri di essenza e di persona, con i quali
viene formulato il mistero, ricordando ai fedeli come l'unità è nell'essenza,
la distinzione nelle Persone. Dopo ciò, non è affatto necessario inoltrarsi in
analisi più minute, memori della sentenza biblica: "Chi vuole scandagliare
la maestà, sarà sopraffatto dalla gloria" (Prv 25,27). Deve apparire
sufficiente il fatto che quanto per fede riteniamo certo e indiscusso lo
apprendemmo da Dio, gli oracoli del quale vogliono l'assenso, se non si è
irreparabilmente folli e miserabili. Egli ha detto infatti: "Andate a
istruire tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello
Spirito Santo" (Mt 28,19). E altrove: "Tre sono i testimoni nel
cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo; e i tre costituiscono una sola
sostanza" (1 Gv 5,7). Tuttavia colui il quale crede per divina grazia a
tali verità preghi assiduamente e scongiuri Dio Padre, che dal nulla trasse
l'universo, tutto disponendo dolcemente (Sap 8,1), che ci concesse la capacità
di divenire figli di Dio (Gv 1,12) e all'umana intelligenza discoprì il mistero
trinitario. Preghi, dico, affinché accolto un giorno nei tabernacoli eterni (Lc
16,9), sia degno di scorgere questa meravigliosa fecondità di Dio Padre, che,
intuendo e comprendendo se stesso, genera un Figlio, pari e uguale a se stesso;
di contemplare come l'identico Amore di carità dei due, che è lo Spirito Santo,
procedente dal Padre e dal Figliolo, stringe reciprocamente, con eterno e
indissolubile vincolo, il Genitore e il Generato; come infine si attui cosi,
nella divina Trinità, l'unità di essenza e la perfetta distinzione delle tre
Persone.
14 L'onnipotenza di Dio
23 ONNIPOTENTE. Le Sacre
Scritture vogliono spiegare con molti nomi la perfezione sovrana e l'infinita
grandezza di Dio, per mostrare con quale rispetto e pietà debba venerarsi
l'adorabile maestà sua. Ma il pastore insegnerà anzitutto che l'onnipotenza è
il qualificativo preferito. Dio stesso dice di sé: "Io, Dio
onnipotente" (Gn 17,1). E Giacobbe, inviando i figli a Giuseppe, li
accomiata con l'augurio: "II mio Dio onnipotente ve lo renda
placabile" (Gn 43,14). Nell'Apocalisse infine è scritto: "Dio,
Signore onnipotente, che è, che era e che verrà" (Ap 1,8); e ancora:
"II gran giorno si chiama il giorno di Dio onnipotente" (ibid.
16,14). Talora il medesimo concetto è espresso con più parole, come appare dai
passi seguenti: "Niente è impossibile avanti a Dio" (Lc 1,37);
"La mano di Dio è forse impotente?" (Nm 11,23); "II potere ti
spetta, quando tu voglia" (Sap 12,18) e simili. È evidente che le varie
espressioni adombrano il medesimo contenuto: l'onnipotenza.
Questo attributo sta a
significare che nulla possono l'intelligenza e la fantasia raffigurarsi, che Dio
non possa compiere. Egli ha la virtù di compiere non solamente effetti che, per
quanto grandissimi, rientrano in qualche modo nell'ambito della nostra
comprensione, come ridurre il tutto nel nulla o produrre all'istante molteplici
mondi, ma anche gesta infinitamente più grandiose, superiori a ogni
immaginazione dello spirito umano. Pur tutto potendo, Dio non può però mentire,
ingannare, essere ingannato, peccare, perire, ignorare qualcosa; tutti
attributi di esseri, le cui operazioni sono imperfette. Appunto perché
l'operazione di Dio è sempre perfettissima, diciamo che non può compiere quelle
azioni, le quali sono indizio di debolezza, non già di una somma e infinita
potenza operativa, quale egli possiede. In conclusione noi crediamo Dio
onnipotente, rimuovendo da lui con ogni cura tutto ciò che sia difforme e
contrario alla perfezione suprema della sua essenza.
15 Necessità e utilità della fede nell'onnipotenza di Dio
24 II parroco mostrerà con
quanta sapienza nel Simbolo sia stato proposto alla nostra fede quest'unico
attributo di Dio, tralasciati gli altri che gli convengono. In realtà,
proclamando Dio onnipotente, implicitamente veniamo a riconoscerlo onnisciente,
dominatore e signore dell'universo. Inoltre, se riteniamo per certo che egli
può fare tutto, ne segue che riconosceremo in lui tutte quelle altre
perfezioni, mancando le quali ci riuscirebbe incomprensibile l'esercizio della
onnipotenza. Infine nulla meglio della persuasione che Dio tutto può fare
potrebbe corroborare in noi i sentimenti di fede e di speranza. La ragione,
guadagnata la nozione dell'onnipotenza divina, aderirà senza ombra di
esitazione a qualunque cosa sia necessario credere, per quanto insigne e
mirabile, per quanto superiore alle leggi e all'ordine di natura. Anzi riterrà
tanto più agevolmente doversi prestar fede, quanto più sublimi sono le
manifestazioni degli oracoli divini. Così, sul terreno delle sante speranze,
l'animo sarà sbigottito dalla grandezza della meta agognata, ma trarrà coraggio
e fiducia dal pensiero frequente che nulla è impossibile all'onnipotenza di
Dio.
Di questa fede dovremo in
particolar modo premunirci quando ci accingiamo a compiere qualcosa di notevole
per il vantaggio del prossimo, o quando con le preghiere desideriamo impetrare
qualcosa da Dio. Per il primo caso lo stesso Signore ci ammaestrò quando,
rimproverando agli Apostoli la loro incredulità, esclamò: "Se avrete fede
quanto un granello di senapa, direte a questo monte: passa di là; e passerà e
niente vi sarà impossibile" (Mt 17,20). Per il secondo, abbiamo la
testimonianza di san Giacomo: "Chi chiede, chieda con fede, senza esitare;
chi esita, è simile all'onda del mare, spinta in ogni lato dal vento e non
s'illuda di ottener qualcosa da Dio" (Gc 1,6.7).
Tale fede del resto ci
procura parecchi altri importanti vantaggi: ci educa anzitutto alla modestia e
all'umiltà dello spirito, come suggerisce il principe degli Apostoli:
"Umiliatevi sotto la potente mano di Dio" (1 Pt 5,6). In secondo
luogo ci insegna a non tremare, poiché null'altro v'è da temere se non Dio
solo, che tiene in suo potere noi e tutte le nostre cose. Ammonisce infatti il
Salvatore: "Io vi additerò chi dobbiate temere: temete colui che, dopo
avervi tolta la vita, ha potere di mandarvi all'inferno" (Lc 12,5).
Infine ci aiuta a riconoscere
e a celebrare i benefici immensi che Dio ci ha elargito; poiché chi riconosce
Dio onnipotente, non può avere ingratitudine sì nera da non gridare
spessissimo: "Grandi cose ha fatto per me colui che è potente" (Lc
1,49).
16 L'onnipotenza è principalmente attribuita al Padre
25 Dal fatto che in questo
articolo chiamiamo onnipotente il Padre, nessuno sia tratto erroneamente a
pensare che tale attributo a lui convenga, senza essere parimenti comune al
Figlio e allo Spirito Santo. Poiché come diciamo Dio il Padre, Dio il Figlio,
Dio lo Spirito Santo, pur non riconoscendo tré dei, bensì un solo Dio, così
pure confessiamo l'onnipotenza del Padre, del Figlio e dello Spirito, senza
riconoscere tre onnipotenti, ma un solo onnipotente. Tuttavia al Padre più
particolarmente riserviamo tal nome, perché fonte di qualsiasi origine; come in
particolare si attribuisce al Figlio, eterno Verbo del Padre, la sapienza, e
allo Spirito Santo, Amore di entrambi, la bontà; quantunque questi e simili
attributi appartengano, secondo la regola della fede cattolica, solidalmente a
tutte e tre le Persone.
26 CREATORE DEL CIELO E DELLA
TERRA. Quanto ora diremo per spiegare la creazione dell'universo, mostrerà come
sia necessario istruire in antecedenza i fedeli circa l'onnipotenza di Dio. Non
avendo infatti lasciato alcun dubbio sulla potenza sconfinata del Creatore, è
così agevolata la fede nel prodigio di sì grande opera. Dio non ha formato il
mondo da una materia preesistente, ma lo creò dal nulla, non costretto dalla
violenza o dalla necessità, ma di propria spontanea volontà. L'unica causa che
lo spinse all'atto creativo fu il desiderio di espandere la sua bontà sulle
cose create. La natura di Dio infatti, beatissima in sé, non ha bisogno di
nulla, secondo le parole di David: "Io ho detto al Signore: tu sei il mio
Dio, perché non hai bisogno dei miei beni" (Sal 15,2). Ma come, indotto
dalla sua sola bontà, ha compiuto tutto ciò che ha voluto, così gettando le
basi dell'universo non si è uniformato a un esemplare o a un disegno esistente
fuori di lui. Infatti se la sua intelligenza racchiude in se stessa i prototipi
di tutte le cose, il sovrano Artefice, contemplandoli in sé e quasi imitandoli,
creò all'inizio le realtà dell'universo, con la sapienza e potenza infinita che
gli sono proprie. Egli parlò e le cose furono; comandò e vennero create (Sal
32,9).
Nei termini poi cielo e terra
occorre intendere tutto quanto essi contengono. Ai cieli infatti, che il
Profeta chiamò opera delle sue dita (Sal 8,4), Dio aggiunse il luminoso
ornamento del sole, della luna, delle rimanenti stelle e, affinché servissero a
distinguere le stagioni, i giorni, gli anni, dispose il corso sicuro e costante
dei globi celesti, in modo che nulla appaia più mobile del loro orbitare
perpetuo, nulla più certo del loro movimento.
17 Creazione degli angeli
27 Dio inoltre trasse dal
nulla il mondo spirituale e gli angeli innumerevoli, perché gli fossero
ministri assidui, arricchendoli poi con i doni della sua ineffabile grazia e
del suo alto potere. Le parole infatti della Sacra Scrittura: "II diavolo
non perseverò nel vero" (Gv 8,44), dimostrano nettamente come esso e gli
altri angeli apostati avevano dalla loro origine ricevuto la grazia. Dice in
proposito sant'Agostino: "Dio creò gli angeli dotati di retta volontà,
vale a dire animati da un casto amore, che a lui li avvinceva, dando loro
l'essere ed elargendo insieme la grazia. Possiamo perciò ritenere che gli
angeli santi non furono mai sprovvisti di rettitudine nella volontà, cioè
dell'amor di Dio" (sant'Agostino, De civit. Dei, 12, 9, 2). Riguardo alla
loro scienza, abbiamo la dichiarazione dei Libri sacri: "Ma tu, mio
signore, sei sapiente, come è sapiente l'angelo di Dio, sì che tutto conosci
sulla terra" (2 Re 14,20). Infine il santo re David attribuisce loro la
potenza, dichiarando potenti gli angeli per intima virtù ed esecutori
dell'ordine divino (Sal 102,20). Anzi le Sacre Scritture li chiamano spesso
forze ed eserciti del Signore. Purtroppo, sebbene tutti arricchiti di tali doni
celesti, molti, avendo ripudiato Dio loro padre e creatore, furono espulsi
dalle sublimi sedi e chiusi nel carcere oscurissimo della terra, dove pagano
eternamente la pena della loro superbia. Di essi parla san Pietro: "Dio
non ha risparmiato gli angeli peccatori, ma li ha precipitati nell'inferno,
abbandonandoli agli abissi delle tenebre, dove li mantiene per il
Giudizio" (2 Pt 2,4).
18 Creazione dei viventi
28 Dio inoltre con la sua
parola volle che la terra, ben fondata sulla sua stabilità, avesse posto nella
parte centrale del mondo; e fece si che le montagne si innalzassero e le valli
si aprissero nei punti designati (Sal 103,8.9). E perché l'acqua non la
sommergesse, fissò il confine oltre il quale mai si spingesse l'inondazione.
Quindi vi spiegò sopra una magnifica veste di alberi, di erbe, di fiori e, come
antecedentemente aveva popolato l'acqua e l'aria di innumerevoli specie di
animali, cosi fece per la terra.
19
20 Creazione dell'uomo
29 Infine Dio trasse dal
fango l'uomo, organizzandolo corporalmente in modo tale da divenire
suscettibile, non per forza di natura, ma per beneficio divino, di immortalità
e d'impassibilità. Creò poi la sua anima a immagine e similitudine propria,
dotandolo di libero arbitrio e temperando in lui gli istinti e gli appetiti in
modo che mai potessero sopraffare il dominio della ragione. Aggiunse il
meraviglioso dono della giustizia originale e volle che l'uomo comandasse a
tutti gli ammali. Tutto ciò del resto potrà essere attinto agevolmente dai
parroci, per l'istruzione dei fedeli, dalla storia sacra del Genesi.
Ecco così spiegato quel che
deve intendersi nell'inciso relativo alla creazione del cielo e della terra. Il
profeta aveva già tutto brevemente riassunto con le parole: "Tuoi sono, o
Signore, i cieli e la terra; tu hai fondato il globo terracqueo e quanto lo
riempie" (Sal 88,12). Molto più sinteticamente si espressero i Padri del
Concilio Niceno, introducendo nel Simbolo due soli vocaboli: "le cose
visibili e le invisibili". Tutto ciò, infatti, che è compreso
nell'universo e riconosciamo creato da Dio, o cade sotto la percezione dei
nostri sensi ed è detto visibile, o può essere percepito solamente dalla nostra
ragione e intelligenza, ed è chiamato invisibile.
21 La divina Provvidenza
30 Non dobbiamo però
concepire la nostra fede in Dio, creatore e autore di tutte le cose, in modo da
supporre che queste, compiutasi l'opera creativa, possano sussistere
indipendentemente dalla sua potenza infinita. Come tutto, per assurgere
all'esistenza, fu suscitato dalla saggia e buona onnipotenza del Creatore, così
tutto ripiomberebbe istantaneamente nel nulla, se l'eterna sua Provvidenza non
assistesse il creato e non lo conservasse con la medesima virtù che gli diede
l'essere. Lo attesta la Sacra Scrittura: "Che cosa potrebbe sussistere, se
tu non lo volessi? E se non fosse ognora sorretto da te, che cosa potrebbe
conservarsi?" (Sap 11,26).
Dio non solamente tutela e
regge l'universo con la sua Provvidenza, ma spinge con intima efficacia al
movimento e all'azione tutto ciò che si muove e opera nel mondo, non già
sopprimendo l'efficienza delle cause seconde, bensì prevenendola. La sua
efficacia misteriosa raggiunge le singole realtà e, secondo la parola della
Sapienza, opera con potenza da un'estremità all'altra (del mondo) e tutto
governa soavemente (Sap 8,1).
Annunciando agli Ateniesi
quel Dio che essi adoravano senza conoscerlo, l'Apostolo esclamava: "Egli
non è lontano da ciascuno di noi, poiché in lui abbiamo la vita, il movimento e
l'essere" (At 17,27.28).
22 L'atto creativo è comune alla santissima Trinità
31 E basti per quanto
riguarda la spiegazione del primo articolo. Aggiungeremo tuttavia che l'opera
della creazione è comune a tutte le Persone della santa e indivisa Trinità.
Poiché, mentre in questo articolo del Simbolo degli Apostoli confessiamo Dio
Padre, creatore del cielo e della terra, nelle Sante Scritture leggiamo del
Figlio: "Tutto è stato fatto per suo mezzo" (Gv 1,3) e dello Spirito
Santo: "Lo Spirito del Signore aleggiava sulle acque" (Gn 1,2); e
altrove: "Nel Verbo del Signore i cieli sono stati resi stabili e dallo
Spirito della sua bocca è profluito ogni loro pregio" (Sal 32,6).
Articolo 2
23 E IN GESÙ CRISTO, SUO UNICO FIGLIOLO, NOSTRO SIGNORE
Utilità dell'articolo
32 Quanto mirabile e ricco
vantaggio si sia riversato su tutto il genere umano dalla fede e dalla
confessione di questo articolo lo mostrano da una parte la testimonianza di san
Giovanni: "Chi professerà che Gesù è Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed
egli in Dio" (1 Gv 4,15); dall'altra quell'attestato di beatitudine,
elargito da nostro Signore al principe degli Apostoli: "Beato te, Simone,
figlio di Giona, perché non te l'ha rivelato la carne e il sangue, ma il Padre
mio che è nei cieli" (Mt 16,17). Qui sta il fondamento più saldo della
nostra salvezza e redenzione. Ma per intenderne appieno le ripercussioni
benefiche, occorre insistere specialmente sulla perdita di quel felicissimo
stato, in cui Dio aveva collocato i primi rappresentanti del genere umano. Curi
perciò il parroco che i fedeli vengano a conoscere la causa delle nostre misere
condizioni.
24 La caduta dell'uomo
33 Adamo mancò all'obbedienza
verso Dio con il trasgredirne il comando: "Mangerai i frutti di qualsiasi
albero del paradiso, ma non toccherai quelli dell'albero della scienza del bene
e del male, poiché il giorno in cui li toccherai ne morrai" (Gn 2,16.17).
Cadde perciò in tanta disgrazia da perdere senz'altro la santità e la giustizia
in cui era stato posto e da subire tutti quegli altri malanni che il Concilio
Tridentino spiegò ampiamente (sess. 5, can. 1, 2; sess. 6, can. 1). Ricorderanno
i pastori che il peccato e la sua pena non sono rimasti circoscritti al solo
Adamo, ma da lui, seme e causa, si sono naturalmente propagati a tutta la
posterità.
25
26 Necessità della fede nel Redentore
34 Risollevare il genere
umano precipitato dall'altissimo grado di dignità, ricondurlo al suo primiero
stato, non era impresa proporzionata alle forze degli uomini o degli angeli.
L'unico rimedio possibile alla rovina e ai mali era che l'infinita virtù del
Figlio di Dio, assunta la fragilità della nostra carne, cancellasse l'infinita
malizia del peccato e a Dio ci riconciliasse a prezzo del suo sangue.
Credere e professare il
mistero della redenzione è e fu sempre per gli uomini necessario al
conseguimento della salvezza; per questo Dio l'annunzio fin dall'inizio. Cosi,
nell'atto stesso di condanna, scagliato sull'uman genere subito dopo il
peccato, fu indicata la speranza della redenzione nelle parole con cui
preannunziò al demonio la sconfitta, a cui l'avrebbe costretto con la
liberazione degli uomini: "Porrò inimicizia fra te e la donna, tra il tuo
e il suo seme; essa ti schiaccerà il capo e tu insidierai il suo tallone"
(Gn 3,15). Più tardi confermò ripetute volte la medesima promessa, manifestando
il proprio disegno in una maniera più esplicita, soprattutto a coloro cui volle
dar prova di singolare benevolenza. Tale mistero fu spesso accennato, fra gli
altri, al patriarca Abramo e in modo apertissimo quando egli, docile ai comandi
di Dio, stette per immolare l'unico suo figlio Isacco. Disse infatti: "Poiché
hai fatto ciò, non risparmiando il tuo unigenito, ti benedirò e moltiplicherò
la tua progenie come le stelle del cielo e l'arena innumerevole sulla sponda
del mare. Possederà essa le porte dei tuoi nemici; nel seme tuo saranno
benedette tutte le genti della terra, perché obbedisti alla mia voce" (Gn
22,16-18), dalle quali parole era naturale ricavare che dalla progenie di
Abramo sarebbe uscito colui che doveva donare la salvezza a tutti gli
affrancati dal giogo immane di Satana. Ora il liberatore non poteva essere
altri che il Figlio di Dio, uscito dalla progenie di Abramo, secondo la carne.
Poco più tardi, perché il
ricordo della promessa fosse conservato, il Signore strinse il medesimo patto
con Giacobbe, nipote di Abramo. Nel sogno gli apparve infatti una scala
poggiata sulla terra e toccante con l'apice i cieli, e sulla scala vide gli
angeli di Dio scendere e salire, come narra la Scrittura. E udì il Signore, dal
sommo della scala, dirgli: "Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo
padre, il Dio di Isacco; darò la terra su cui dormi a te e alla tua posterità,
numerosa come la polvere della terra. Ti propagherai a oriente e a occidente, a
settentrione e a mezzogiorno; saranno benedette in te e nella tua semenza tutte
le tribù della terra" (Gn 28,12-14).
Dio non ristette poi dal
rinnovare la promessa, suscitando il senso dell'attesa tra i discendenti di
Abramo e tra molti altri ancora. Anzi, bene organizzatasi la società e la
religione dei Giudei, essa divenne anche più nota in mezzo al popolo. Molte furono
le figure e molte le profezie delle grandi cose buone che il salvatore e
redentore nostro Cristo ci avrebbe arrecato. In particolare i Profeti, il cui
spirito era illuminato da luce celeste, apertamente, quasi vi fossero presenti,
preannunziarono al popolo la nascita del Figlio di Dio, le opere ammirabili
che, fatto uomo, avrebbe compiuto, la sua dottrina, i costumi, la sua vita, la
morte, la risurrezione e tutti gli altri suoi misteri. Sicché, se prescindiamo
dalla diversità, che è tra futuro e passato, vediamo che nessuna divergenza
sussiste tra le predizioni dei profeti e la predicazione degli Apostoli, tra la
fede dei vecchi Patriarchi e la nostra. Spieghiamo ora tutte le parti di questo
articolo.
27 Il nome di Gesù, imposto per divino comando, è ben appropriato al Redentore
35 IN GESÙ CRISTO. Gesù, che
significa "salvatore", è il nome proprio di colui che è Dio e uomo.
Non gli fu imposto a caso o per volontà e decisione umana, bensì per decisione
e comando di Dio. Infatti l'angelo annunciò alla madre di lui. Maria:
"Ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, al quale porrai nome
Gesù" (Le 1,31). E più tardi non solo comandò a Giuseppe, sposo della
Vergine, di chiamare il bambino con quel nome, ma ne addusse anche la ragione,
dicendo: "Giuseppe, figlio di David, non esitare a prender Maria in tua
consorte; poiché quel ch'è nato in lei, è da Spirito Santo. Partorirà un
figliolo, cui porrai nome Gesù; perché egli libererà il suo popolo dai suoi
peccati" (Mt 1,20-21).
Molti personaggi veramente
portano nella Sacra Scrittura questo nome: per esempio il figlio di Nave, che
successe a Mosè e, cosa a questo negata, introdusse nella terra promessa il
popolo liberato da lui dall'Egitto; e il figlio del gran sacerdote losedech. Ma
con quanta maggiore verità non troviamo noi che esso conviene al nostro
Salvatore. Egli infatti conferì la luce, la libertà, la salvezza non a un
popolo, ma all'umanità di tutti i tempi; umanità non già oppressa dalla fame o
dal dominio egiziano o babilonese, bensì sperduta nell'ombra della morte,
gemente nei durissimi ceppi del peccato e del diavolo; guadagnò per lei il
diritto ereditario al regno celeste e la riconciliò con Dio Padre.
In quei personaggi dobbiamo
scorgere raffigurato Cristo Signore, dal quale il genere umano fu ricolmato dei
doni mentovati. Tutti i nomi del resto, che furono preannunziati come riferiti,
per disposizione divina, al Figlio di Dio, si riassumono in quest'unico nome di
Gesù; poiché mentre essi esprimono, ciascuno sotto un parziale punto di vista,
la salvezza che egli ci doveva impartire, questo abbraccia l'efficacia e la
ragione della universale salvezza umana.
28 Gesù Cristo re, sacerdote, profeta
36 Al nome di Gesù è stato
accoppiato quello di Cristo, che significa "Unto" ed è titolo di
onore e di ministero, riservato però non a uno solo, ma a diversi uffici,
perché gli antichi Padri chiamavano cristi i sacerdoti e i re che Dio aveva
comandato di ungere, in vista della dignità del loro ufficio. In realtà i
sacerdoti sono coloro che raccomandano a Dio, con l'assidua preghiera, il
popolo, offrono a Dio sacrifici, implorano per la gente. Ai re poi è affidato
il governo dei popoli; a essi spetta soprattutto tutelare il prestigio delle
leggi e la vita degli innocenti, vendicare l'audacia dei perversi. Ora poiché tali
funzioni sembrano rispecchiare sulla terra la maestà di Dio, era naturale che i
candidati all'ufficio sacerdotale o regale fossero unti con unguento. Fu anche
antica consuetudine ungere i Profeti, interpreti di Dio immortale, araldi fra
gli uomini dei celesti segreti, esortatori efficaci alla correzione dei
costumi, per mezzo di precetti e di previsioni.
Venendo al mondo, il nostro
salvatore Gesù Cristo assunse l'ufficio della triplice personalità di profeta,
di sacerdote e di re; per questo è stato chiamato Cristo ed è stato unto, allo
scopo di assolvere il molteplice compito, non per le mani di alcun mortale, ma
per virtù del Padre celeste: non con unguento terreno, ma con olio spirituale.
Nella sua santissima anima infatti fu versata una pienezza di doni dello
Spirito Santo, più ricca e generosa di quella che alcuna natura creata possa
ospitare. Lo aveva mirabilmente annunciato il profeta, rivolgendosi
direttamente al Redentore: "Tu hai amato la giustizia e odiato l'iniquità;
perciò il Signore, tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia sopra i tuoi
compagni" (Sai 44,8). E anche più esplicitamente l'aveva mostrato Isaia:
"Lo Spirito del Signore è sopra di me, avendomi unto e mandato a
evangelizzare i mansueti" (Is 61,1).
Gesù Cristo fu dunque il
profeta e il maestro per eccellenza, poiché ci fece manifesta la volontà di Dio
e dal suo insegnamento il mondo intero attinse la conoscenza del Padre celeste.
Tale qualifica gli conviene tanto più propriamente, in quanto tutti coloro che
meritarono il nome di Profeti furono suoi discepoli, inviati con il precipuo
scopo di annunziare lui, il profeta che sarebbe venuto per la salvezza di
tutti.
Parimenti Cristo fu
sacerdote, non di quell'ordine sacerdotale cui appartennero nell'antica legge i
sacerdoti della tribù di Levi, ma di quello cantato da David con le parole:
"Tu sei sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedech" (Sal
109,4); concetto accuratamente spiegato dall'Apostolo nella lettera agli Ebrei.
Infine in Cristo riconosciamo un re, non solo in quanto Dio, ma anche in quanto
uomo e partecipe della nostra natura, avendo di lui dichiarato l'angelo:
"Regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe e il suo regno non conoscerà
tramonto" (Le l,32s). Il regno di Cristo però è spirituale ed eterno: iniziato
sulla terra, si corona in cielo. Egli esercita mirabilmente le prerogative
regali nella Chiesa governandola, proteggendola dall'impeto e dalle imboscate
dei nemici, imponendole leggi e non solo elargendole santità e giustizia, ma
dandole capacità e forza sufficiente per perseverare. Sebbene nei confini di
tal regno siano promiscuamente compresi buoni e cattivi e quindi tutti gli
uomini a rigore vi appartengano, tuttavia coloro che, uniformandosi ai suoi
precetti, conducono vita integra e pura, sperimentano sopra ogni altro l'esimia
bontà e beneficenza del nostro Re. Tale regno non toccò a Gesù Cristo per
essere rampollo di illustri sovrani, in virtù di un diritto ereditario o
comunque umano: egli fu re perché nella sua umanità Dio concentrò quanto la
natura umana può possedere di potenza, di grandezza, di dignità. Con ciò stesso
Dio gli conferì il regno del mondo intero e tutto nel dì del giudizio sarà
pienamente e perfettamente sottoposto a lui, come già del resto si comincia a
vedere nella vita presente.
Gesù Cristo è Figlio di Dio
per generazione ineffabile
37 Suo UNICO FIGLIOLO. Queste
parole propongono alla fede e alla meditazione dei cristiani misteri anche più
alti intorno a Gesù e precisamente che egli è Figlio di Dio e vero Dio, uguale
al Padre, che lo generò fin dall'eternità. Inoltre riconosciamo così che egli è
la seconda Persona della Trinità, del tutto uguale alle altre due. Non si può
infatti immaginare qualcosa di vario e di dissimile nelle Persone divine,
avendo m tutte ammesso la stessa essenza, volontà e potenza. Questo articolo di
fede risulta da molti tratti biblici, ma soprattutto dal celeberrimo testo di
san Giovanni: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il
Verbo era Dio" (Gv 1,1).
Sentendo che Gesù è Figlio di
Dio, non dobbiamo ricorrere con il pensiero a una origine che implichi qualche
elemento terreno o mortale. Noi non possiamo cogliere con la ragione e
compiutamente comprendere l'atto mediante il quale, da tutta l'eternità, il
Padre generò il Figlio; però lo dobbiamo credere con fermezza e venerare con il
più intimo ossequio del cuore, esclamando, stupiti avanti al mirabile mistero,
con il Profeta: "Chi spiegherà la sua generazione?" (Is 53,8).
Dobbiamo dunque ritenere che il Figlio possiede la medesima natura, potenza e
sapienza del Padre, come confessiamo più apertamente nel Simbolo niceno:
"In Gesù Cristo suo unico Figliolo, nato dal Padre prima di tutti i
secoli; Dio da Dio, luce da luce, vero Dio da vero Dio; generato, non fatto,
consustanziale al Padre; per mezzo di lui tutto è stato fatto".
29 Duplice natività e filiazione di Gesù Cristo
38 Tra le diverse
similitudini presentate per adombrare la maniera e la natura della generazione
eterna, la più felice è quella ricavata dalla genesi del pensiero umano. San
Giovanni appunto chiama Verbo il Figlio di Dio. Infatti, come la nostra mente,
intuendo in certo modo se stessa, foggia un'immagine di sé, che i teologi
chiamano "verbo", così Dio (per quanto è dato paragonare con le
realtà umane le divine), comprendendo sé, genera il Verbo eterno. Ma vai meglio
arrestarsi a contemplare quel che la fede propone; cioè credere e professare
che Gesù Cristo è insieme vero Dio e vero uomo; generato, come Dio, prima
dell'alba dei secoli, dal Padre; come uomo, nato nel tempo da Maria, vergine e
madre.
30 Gesù Cristo unica Persona e unico Figlio del Padre
39 Pur riconoscendo la sua
duplice generazione, crediamo unico il Figlio, perché è un'unica persona, in
cui convergono la natura divina e l'umana. Sotto l'aspetto della generazione
divina non ha fratelli o coeredi, perché Figlio unico del Padre; mentre noi
uomini siamo opera e formazione delle sue mani. Sotto l'aspetto invece
dell'origine umana, egli non solo chiama molti con il nome di fratelli, ma
anche li tratta come tali, affinché con lui raggiungano la gloria dell'eredità
paterna. Son coloro che ricevettero con fede Gesù Cristo Signore e manifestano
in pratica, con le opere di carità, la fede oralmente professata. In questo
senso egli fu chiamato dall'Apostolo: "Primogenito fra una moltitudine di
fratelli" (Rm 8,29).
31 Gesù Cristo è nostro Signore secondo le due nature
40 NOSTRO SIGNORE. Le Sacre
Scritture attribuiscono al Salvatore molteplici qualità, di cui alcune
chiaramente gli spettano come Dio, altre come uomo, avendo egli in sé, con la
duplice natura, le proprietà rispettive. Rettamente dunque dicevamo che Gesù
Cristo, per la sua natura divina, è onnipotente, eterno, immenso; mentre per la
sua natura umana, diciamo che ha patito, è morto, è risorto. Ma, oltre questi,
altri attributi convengono a entrambe le nature, come quando, in questo
articolo, lo diciamo nostro Signore; a buon diritto del resto, potendosi
riferire tale qualifica all'una e all'altra natura.
Infatti egli è Dio eterno
come il Padre; così pure è Signore di tutte le cose quanto il Padre. E come
egli e il Padre non sono due distinti dei, ma assolutamente lo stesso Dio, così
non sono due Signori distinti. Ma anche come uomo, per molte ragioni è chiamato
Signore nostro. Anzitutto perché fu nostro Redentore e ci liberò dai nostri
peccati, giustamente ricevette la potestà di essere vero nostro Signore e
meritarne il nome. Insegna infatti l'Apostolo: "Si umiliò, fattosi
ubbidiente fino alla morte e morte di croce; perciò Dio lo ha esaltato,
conferendogli un nome, che è sopra ogni altro, onde al nome di Gesù ogni
ginocchio si pieghi, in cielo, in terra, nell'inferno; e ogni lingua proclami
che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre" (Fil 2,8-11 ).
Egli stesso disse di sé dopo la risurrezione: "Mi è stato conferito ogni
potere in cielo e sulla terra" (Mt 28,18). Inoltre è chiamato Signore per
aver riunito in una sola Persona due nature, la divina e l'umana. Per questa
mirabile unione meritò, anche senza morire per noi, d'essere costituito quale
Signore, sovrano di tutte le creature in genere e specialmente dei fedeli che
gli obbediscono e lo servono con intimo affetto.
32 Quanto il cristiano debba a Gesù Cristo
41 Infine il parroco esorterà
il popolo fedele a riconoscere quanto sia giusto che noi, sopra tutti gli
uomini - avendo tratto da lui il nome di cristiani e non potendo ignorare gli
immensi benefici di cui ci ha ricolmato, anche perché la sua bontà ce li fece
conoscere per fede - ci consacriamo per sempre come servi docili al Redentore e
Signor nostro. Promettemmo di farlo quando l'iniziazione battesimale ci schiuse
le porte della Chiesa. Dichiarammo allora di rinunciare a Satana e al mondo e
di donarci tutti a Gesù Cristo. Se dunque per essere introdotti nella milizia
cristiana ci consacrammo a nostro Signore con sì santa e solenne promessa, di
qual supplizio non saremo meritevoli, se dopo aver passato la soglia della
Chiesa, dopo aver conosciuto la volontà e la legge di Dio e aver usufruito
della grazia dei sacramenti, vivessimo secondo le prescrizioni e le massime del
mondo e del diavolo, quasi che nell'atto del battesimo, non a Cristo Signore e
Redentore avessimo dato il nostro nome, ma al mondo e a Satana? Ma in quale
anima non accenderà fuochi di amore la volontà di così grande Signore, tanto
benigna e propizia verso di noi, che, pur avendoci in suo completo potere,
quali servi riscattati con il suo sangue, ci circonda di così profondo amore
che non ci chiama servi, ma amici e fratelli? (Gv 15,15). Questa, senza dubbio,
è la causa più giusta, e forse la maggiore, per riconoscerlo, venerarlo,
servirlo sempre come nostro Signore.
Articolo 3
33 IL QUALE FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO, NACQUE DA MARIA VERGINE
Significato dell'articolo
42 Da quanto è stato esposto
nell'articolo precedente i fedeli possono comprendere quale prezioso e
singolare beneficio Dio abbia accordato al genere umano, chiamandoci, dalla
schiavitù di un tiranno crudelissimo, alla libertà. Se poi esamineremo il piano
e i mezzi coi quali volle attuare ciò, vedremo come nulla ci sia di più insigne
e meraviglioso della benevolenza e bontà divina verso di noi.
Fu CONCEPITO DI SPIRITO
SANTO. Il parroco comincerà a mostrare, spiegando il terzo articolo, la
grandezza di questo mistero, che le Sacre Scritture propongono spesso alla
nostra meditazione, come il cardine fondamentale della nostra salvezza.
Insegnerà che il suo significato è questo: noi dobbiamo credere e professare
che lo stesso Gesù Cristo, unico Signor nostro, Figlio di Dio, assumendo per
noi carne umana nel seno di una Vergine, fu concepito, non già da germe virile,
come gli altri uomini, ma per virtù dello Spirito Santo, sopra ogni legge di
natura (Mt 1,20; Le 1,35). Restando la stessa Persona divina che era
dall'eternità, divenne uomo; ciò che prima non era. Che quelle parole si
debbano intendere cosi, risulta nettamente dalla professione di fede del sacro
Concilio di Costantinopoli, dove è detto: "Per noi uomini e per la nostra
salvezza discese dal cielo; si incarnò nel seno di Maria Vergine per opera
dello Spirito Santo e si fece uomo".
Il medesimo concetto spiegò
san Giovanni Evangelista, che aveva attinto la conoscenza di questo sublime
mistero sul petto del Salvatore. Esposta la natura del Verbo divino con le
parole: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo
era Dio" (Gv 1,1), conclude: "E il Verbo si fece carne e abitò fra
noi" (ibid. 14). Il Verbo appunto, che è una delle ipostasi della natura
divina, ha assunto la natura umana in modo che unica fosse l'ipostasi e la
persona delle due nature: la divina e l'umana. Sicché la meravigliosa unione
delle due nature conservò le azioni e proprietà dell'una e dell'altra e,
secondo la frase del pontefice san Leone Magno, la sublimazione non annullò
l'inferiore natura, come l'assunzione non degradò la superiore (Sermo 1, De
Nativ. 2).
34 L'opera dell'incarnazione, comune a tutta la Trinità, è in modo speciale attribuita allo Spirito Santo
43 Non dovendosi però
trascurare la delucidazione dei termini, il parroco insegnerà che se diciamo il
Piglio di Dio, concepito per virtù dello Spirito Santo, non vogliamo asserire
che il mistero dell'incarnazione fu compiuto unicamente da questa Persona della
divina Trinità. Se il solo Figlio assunse natura umana, tuttavia tutte le tre
divine Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, furono autrici del mistero. E
infatti regola imprescindibile della fede cristiana che quanto Dio opera fuori
di sé, nel creato, è comune alle tre Persone, delle quali nessuna fa qualcosa
senza o più dell'altra.
Solamente questo non può
essere comune a tutte: che una Persona proceda dall'altra. Il Figlio infatti è
generato solamente dal Padre; lo Spirito Santo poi procede dal Padre e dal
Figliolo. Fuori di ciò, le tre Persone compiono insieme, senza alcuna
discrepanza, tutto ciò che deriva da esse fuori di loro e in questa classe di
operazioni va collocata l'incarnazione del Figlio di Dio. Ciò nonostante tra le
proprietà comuni a tutte e tre le divine Persone ve n'è di quelle che le Sacre
Scritture sogliono attribuire all'una o all'altra delle Persone e cioè: il
dominio di tutte le cose al Padre, la sapienza al Figlio, l'amore allo Spirito
Santo. E poiché il mistero della divina incarnazione esprime l'immensa e
mirabile benevolenza di Dio verso di noi, essa viene ascritta allo Spirito
Santo in precipua maniera.
35 L'incarnazione di Cristo implica elementi naturali e altri soprannaturali
44 Va notato che questo
mistero comprende fatti naturali e fatti soprannaturali. Riconosciamo anzitutto
la natura umana, nel ritenere che il corpo di Gesù Cristo è stato formato dal
purissimo sangue della Vergine Madre. E proprietà infatti dei corpi di tutti
gli uomini l'essere formati dal sangue della madre loro. Ma oltrepassa ogni
ordine di natura e ogni capacità di intelligenza umana il fatto che, non appena
la beata Vergine, consentendo all'angelico annuncio, pronunciò le parole:
"Ecco l'ancella del Signore, si faccia di me secondo quanto hai
detto" (Lc 1,38), immediatamente il corpo santissimo di Gesù Cristo fu
formato e a esso fu congiunta l'anima razionale, riuscendo nel medesimo istante
perfetto Dio e perfetto uomo. Nessuno può mettere in dubbio che si tratti qui
di un'originale e stupenda opera dello Spirito Santo; poiché nessun corpo può,
secondo il corso normale della natura, essere avvivato da anima umana, prima
del tempo prescritto.
Altra circostanza
meravigliosa fu questa: non appena l'anima fu unita al corpo, anche la divinità
si unì all'uno e all'altro. Perciò appena il corpo fu formato e animato, nel
medesimo istante al corpo e all'anima fu congiunta la divinità.
Da ciò segue che il Salvatore
fu nel medesimo istante perfetto Dio e perfetto uomo e che la Vergine
santissima potè realmente e propriamente essere chiamata Madre di Dio e madre
di un uomo, avendo concepito simultaneamente l'Uomo-Dio. L'angelo le aveva
annunciato: "Ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, cui porrai
nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo" (Lc
1,31). Così veniva in realtà verificata la predizione di Isaia: "Una
vergine concepirà e partorirà un figliolo" (Is 7,14). Il medesimo evento
aveva adombrato Elisabetta quando, ricolma di Spirito Santo, conobbe il
concepimento del Figlio di Dio ed esclamò: "Donde a me questo, che la
Madre del Signor mio venga a me?" (Lc 1,43).
Nell'anima di Gesù Cristo fu la pienezza di tutte le
grazie; ma Cristo non può esser detto per ciò figlio adottivo di Dio
45 Come il corpo di Gesù
Cristo, secondo quanto abbiamo detto, fu formato con il sangue purissimo della
più illibata tra le vergini, senza intervento alcuno di uomo, ma per sola virtù
dello Spirito Santo, così, non appena fu concepito, ebbe l'anima inondata dallo Spirito di Dio e dalla copia dei suoi
carismi. Come attesta san Giovanni (Gv 3,34), Dio non conferì a lui lo spirito
con parsimonia, come agli altri individui, adornati della santità e della
grazia, ma infuse nell'anima sua cosi copioso flusso di carismi, che tutti
dobbiamo attingervi (ibid. 1,16). Non ci è permesso però di chiamare Gesù
Cristo figlio "adottivo" di Dio, sebbene abbia ricevuto quello
spirito, in virtù del quale i santi conseguono l'adozione di figli di Dio.
Essendo Figlio di Dio per natura, non possono in verun modo convenirgli ne il
dono ne il titolo, impliciti nell'adozione.
Queste le delucidazioni che
ci è sembrato opportuno presentare intorno al mirabile mistero del divino
concepimento. Perché da esse discendano frutti salutari sopra di noi, i fedeli
dovranno soprattutto tener presenti alla memoria e scolpiti nel cuore questi
punti: che propriamente fu Dio ad assumere la nostra carne, facendosi uomo in
una maniera che né la mente può comprendere, né l'umana parola spiegare; e che
volle incarnarsi affinché noi uomini ritornassimo figli di Dio. Meditandoli con
attenta cura, non tralascino mai di credere e di adorare, con cuore confidente,
tutti i misteri racchiusi in questo articolo, astenendosi da ogni curiosa
indagine o analisi, che non sarebbero senza grave pericolo.
36 Maria Vergine partorì Cristo
46. NACQUE DA MARIA VERGINE. Ecco la seconda
parte di questo articolo. Il parroco la spiegherà con particolare cura, dovendo
i fedeli credere non solo che Gesù Cristo fu concepito per virtù dello Spirito
Santo, ma che nacque da Maria Vergine, dalla quale fu dato alla luce. Quanta
intima letizia scaturisca dalla contemplazione di questo mistero fu già
indicato dalla voce angelica, che prima recò al mondo la felicissima novella:
“Eccomi a recarvi l'annunzio di grande allegrezza per tutto il popolo" (Lc
2,10). Appare parimenti dal cantico della milizia celeste, intonato dagli
angeli: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini
di buona volontà" (ibid. 14). Così cominciava ad attuarsi la grandiosa
promessa di Dio ad Abramo, che dovevano un giorno essere benedette, nel seme
suo, tutte le nazioni (Gn 22,18). Infatti Maria, che noi proclamiamo e onoriamo
vera Madre di Dio, avendo partorito chi era insieme Dio e uomo, discendeva dal
re David.
37 Mirabile nascita di Gesù Cristo
47 Come il concepimento di
Cristo supera ogni ordine di natura, nella sua natività parimenti nulla
cogliamo che non sia divino. Nacque Gesù infatti dalla Madre (che cosa si
sarebbe mai potuto immaginare di più miracoloso?) senza detrarre alcunché alla
materna verginità. Come più tardi egli uscirà dalla tomba chiusa e sigillata e
penetrerà nel luogo dove saranno radunati i discepoli, nonostante le porte
serrate (Gv 20,19), o come i raggi del sole, per non uscire dall'ambito
dell'esperienza naturale di ogni giorno, attraversano la compatta sostanza del
vetro senza romperla o comunque lederla, in maniera molto più sublime Gesù
Cristo uscì dal seno materno, senza la minima offesa alla dignità verginale
della sua genitrice. Per questo ne celebriamo con lodi giustissime
l'incorruttibile e perpetua verginità, privilegio attuato per virtù dello
Spirito Santo, che assistè la Madre nel concepimento e nel parto, in modo da
conferirle la fecondità, conservandole la permanente integrità verginale.
38 Paragone fra Gesù Cristo e Adamo, fra Maria ed Eva
48 L'Apostolo chiama ripetute
volte Gesù Cristo nuovo Adamo (1 Cor 15,21.22) e lo paragona all'antico. In
realtà se tutti gli uomini muoiono nel primo, tutti sono richiamati a vita nel
secondo. E come Adamo è stato il padre del genere umano nell'ordine di natura,
così Gesù Cristo è per tutti l'autore della grazia e della gloria (Rm 5,14).
Parimenti si può stabilire un'analogia fra la Vergine Madre, seconda Eva, e la
prima: analogia corrispondente a quella sopra illustrata fra il secondo Adamo,
Cristo, e il primo.
Avendo creduto alle lusinghe
del serpente (Gn 3,6), Eva attirò sul genere umano la maledizione e la morte;
avendo Maria creduto all'annuncio dell'angelo, fece sì che la bontà di Dio
ridonasse agli uomini benedizione e vita. A causa di Eva nasciamo figli della
collera (Ef 2,3), ma da Maria ricevemmo Gesù Cristo, per merito del quale siamo
rigenerati come figli della grazia. A Eva fu detto: "Partorirai figli nel
dolore" (Gn 3,16); Maria fu esente dalla dura legge e, salva restando in
lei l'integrità della verginale pudicizia, partorì Gesù Cristo figlio di Dio,
senza alcun dolore, come sopra abbiamo detto.
39 Tipi e profezie dell'incarnazione del Signore
49 Essendo tanto numerose e
insigni le meraviglie racchiuse nel concepimento e nella natività, fu opportuno
che la divina Provvidenza ne preannunziasse l'avvento con molte immagini e
predizioni. I santi Dottori hanno interpretato come pertinenti a questo mistero
molti passi scritturali. Principalmente hanno inteso come figurativa la porta
del santuario, che Ezechiele vide serrata (£% 44,2); la pietra che, secondo la
visione di Daniele (Dn 2,34), si stacca, senza intervento umano, dalla montagna
e, divenuta a sua volta un alto monte, riempie tutta la terra; la verga di
Aronne che, unica tra le verghe dei capi di Israele, miracolosamente fiorisce
(Nm 17,8); il roveto infine che Mosè vide ardere, senza consumarsi (Es 3,2). Del
resto l'Evangelista narra minutamente la storia della natività di Gesù Cristo
(Lc 2) e a noi non conviene insistervi, potendo il parroco leggerla
direttamente.
40 L'incarnazione di Gesù Cristo mirabile esempio di umiltà
50 II parroco dovrà spiegare
assiduo zelo, affinché tali misteri, registrati per nostra istruzione (Rm
15,4), aderiscano intimamente all'intelletto e al cuore dei fedeli. Anzitutto
perché il ricordo di così segnalato beneficio li spinga a tributarne grazie
all'autore Dio; in secondo luogo, perché dinanzi ai loro occhi sia stimolo alla
imitazione un così meraviglioso esempio di umiltà. Riflettere spesso alla
maniera in cui Dio volle umiliarsi per comunicare la propria gloria agli
uomini, fino ad assumerne la fragile infermità; meditare la degnazione di un
Dio che si fa uomo e pone a servizio dell'uomo quella sua infinita maestà, al
cui cenno, secondo la parola biblica, tremano di sbigottimento le colonne del
cielo (Gb 26,11); contemplare il mistero della nascita sulla terra di chi è nei
cieli adorato dagli angeli, costituiscono senza dubbio l'esercizio più utile ai
nostri spiriti, il più efficace per debellare la nostra superbia. Se Dio compì
tutto ciò per noi, che cosa non dovremo far noi per obbedirgli? Con quanta
prontezza e alacrità d'animo non dovremo noi prediligere e attuare tutti i
doveri dell'umiltà!
Riflettano i fedeli di quanta
salutare dottrina Cristo pargolo ci nutre, prima di articolare parola. Ecco:
nasce povero; è respinto dall'albergo; nasce in una miserrima stalla a mezzo
inverno. Scrive infatti san Luca: "E avvenne che, mentre ivi si trovavano,
si compì per lei il tempo del parto e partorì il suo Figlio primogenito; lo
fasciò e lo pose in una mangiatoia, perché non trovarono posto
nell'albergo" (Lc 2,6.7). Avrebbe potuto l'Evangelista nascondere sotto
parole più umili la maestà e la gloria che riempiono il cielo e la terra? Non
dice genericamente che non v'era più posto nell'albergo; ma che non ve n'era
per colui che può dire: "Mia è la terra con quanto contiene" (Sal 49,12).
Tale testimonianza ha la conferma di un altro Evangelista: "Venne nella
sua proprietà e i suoi non l'accolsero" (Gv 1,11).
41 L'incarnazione manifesta la dignità umana
51 Mentre mediteranno tutto
ciò, i fedeli non dimenticheranno che Dio volle sottostare all'umile fragilità
della nostra carne, affinché il genere umano fosse innalzato al più alto
livello della dignità. Sufficientemente traspare la nobiltà insigne, conferita
all'uomo per dono divino, dal fatto che fu uomo colui che era nel medesimo
tempo vero e perfetto Dio. Noi possiamo ormai dire con orgoglio che il Figlio
di Dio è ossa e carne nostra; cosa che non possono fare gli spiriti beati. Ha
detto l'Apostolo: "Ha assunto la natura dei figli di Abramo, non la natura
angelica" (Eb 2,16).
42 A Gesù Cristo dobbiamo preparare una dimora nei nostri cuori
52 Guardiamoci bene dal far
sì che, per nostra disgrazia, come non trovò posto nell'albergo per nascere,
così non ne trovi nei nostri cuori, quando viene per nascervi, non
corporalmente, ma spiritualmente. Desidera egli, bramosissimo com'è della
nostra salvezza, questa mistica natività. Perciò, come egli si fece uomo,
nacque e fu santificato, anzi fu la santità stessa, per virtù dello Spirito
Santo, in maniera soprannaturale, così occorre che noi nasciamo, non da sangue,
ne da voler di carne, ne da voler di uomo, ma da Dio (Gv 1,13) e che dopo ciò
procediamo nella vita come creature rinnovellate in novità di spirito (Rm
6,4.5; 7,6), custodendo gelosamente quella santità e integrità di mente che si
addicono a individui rigenerati nello spirito di Dio. Così ritrarremo in noi
stessi una qualche sembianza di quella concezione e natività del Figlio di Dio,
in cui crediamo fermamente e che accogliamo e adoriamo come il mistero che
racchiude il capolavoro della sapienza divina (1 Cor 2,7).
Articolo 4
PATÌ SOTTO PONZIO FILATO, FU
CROCIFISSO, MORÌ E FU SEPOLTO
Significato dell'articolo
53 Protestando di non
conoscere altro che Gesù Cristo e Gesù Cristo crocifisso (1 Cor 2,2),
l'Apostolo mostra luminosamente quanto sia necessaria la conoscenza di questo
articolo e quanta cura debba il parroco impiegare affinché i fedeli evochino
spesso nel loro animo la passione del Signore. A tal fine debbono praticarsi
gli sforzi più assidui, affinché i fedeli, stimolati dal ricordo costante di sì
segnalato beneficio, si consacrino tutti al pensiero della bontà e dell'amor di
Dio verso di noi. Con la prima parte di quest'articolo (della seconda parleremo
più tardi) la fede ci impone di credere che Gesù Cristo fu infisso alla croce,
mentre Ponzio Filato, in nome dell'imperatore Tiberio, governava la provincia
della Giudea. Fu catturato, infatti, deriso, oppresso da ogni sorta d'insulti e
di tormenti, per essere alla fine sollevato sulla croce.
43 L'anima di Gesù Cristo fu saturata di pene
54 PATÌ. Nessuno dovrà
mettere in dubbio che la sua anima, nella parte inferiore, non fu insensibile
agli spasimi. Avendo egli realmente assunta l'umana natura, è necessario
riconoscere che la sua sensibilità fu suscettibile delle più atroci sofferenze.
Noi lo sentiamo gemere: "L'anima mia è addolorata a morte" (Mt 26,38;
Mc 14,34). In realtà, pur unita alla persona divina, la natura umana percepì
tutta l'acerbità della passione, come se quella unione non avesse avuto luogo,
poiché tutte le proprietà della natura umana e della divina si erano
perfettamente conservate nella persona di Gesù Cristo. Quindi rimaneva in lui
ogni elemento passibile e mortale e viceversa tutto ciò che vi era di
impassibile e di immortale, come compete alla natura divina, manteneva le sue
qualità peculiari.
44 Epoca della passione
55 SOTTO PONZIO FILATO. Il
parroco mostrerà come la speciale cura con cui vediamo qui rilevato che la
passione di Gesù Cristo accadde nel tempo in cui Ponzio Pilato governava la
provincia della Giudea svela anzitutto il proposito di far sì che la conoscenza
di un evento così grandioso e prezioso riuscisse per tutti più sicura,
indicandone il momento preciso. Anche l'Apostolo Paolo usò la medesima
precauzione (1 Tm 6,13). In secondo luogo mira a far constatare l'avveramento
della profezia pronunziata dal Salvatore stesso: "Lo daranno in balia dei
Gentili, per essere schernito, flagellato e crocifisso" (Mt 20,19).
45
46 Perché Gesù Cristo patì il supplizio della croce
56 Fu CROCIFISSO. E
ugualmente da attribuirsi a un divino proposito la preferenza data alla morte
di croce e precisamente fu volere divino che la vita rifluisse su di noi
proprio di dove era scaturita la morte. Il serpente, che mediante un albero
aveva vinto i nostri progenitori, fu sconfitto da Gesù Cristo mediante l'albero
della croce. I santi Padri hanno ampiamente svolto le ragioni molteplici che
possono addursi per mostrare quanto fosse conveniente che, fra le varie forme
di supplizio, il Redentore sostenesse quello della croce. I parroci però si
limiteranno ad avvertire i fedeli che per essi è sufficiente credere che il
Salvatore prescelse tale genere di morte come il più acconcio alla redenzione
del genere umano, appunto perché, fra tutti, è più umiliante e ignominioso.
Infatti non solamente il supplizio della croce fu sempre ritenuto dai pagani
come abominevole e infamante, ma anche nella legge di Mosè è detto:
"Maledetto colui che è confitto sul legno" (Dt 21,23; Gal 3,13).
47 Spesso si deve esporre al popolo la passione del Signore
57. Il parroco non tralascerà
di narrare la storia contenuta in questo articolo, che i santi Evangelisti
espongono con la massima diligenza, affinché i fedeli posseggano una chiara
nozione di quei capisaldi del mistero, che più appaiono necessari per corroborare
la verità della nostra fede. In verità tutta la religione e la fede cristiana
poggiano, come su granitica base, su questo articolo, posto il quale, il resto
si regge perfettamente. Tra le difficoltà in cui possono imbattersi
l'intelligenza e la ragione umana, senza dubbio il mistero della croce appare
come la più ardua di tutte. È appena concepibile che la nostra salvezza possa
dipendere da una croce e da colui che vi fu confitto; ma è proprio qui che si
ammira, secondo la frase dell'Apostolo, la suprema provvidenza di Dio:
"Vedendo che il mondo con la scienza non lo aveva riconosciuto nelle opere
della sua divina sapienza, piacque a Dio di salvare, mediante la follia della
predicazione, coloro che avrebbero creduto" (1 Cor 1,21).
Nessuna meraviglia dunque se
i Profeti prima dell'avvento di Gesù Cristo e gli Apostoli dopo la sua morte e
risurrezione, si adoperarono così tenacemente a persuadere gli uomini che egli
era il Redentore del mondo, inducendoli all'ossequio e all'obbedienza verso il
Crocifisso. Appunto perché il mistero della croce costituisce il fatto più
strano per l'umana ragione, il Signore non ha mai cessato, dopo il primo
peccato, di annunziare la morte del proprio Figlio, mediante gli oracoli dei
Profeti e gli episodi prefigurativi.
Ecco qualche breve evocazione
delle figure: Abele soppresso dalla gelosia del fratello (Gn 4,8); il
sacrificio di Isacco (Gn 22,6-8); l'agnello immolato dagli ebrei all'uscita
dall'Egitto (Es 12,5-7); il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto
(Nm 21,8.9). Tutto ciò raffigurava in anticipo la passione e la morte di Cristo
(Gv 3,14). Circa poi le profezie, è troppo noto, perché occorra esporlo
largamente qui, quanti pronunziarono vaticini sull'una e sull'altra. Senza
parlare di David, i Salmi del quale abbracciano tutti i misteri fondamentali
della nostra redenzione (Salì; 21; 68; 109), gli oracoli di Isaia (53)
risultano così limpidi ed espliciti da potersi dire che raccontano eventi
accaduti, anziché profetare gesta future (Girolamo, Epist. 53, Ad Paulinum).
48
49 Gesù Cristo realmente morì; la divinità però rimase sempre congiunta al corpo e all'anima
58 MORTO. Il parroco
spiegherà come per questa parola dobbiamo credere che Gesù Cristo, dopo
crocifisso, morì realmente e fu sepolto. Non senza motivo tale fatto è proposto
separatamente alla fede dei credenti, essendosi da taluni negata la sua morte
in croce. I santi Apostoli ritennero necessario contrapporre a tale errore
questa dottrina di fede, sulla cui verità nessun dubbio è più consentito,
avendo concordemente tutti gli Evangelisti asserito che Gesù Cristo rese il suo
spirito (Mt 27,50; Mc 15,37; Lc 23,46; Gv 19,30). Del resto, essendo vero e
perfetto uomo, Gesù Cristo poteva veramente morire. La morte dell'uomo,
infatti, non è altro che la separazione dell'anima dal corpo.
Riconoscendo che Gesù Cristo
è morto vogliamo appunto dire che la sua anima si divise dal corpo. Non diciamo
però che se ne separò anche la divinità, ma crediamo e riconosciamo fermamente
che, separatasi l'anima dal corpo, la divinità rimase sempre unita al corpo nel
sepolcro e all'anima discesa agli inferi. Era del resto opportuno che il Figlio
di Dio morisse, per sconfiggere attraverso la morte il diavolo, signore della
morte, e affrancare coloro che il timore della morte teneva per tutta la vita
nei ceppi della schiavitù (Eb 2, 14.15).
50 La morte di Cristo fu volontaria
59 In Gesù Cristo si verificò
questo di speciale: che morì quando volle morire e sostenne una morte non già
provocata dalla violenza altrui, ma una morte volontaria, di cui aveva egli
stesso fissato il luogo e il tempo. Aveva scritto infatti Isaia: "È stato
sacrificato perché lo ha voluto" (Is 53,7). E il Signore stesso disse di
sé prima della passione: "Io do la mia vita per riprenderla di nuovo.
Nessuno me la toglie; ma io da me stesso la do e son padrone di darla e padrone
di riprenderla" (Gv 10,17.18). Circa poi il tempo e il luogo, disse queste
parole, mentre Erode tendeva insidie alla sua incolumità: "Andate a dire a
quella volpe: ecco io scaccio i demoni e opero guarigioni oggi, domani e il
terzo giorno sono al termine. Ma oggi, domani e il giorno seguente, bisogna che
io cammini, perché non si ammette che un Profeta perisca fuori di
Gerusalemme" (Lc 13,32.33). Egli nulla compì contro la sua volontà, per
estraneo comando, ma si offrì volontariamente e andando incontro ai suoi
nemici, esclamò: "Eccomi qua" (Gv 18,5), sopportando dopo ciò
spontaneamente i crudeli e ingiusti tormenti, che quelli gli inflissero. Nella
meditazione di tutte le sue pene amarissime ciò rappresenta senza dubbio il
mezzo più potente per commuovere l'animo. Infatti, se uno sopportasse per causa
nostra dolori, non già deliberatamente affrontati, ma inevitabili, potremmo
scorgere in questo un mediocre beneficio. Ma se costui, semplicemente per amor
nostro, soggiacesse con prontezza a una morte, cui poteva agevolmente
sottrarsi, allora il beneficio ci parrebbe così grande, che nessuna gratitudine
o riconoscenza sarebbe sufficiente. Donde è agevole argomentare l'infinita ed
eccellente carità di Gesù Cristo, il suo merito sconfinato e divino presso di
noi.
51
52 La sepoltura di Cristo conferma della sua risurrezione
60 SEPOLTO. Confessando a
parte che egli fu sepolto non dobbiamo credere che sia questa un'altra parte
dell'articolo, con qualche speciale difficoltà, oltre quelle già analizzate a
proposito della morte. Se crediamo che Gesù Cristo morì, non ci sarà difficile
anche ritenere che fu sepolto. La parola è stata aggiunta per due ragioni:
primo, per evitare ogni dubbio intorno alla sua morte, costituendo la prova
della sepoltura il più evidente argomento della morte; in secondo luogo, perché
riceva maggior luce e conferma il miracolo della risurrezione. Quella parola
però non vuoi dire solamente che il corpo di Gesù Cristo fu sepolto.
Principalmente con essa viene proposto di credere che Dio propriamente è stato
sepolto, con la stessa validità con cui, in base alla formula della fede
cattolica, diciamo con verità che Dio è morto e che è nato da una vergine.
Infatti, mai essendosi la divinità separata dal corpo ed essendo stato questo
chiuso nel sepolcro, è evidente che possiamo giustamente affermare che Dio è
stato sepolto.
Intorno al genere e al luogo
della sepoltura, il parroco potrà limitarsi a riferire quanto narrano gli
Evangelisti (Mt 27,58-60; Mc 15,46; Le 23,53; Gv 19,38). Ma due circostanze
dovranno essere poste in luce. Primo, che nel sepolcro il corpo di Gesù Cristo
non fu affatto soggetto a corruzione, conforme al vaticinio del Profeta:
"Non permetterai, o Signore, che il tuo Santo conosca corruzione"
(Sal 15,10; At 2,31). Secondo, (e ciò riguarda tutte le parti dell'articolo)
che la sepoltura, come la passione e la morte, vanno strettamente attribuite a
Gesù Cristo quale uomo, non già quale Dio. Solo la natura umana infatti è
suscettibile di patimenti e di morte; ma noi riferiamo tutto ciò anche a Dio,
solo perché possiamo affermarlo di una Persona che era, nel medesimo tempo,
perfetto Dio e perfetto uomo.
53
54 Come va meditato il beneficio della passione
61 Quindi il parroco esporrà,
intorno alla passione e alla morte di Gesù Cristo, quelle considerazioni che
rendono possibile ai fedeli, se non la comprensione, per lo meno la
contemplazione di così sublime mistero. Faccia considerare anzitutto chi sia
colui che ha sofferto. Non ci è dato intenderne o spiegarne a parole la
dignità. San Giovanni dice che è il Verbo, il quale è in Dio (Gv 1,1).
L'Apostolo ne fa una descrizione magnifica: "è colui che Dio costituì
erede dell'universo; per suo mezzo diede origine ai secoli; è fulgore della
gloria e impronta della sostanza del Padre. Egli sorregge l'universo con la
forza della sua parola. Dopo averci purificato dai nostri peccati, siede alla
destra della maestà suprema, nel più alto dei cieli" (Eb 1,2.3). In una
parola, chi soffre è Gesù Cristo, Dio e uomo; soffre il creatore, per quelli
stessi ch'egli chiamò all'esistenza; soffre il padrone, per gli schiavi; soffre
colui, per virtù del quale furon suscitati dal nulla gli angeli, gli uomini, i
cieli, gli elementi tutti; colui, insomma, nel quale, per il quale e dal quale
sono tutte le cose (Rm 11,36). Nessuna meraviglia quindi se nell'istante in cui
gli spasimi della passione lo stringevano, tutto l'edificio del creato fu
scosso nelle sue basi. Narra appunto il Vangelo: "La terra tremò e le
pietre si spezzarono; le tenebre si diffusero su tutta la terra e il sole si
oscurò" (Mt 27,51; Lc 23,44). Se le creature inanimate e insensibili
piansero la passione del Creatore, pensino i fedeli con quali lacrime essi,
pietre vive dell'edificio santo di Dio (1 Pt 2,5), debbano esprimere il loro
cordoglio.
55 I peccati degli uomini causa della passione
62 Si devono anche esporre le
cause della passione, onde meglio traspariscano l'intensità e la profondità
dell'amore di Dio verso di noi. Chi indaghi la ragione per la quale il Figlio
di Dio affrontò la più acerba delle passioni, troverà che, oltre la colpa
ereditaria dei progenitori, essa deve riscontrarsi principalmente nei peccati
commessi dagli uomini dall'origine del mondo sino a oggi e negli altri che
saranno commessi fino alla fine del mondo. Soffrendo e morendo il Figlio di Dio
nostro salvatore mirò appunto a redimere e annullare le colpe di tutte le età,
dando al Padre soddisfazione cumulativa e copiosa. Per meglio valutarne
l'importanza, si rifletta che non solamente Gesù Cristo soffrì per i peccatori,
ma che in realtà i peccatori furono cagione e ministri di tutte le pene subite.
Scrivendo agli Ebrei l'Apostolo ci ammonisce precisamente: "Pensate a
colui che tollerò tanta ostilità dai peccatori e l'animo vostro non si abbatterà
nello scoraggiamento" (Eb 12,3).
Più strettamente sono avvinti
da questa colpa coloro che più di frequente cadono in peccato. Perché se i
nostri peccati trassero Gesù Cristo nostro Signore al supplizio della croce,
coloro che si tuffano più ignominiosamente nell'iniquità, di nuovo, per quanto
è da loro, crocifiggono in sé il Figlio di Dio e lo disprezzano (ibid. 6,6),
delitto ben più grave in noi che negli Ebrei. Questi, secondo la testimonianza
dell'Apostolo, se avessero conosciuto il Re della gloria, non l'avrebbero
giammai crocifisso (1 Cor 2,8), mentre noi, pur facendo professione di
conoscerlo, lo rinneghiamo con i fatti e quasi sembriamo alzar le mani violente
contro di lui.
La Sacra Scrittura attesta
però che Gesù Cristo, oltre che volontariamente, fu preda della morte per
volontà del Padre. Ecco come si esprime Isaia: "L'ho colpito a causa dei
delitti del mio popolo" (Is ,53,8). Poco prima il medesimo Profeta, saturo
dello spirito di Dio, contemplando il Signore coperto di piaghe, aveva gridato:
"Ci siamo tutti sperduti come pecore; ciascuno ha seguito la sua via e il
Signore ha fatto piombare su di lui le nostre iniquità" (Is 53,6).
Parlando poi del Figlio, disse: "Se darà la vita sua per il peccato,
scorgerà una lunga progenie" (ibid. 10). Il medesimo concetto è espresso,
con parole anche più energiche, dall'Apostolo, il quale mira a mostrarci quante
ragioni abbiamo per riporre forte speranza nell'infinita misericordia di Dio.
"Colui" egli dice "che non risparmiò il proprio Figlio, ma lo
diede per il bene di tutti noi, non ci donò forse con esso ogni altra
cosa?" (Rm 8,32).
56 Asprezza della passione nel corpo e nell'anima
63 A questo punto il parroco
mostrerà quanto crudele sia stata l'acerbità della passione. Se rievochiamo
alla memoria la circostanza che il sudore del Signore, alla previsione dei
tormenti e degli spasimi che dopo poco doveva subire, fu sudore di sangue che
cadeva fino in terra (Lc 22,44), facilmente scopriremo che nulla sarebbe stato
possibile aggiungere di terribile ai suoi dolori. Il sudore sanguigno mostra
l'amarezza ineffabile suscitata dal pensiero dei tormenti imminenti; che cosa
dunque diremo della loro diretta esperienza? E questi dolori sofferti da Gesù
Cristo ne colpirono sia il corpo sia l'anima.
Nessuna parte del suo corpo
fu immune da sofferenze atroci: i piedi e le mani trapassate dai chiodi; il
capo recinto di spine e percosso a colpi di canna; il volto insozzato di sputi,
malmenato con schiaffi; tutto il corpo battuto con i flagelli. Uomini di ogni
stirpe e di ogni classe si accordarono nell'infierire contro il Signore e il
suo Cristo (Sal 2,2). Pagani ed Ebrei furono solidalmente istigatori, autori e
strumenti della passione. Giuda lo tradì, Pietro lo rinnegò, tutti lo
abbandonarono (Mt 26, 27; Mc 14, 15; Lc 22, 23; Gv 13-19).
Che cosa poi rileveremo nella
crocifissione? Il patimento o la vergogna, o non piuttosto l'uno e l'altra? In
realtà non sarebbe stato possibile escogitare genere di morte più obbrobrioso e
doloroso di quello, al quale erano di solito destinati i più scellerati e
pericolosi fra gli uomini e durante il quale la lentezza del supplizio rendeva
più cocente lo spasimo. Del resto la stessa costituzione fisica di Gesù Cristo
rendeva più atroce la sofferenza. Il suo corpo infatti, formato per virtù dello
Spirito Santo, era dotato di maggior sensibilità e delicatezza del corpo degli
uomini normali; quindi in esso erano più affinate le capacità sensibili. Fu
perciò per esso più doloroso affrontare tanti tormenti.
D'altra parte nessuno potrà revocare in dubbio che
anche il dolore dell'animo arrivò all'estremo in Gesù Cristo. I santi che
affrontarono supplizi e tormenti non mancarono di un certo conforto spirituale,
divinamente concesso, sostenuti dal quale poterono con energia serena tollerare
l'aculeo del martirio. Anzi accadde che molti, pur fra indicibili spasimi,
sembravano soffusi di una vera letizia interiore. L'Apostolo, per esempio,
esclamava: "Godo nei mali che soffro per voi e compio nel mio corpo quanto
manca alle sofferenze di Gesù Cristo, soffrendo io stesso per il corpo suo, la
Chiesa" (Col 1,24). E altrove: "Sono colmo di gioia, sovrabbondo di
letizia in ogni nostra tribolazione" (2 Cor 7,4). Gesù Cristo nostro
Signore invece bevve un calice di passione amarissima, che nessuna stilla di
soavità aveva temperato; al contrario permise alla natura umana, da lui
assunta, di sentire tutti i tormenti, quasi fosse solamente uomo e non Dio.
57 I frutti della passione
64 Infine il parroco spiegherà con diligenza i vantaggi e i
benefici scaturiti per noi dalla passione del Signore. Anzitutto dalla passione
del Signore seguì la nostra liberazione dal peccato. Dice san Giovanni:
"Egli ci ha amato e ci ha mondato dalle nostre colpe con il suo
sangue" (Ap 1,5). E l'Apostolo dal canto suo afferma: "Ci ha fatto
rivivere, perdonandoci tutti i peccati, cancellando la sentenza di pena emanata
contro di noi, ch'egli soppresse, affiggendola alla croce" (Col 2,13.14).
In secondo luogo ci ha strappati alla schiavitù del demonio. Lo stesso Signore
ha detto infatti: "Adesso si fa giudizio di questo mondo; adesso il
principe di questo mondo sarà cacciato fuori e io, quando sarò innalzato da
terra, trarrò tutto a me" (Gv 12,31.32). In terzo luogo pagò il debito
contratto per i nostri peccati. Inoltre, non essendo possibile offrire a Dio
sacrificio più accetto e gradito, Gesù Cristo ci ha riconciliati con il Padre,
rendendolo verso di noi propizio e placato. Infine, avendo scontato la pena del
peccato, ci dischiuse l'ingresso dei cieli, che la colpa comune a tutto il
genere umano aveva serrato. Il che fu espresso dall'Apostolo, con le parole:
"Nutriamo fiducia di essere ammessi nel santuario, in virtù del sangue di
Gesù Cristo" (Eb 10,19).
Non mancano nel Vecchio
Testamento simboli raffiguranti questo mistero. Coloro ai quali era vietato di
rientrare in patria prima della morte del sommo sacerdote (Nm 35,25) stavano a
significare che nessuno poteva entrare nella patria celeste, per quanto giusta
e pia la sua vita, prima che il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo subisse
la morte. Dopo questa, immediatamente i battenti del paradiso si spalancarono
per coloro che, purificati attraverso i sacramenti, ricchi di fede, di speranza
e di carità, partecipano ai frutti della sua passione.
58 La Passione del Signore, sacrificio sommamente accetto
65 II parroco mostrerà come
tutti questi magnifici doni divini ci vennero dalla passione: anzitutto perché
si tratta di una soddisfazione integrale e perfetta sotto ogni punto di vista,
che Gesù Cristo offrì a Dio Padre per i nostri peccati in una maniera mirabile.
Anzi il prezzo da lui pagato in vece nostra, non solo pareggiò, ma oltrepassò i
nostri debiti. Il sacrificio inoltre fu sommamente accetto a Dio: appena
offerto dal Figlio sull'altare della croce, l'ira e l'indignazione del Padre
furono placate. Tali concetti esprime l'Apostolo, quando dice: "Cristo ci
amò e si offrì per noi quale vittima e oblazione di soave profumo a Dio"
(Ef 5,2). A tale redenzione si riferiscono le parole del principe degli
Apostoli: "Non siete stati redenti con oro e argento corruttibili dalla
fatuità delle vostre consuetudini paterne e tradizionali, ma con il sangue
prezioso di Gesù Cristo, agnello candido e incontaminato" (? Pt 1,18.19) e
san Paolo insegna: "Cristo ci ha liberato dalla maledizione della legge,
diventando lui maledizione per noi" (Gal 3,13).
59 La Passione del Signore è il modello di ogni virtù
66 Con questi immensi
benefici, un altro ne abbiamo raggiunto: fissando lo sguardo nella sola
passione, noi scorgiamo esempi mirabili di tutte le virtù. Essa infatti insegna
la pazienza, l'umiltà, l'esimia carità, la mansuetudine, l'obbedienza, la più
tenace costanza d'animo, non solamente nel sostenere i più forti dolori per la
giustizia, ma anche nell'affrontare impavidamente la morte. Si può dire quindi,
senza esagerare, che il nostro Salvatore, nel solo giorno della passione,
riassunse in sé tutti quei precetti di vita, che aveva inculcato durante il
periodo della sua predicazione.
Quanto abbiamo detto,
brevemente, riguarda la salutifera passione di Gesù Cristo nostro Signore. Che
dunque i misteri contemplati siano assiduamente presenti alle anime nostre e
che noi apprendiamo cosi a soffrire, a morire, a essere sepolti con il Signore!
Così, eliminata ogni bruttura di peccato, risorgendo con lui a nuova vita,
possiamo un giorno, con la pietosa sua grazia, essere fatti degni di
partecipare al regno e alla gloria dei cieli.
Articolo 5
DISCESE ALL'INFERNO, IL TERZO
GIORNO RISUSCITÒ DA MORTE
Significato dell'articolo
67 Interessa senza dubbio
moltissimo conoscere la gloria della sepoltura di Gesù Cristo nostro Signore di
cui abbiamo poco fa parlato. Ma deve interessare anche di più i fedeli il
conoscere i trionfi strepitosi che egli riportò sul demonio debellato e
l'inferno spogliato. Di ciò, appunto, e insieme della risurrezione, dobbiamo
ora parlare. Avremmo potuto benissimo trattare separatamente i due argomenti,
ma seguendo l'autorità dei santi Padri, riteniamo conveniente unire nella
medesima esposizione la discesa all'inferno e la risurrezione.
60 Che cosa voglia dire, genericamente, "inferno"
68 DISCESE ALL'INFERNO. Nella
prima parte dell'articolo ci viene proposto di credere che, dopo la morte di
Gesù Cristo, la sua anima discese all'inferno e vi rimase finché il corpo restò
nel sepolcro. Con queste parole riconosciamo che, in quel tempo, la medesima
persona di Gesù Cristo fu nell'inferno e giacque nel sepolcro, il che non deve
sorprendere. Infatti, come spesso abbiamo ripetuto, sebbene l'anima fosse
uscita dal corpo, tuttavia la divinità non si separò mai né dall'anima, né dal
corpo.
II parroco getterà molta luce
sul senso dell'articolo, spiegando subito che cosa si debba intendere qui con
il termine "inferno". Ammonirà anzitutto che esso non sta a
significare il "sepolcro", come alcuni, non meno empiamente che ignorantemente,
interpretarono. Abbiamo infatti appreso già dall'articolo precedente che Gesù
Cristo nostro Signore fu sepolto; ne v'era motivo perché gli Apostoli, nel
redigere la regola della fede, ripetessero il medesimo concetto, con formula
più oscura. Qui il vocabolo in questione vuole significare quelle nascoste
sedi, in cui stanno le anime di coloro che non hanno conseguito la beatitudine
celeste. La Sacra Scrittura offre molteplici esempi di questo uso. In san Paolo
leggiamo: "In nome di Gesù, ogni ginocchio si curvi, in cielo, in terra,
nell'inferno" (Fil 2,10). Negli Atti degli Apostoli san Pietro assicura
che Gesù Cristo nostro Signore risuscitò, dopo aver superato i dolori
dell'inferno (At 2,24).
61 Che cosa voglia dire specificamente
69 Tali sedi non son tutte
del medesimo genere. Una è quella prigione tenebrosa e orribile, nella quale le
anime dei dannati giacciono in un fuoco perpetuo e inestinguibile, insieme agli
spiriti immondi. In questo significato abbiamo i termini equivalenti di Geenna,
abisso, inferno propriamente detto. In secondo luogo c'è la sede del fuoco
purgante, soffrendo nel quale, per un determinato tempo, le anime dei giusti
subiscono l'espiazione, onde possano salire alla patria eterna, chiusa a ogni
ombra di colpa. Anzi, sulla verità di questa dottrina, che i santi concili
proclamano contenuta nella Scrittura come nella Tradizione apostolica, il
parroco insisterà con rinnovata diligenza, poiché viviamo in tempi nei quali la
sana dottrina non trova agevole accesso presso gli uomini. Infine una terza
sede è quella in cui le anime dei santi furono ospitate prima della venuta di
Gesù Cristo nostro Signore. Esse vi dimorarono quietamente, immuni da ogni
pena, alimentate dalla beatifica speranza della redenzione.
62 Reale discesa dell'anima di Gesù Cristo nell'inferno
70 Gesù Cristo scendendo
nell'inferno liberò appunto le anime di questi giusti, aspettanti il Salvatore
nel seno di Abramo. Ne dobbiamo credere che vi sia disceso in modo da farvi
pervenire soltanto la sua virtù e la sua potenza, ma non la sua anima. Dobbiamo
invece ritenere con tutta fermezza che la sua anima discese realmente e con la
sua presenza nell'inferno. Abbiamo in proposito l'esplicita testimonianza di
David: "Non lascerai l'anima mia nell'inferno" (Sal 15,10).
La discesa di Gesù Cristo
all'inferno nulla detrasse all'infinita sua potenza, né gettò alcun'ombra
offuscatrice sullo splendore della sua santità. Al contrario fu cosi
solennemente confermato quanto era stato dichiarato circa la sua santità e la
sua figliolanza da Dio, già manifestata da tanti miracoli. Ce ne persuaderemo
senza indugio, se riflettiamo alle ben diverse ragioni, per le quali scesero in
quella sede Gesù Cristo e gli altri. Tutti vi erano penetrati prigionieri; egli
invece, libero e vincitore fra morti, vi entrò per debellare i demoni, dai
quali essi erano tenuti prigionieri a causa della colpa originale. Inoltre, di
tutti gli altri che erano discesi nell'inferno, una parte era stretta dalle più
opprimenti pene; un'altra parte, pur libera da dolori sensibili, era
amareggiata dalla privazione della visione di Dio e dall'aspettativa ansiosa
della sperata beatitudine. Cristo signore invece vi discese non per soffrire,
bensì per liberare i giusti dalla molestia dell'ingrata prigione e conferir
loro il frutto della propria passione. Nella sua discesa dunque non si
riscontra nessuna diminuzione dell'infinita sua dignità e potenza.
63 Cristo discendendo nel limbo liberò le anime dei santi
71 Poi si dovrà insegnare
come Gesù Cristo nostro Signore è disceso nel limbo, per condurre seco in cielo
i santi Padri e tutti gli altri uomini pii, liberandoli dal carcere, dopo aver
strappato al demonio la sua preda; il che fu da lui compiuto in maniera
ammirabile e con gloria grande. Il suo aspetto sfolgorò su quei prigionieri una
luce chiarissima e riempì le loro anime di letizia immensa e di gaudio; anzi
elargì a esse ancora la più desiderabile delle beatitudini che consiste nella
visione di Dio. Così fu compiuta la promessa fatta al buon ladrone: "Oggi
sarai con me in paradiso" (Lc 23,43). Questa liberazione dei buoni era
stata molto tempo innanzi predetta da Osea con queste parole: "O morte, io
sarò la tua morte; o inferno, io sarò la tua distruzione" (Os 13,14); e
dal Profeta Zaccaria: "Per te, a causa del sangue del tuo patto, io
ritirerò i tuoi prigionieri dalla fossa senz'acqua" (Zc 9,11); nonché dal
passo dell'Apostolo: "Egli ha spogliato i principati e le potestà,
offrendoli a spettacolo e trionfando di loro" (Col 2,15).
Per meglio intendere il
valore di questo mistero, dobbiamo sovente ricordare che per beneficio della
passione di Cristo han ricevuto la salvezza non solo gli uomini pii, nati dopo
l'avvento del Signore, ma anche quelli che lo avevan preceduto da Adamo in poi
e che saranno per nascere fino alla fine del mondo. Perciò avanti che egli
morisse e risorgesse da morte, le porte dei cieli non si aprirono mai per
alcuno, ma le anime dei buoni, uscite di questa vita, erano portate nel seno di
Abramo o venivano purificare nel fuoco del purgatorio, come avviene anche ora a
quelli che han qualcosa da lavare o da scontare.
V’è infine un'altra causa
della discesa di Cristo signore negli inferi, ed è la manifestazione della sua
forza e potenza anche in quel luogo, com'era stato nel cielo e sulla terra,
affinché si avverasse che al suo nome ogni ginocchio si piega in cielo, in
terra e negli inferi (Fil 2,10). Chi non ammirerà a questo punto l'immensa
benignità di Dio verso il genere umano? Chi non sarà preso dallo stupore,
considerando che egli, non soltanto ha voluto subire per noi un'acerbissima
morte, ma è ancor voluto scendere nei penetrali della terra, per toglierne le
anime, a lui tanto care, e portarle seco alla beatitudine?
64 Il glorioso mistero della risurrezione di Cristo
72 RISUSCITÒ. Segue la
seconda parte dell'articolo, a spiegar la quale con la maggiore premura sono
d'incitamento al parroco queste parole dell'Apostolo: "Ricordati che il
Signore nostro Gesù Cristo è risorto dai morti" (2 Tm 2,8). E fuor di
dubbio che il precetto dato a Timoteo vale anche per tutti gli altri che hanno
cura di anime. Il significato dell'articolo è questo: Cristo nostro Signore
spirò sulla croce all'ora nona del venerdì e fu sepolto in quel medesimo giorno
dai discepoli, i quali, con il permesso del procuratore Pilato, chiusero il
corpo del Signore, deposto dalla croce, entro un sepolcro nuovo, situato in un
attiguo giardino. Ma il terzo giorno dalla morte, che divenne il giorno del
Signore, al primo chiarore dell'alba, l'anima di lui si congiunse di nuovo con
il corpo; e così egli, che era rimasto per tre giorni nella morte, ritornò alla
vita, abbandonata morendo, e risorse.
65 Cristo è risorto per virtù propria
73. Con la parola
"risurrezione" tuttavia non si deve intendere soltanto che Cristo
risuscitò da morte, come avvenne a molti altri, ma che risorse per sua forza e
virtù; cosa che fu esclusiva di lui. La natura infatti non tollera, ne è stato
mai concesso ad alcuno, di rievocare se stesso da morte a vita per propria
virtù. Ciò era riservato all'infinita potenza di Dio, secondo la parola dell'Apostolo:
"Se egli è stato crocifisso a causa della sua debolezza [umana], vive però
per virtù di Dio" (2 Cor 13,4). La quale divina virtù non essendo stata
mai separata né dal corpo di Cristo nel sepolcro, né dall'anima durante la
discesa negli inferi, rimaneva sempre presente, sia nel corpo, per potersi
ricongiungere all'anima, sia nell'anima, per poter ritornare nel corpo. Cosi
potè ritornare a vita per propria virtù e risorgere dai morti.
David, pieno dello spirito di
Dio, lo aveva predetto con queste parole: "La sua destra e il suo braccio
gli hanno dato vittoria" (Sal 97,1); e lo stesso Cristo nostro Signore lo
confermò con la divina testimonianza della sua parola: "Io do la mia vita
per riprenderla di nuovo; son padrone di darla e padrone di riprenderla"
(Gv 10,17). Disse inoltre ai Giudei, per confermare la verità della sua
dottrina: "Disfate questo tempio e in tre giorni lo rimetterò in
piedi" (ibid. 2,19). Queste parole, sebbene i Giudei le intendessero del
magnifico tempio costruito di pietra, egli le riferiva al tempio del suo corpo,
com'è spiegato, a questo punto, dalle parole della Sacra Scrittura. E se talora
leggiamo nella Scrittura che Cristo nostro Signore fu risuscitato dal Padre (Rm
8,11), questo si deve riferire a lui in quanto uomo, appunto come si
riferiscono a lui, in quanto Dio, le altre che dicono essere egli risorto per
sua propria virtù.
66 Cristo primogenito dei morti
74 Un'altra cosa fu peculiare
di Cristo: egli primo di tutti fruì di questo divino beneficio della
risurrezione. Infatti nella Scrittura è chiamato il primo a rinascere fra i
morti (Col 1,18), e primogenito dei morti (Ap 1,5). E, com'è detto
dall'Apostolo: "Cristo è risuscitato da morte, primizia dei dormienti;
poiché da un uomo venne la morte e da un uomo la risurrezione da morte; come in
Adamo tutti muoiono, così tutti in Cristo saranno vivificati. Ciascuno però a
suo luogo: Cristo è la primizia; poi quelli che sono di Cristo" (1 Cor
15,20ss).
Queste parole devono
intendersi della risurrezione perfetta, per la quale, soppressa ogni necessità
di morte, passeremo alla vita immortale. Ora in questo genere di risurrezione
Gesù Cristo ha il primo luogo. Poiché se consideriamo quella risurrezione o
ritorno alla vita, a cui sia congiunta la necessità di una seconda morte, allora
prima di Cristo molti altri sono stati risuscitati da morte, a condizione però
di morire un'altra volta. Invece Gesù Cristo dopo aver vinta e sottomessa la
morte, è risorto in guisa da non poter più morire, com'è apertamente confermato
dal passo: "Cristo risuscitato da morte non muore più; la morte più non lo
dominerà" (Rm 6,9).
67 Perché Cristo è risorto il terzo giorno
75 IL TERZO GIORNO. Il
parroco dovrà spiegare la frase, affinché i fedeli non credano che il Signore
sia rimasto nel sepolcro tutti interi i tre giorni. Egli vi è stato un intero
giorno naturale, più una parte del giorno antecedente e di quello seguente. Ciò
basta perché si possa dire con verità ch'egli è stato tre giorni nel sepolcro e
che al terzo giorno è risorto. Per mostrare chiaramente la sua divinità non
volle differire la resurrezione alla fine del mondo; d'altro lato, perché lo si
credesse vero uomo e realmente morto, volle rivivere non subito dopo la morte,
ma dopo tre giorni, tempo sufficiente a provarne la vera morte.
68 Perché nel Simbolo costantinopolitano fu aggiunto "secondo le Scritture"
76 I Padri del primo Concilio
di Costantinopoli aggiunsero a questo punto: secondo le Scritture. La frase,
desunta dall'Apostolo, fu da loro trasportata nel Simbolo, perché l'Apostolo
stesso ha insegnato che il mistero della risurrezione è sommamente necessario,
con queste parole: "Se poi Cristo non è risuscitato, vana è dunque la
nostra predicazione, vana è ancora la vostra fede; che se Cristo non è risorto,
è vana la vostra fede, poiché sareste tuttora nei vostri peccati" (1 Cor
15,14-17). Sant'Agostino, ammirando la fede di questo articolo, scrisse:
"Non è grande cosa credere che Cristo è morto: pagani, Giudei e tutti i
malvagi lo credono: tutti credono che sia morto. Ma la fede dei cristiani sta
nella risurrezione di Cristo; questo per noi è cosa grande: credere che egli
sia risorto" (In Psalmos, 120, 6). Per questo ancora il Signore ha parlato
assai di frequente della sua risurrezione e quasi mai ha discorso con i
discepoli della passione, senza menzionare la risurrezione. Così dopo aver
detto: "II Figlio dell'uomo sarà dato nelle mani dei Gentili, sarà
schernito, flagellato e gli sarà sputato in faccia, e dopo flagellato lo
uccideranno", aggiunse in fine: "E il terzo giorno risorgerà"
(Lc 18,32). Avendogli i Giudei chiesto di provare con qualche prodigio e
miracolo la sua dottrina, rispose che nessun altro segno sarebbe stato loro
dato, se non quello del Profeta Giona (Lc 11,29; Mt 12,38s): "Come Giona
rimase nel ventre del cetaceo tre giorni e tre notti, così sarebbe stato il Figlio dell'uomo, per
tre giorni e tre notti, nel seno della terra".
69 Necessità e scopo della risurrezione di Gesù Cristo
70 77 Per meglio comprendere il valore e il significato dell'articolo, tre cose si devono ricercare e conoscere. Primo: perché fu necessaria la risurrezione di Cristo; secondo: quale sia il fine o scopo della medesima; terzo: quali utilità e quali benefici ne siano derivati per noi.
Quanto al primo punto, la
risurrezione di Cristo fu necessaria per mostrare la giustizia di Dio. Era
infatti sommamente opportuno che Dio esaltasse colui che, per obbedirgli, era
stato umiliato e coperto di ogni ignominia. L'Apostolo addusse questa ragione
scrivendo ai Filippesi: "Umiliò se stesso, fattosi ubbidiente fino alla
morte e morte di croce. Per la qual cosa Dio lo esaltò" (Fil 2,8.9).
Secondo, per confermare la fede nostra, senza la quale non può sussistere la
giustificazione dell'uomo; ora l'argomento maggiore che Cristo è figlio di Dio
sta nel fatto che egli sia risuscitato dai morti per sua virtù. Terzo, per
alimentare e sorreggere la nostra speranza, poiché, essendo Cristo risorto,
nutriamo certa speranza di risorgere anche noi; le membra infatti devono
seguire le sorti del capo. Appunto in questo senso l'Apostolo conclude la sua
argomentazione, scrivendo a quei di Corinto e di Tessalonica (1 Cor 15,12; 1 Ts
4,13). Anche Pietro, principe degli Apostoli, ha scritto: "Benedetto Dio,
Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il quale per la sua grande misericordia
ci ha rigenerati a una viva speranza, mediante la risurrezione di Cristo da
morte, e a una eredità incorruttibile" (1 Pt 1,3.4).
Da ultimo bisogna insegnare
che la risurrezione del Signore fu necessaria per compire il mistero della
redenzione, in quanto Cristo morendo ci ha liberato dai peccati e risorgendo ci
ha restituito quei preziosi beni che avevamo perduto con la colpa. Perciò
l'Apostolo ha scritto: "Cristo fu dato a morte per i nostri peccati e
risuscitò per nostra giustificazione" (Rm 4,25). Affinché, dunque, nulla
mancasse alla salvezza del genere umano, fu necessario che Cristo risorgesse,
come era stato necessario che morisse.
71 Utilità della risurrezione di Gesù Cristo
78 Da quanto abbiamo detto
possiamo rilevare l'utilità grande che la risurrezione di Cristo nostro Signore
ha recata ai fedeli. Anzitutto, per essa riconosciamo che Dio è immortale,
pieno di gloria, vincitore della morte e del demonio; titoli che senza dubbio
dobbiamo credere e confessare di Gesù Cristo. Di più, la risurrezione di Cristo
produce anche la risurrezione del nostro corpo, sia perché è stata la causa
efficiente di questo mistero, sia perché noi tutti dobbiamo risorgere secondo
l'esempio del Signore, come attesta l'Apostolo, circa la risurrezione dei
corpi: "Da un uomo venne la morte e da un uomo la risurrezione da
morte" (1 Cor 15,21). Infatti, in tutto il mistero della nostra
redenzione, Dio si è servito dell'umanità di Cristo come di efficace strumento:
quindi la sua risurrezione fu come uno strumento per operare la nostra. Inoltre
la risurrezione di Cristo si può considerare quale modello, essendo la più
perfetta di tutte.
Come il corpo di Cristo
risorgendo a gloria immortale s'è trasformato, così anche i nostri corpi, già
deboli e mortali, si rileveranno adorni di gloria e d'immortalità. Insegna
l'Apostolo che noi aspettiamo come salvatore il nostro Signore Gesù Cristo, il
quale trasformerà il nostro povero corpo per farlo conforme al corpo della sua
gloria (Fil 3.20.21).
Questo si può dire anche
dell'anima, morta nel peccato, mostrandoci l'Apostolo medesimo in qual senso la
risurrezione di Cristo può servirle da esemplare: "Come Cristo risuscitò
da morte per gloria del Padre, così noi viviamo di nuova vita. Poiché se siamo
come innestati alla somiglianza della sua morte, lo saremo anche a quella della
risurrezione" (Rm 6,4.5); e poco dopo aggiunge: "Sapendo noi che
Cristo, risuscitato da morte, non muore più, la morte più non lo dominerà.
Poiché quanto all'esser lui morto, morì per il peccato una volta; quanto poi al
vivere, egli vive per Dio. Nella stessa guisa anche voi fate conto di esser
morti al peccato e vivi per Dio, in Cristo Gesù" (ibid. 9-11).
72 Esempi che si ricavano dalla risurrezione di Cristo
79 Due pertanto sono gli
esempi da imitare nella risurrezione di Cristo. L'uno è che, lavate le macchie
del peccato, iniziamo un nuovo genere di vita, in cui rifulgano l'integrità dei
costumi, l'innocenza, la santità, la modestia, la giustizia, la beneficenza,
l'umiltà. L'altro si è il perseverare in questo nuovo genere di vita in modo
tale da non uscir mai più, con l'aiuto di Dio, fuori della via di giustizia,
nella quale siamo entrati. Giacché le parole dell'Apostolo non significano
soltanto che la risurrezione di Cristo è un esempio della nostra, ma dichiarano
pure che essa ci offre anche la capacità di risorgere e ci elargisce la forza e
lo spirito per coltivare la santità, la giustizia e per osservare i precetti di
Dio. Come infatti dalla sua morte prendiamo non solo l'esempio del morire al
peccato, ma la virtù per morirvi di fatto, così la sua risurrezione ci
somministra le forze per conseguire la giustizia, onde poi camminare in devota
e santa pietà verso Dio, secondo la novità di quella vita, alla quale siamo
risorti. Questo soprattutto ha voluto ottenere il Signore con la sua
risurrezione: che noi, già morti con lui al peccato e al mondo, con lui
risorgessimo a un genere e a una norma tutta nuova di vita.
73 I segni della nostra risurrezione spirituale
80 Quali siano i segni
principali di questa risurrezione, ce lo ricorda l'Apostolo, il quale con le
parole: "Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è
Cristo alla destra di Dio" (Col 3,1) mostra chiaramente che coloro i quali
desiderano aver vita, onori, riposo e ricchezze là dov'è Cristo, sono davvero
risorti con lui. Invece con le altre: "Pensate alle cose di lassù, non a
quelle della terra" (ibid. 2), ha aggiunto come una seconda nota, per
distinguere se veramente siamo risorti con Cristo. Come infatti il gusto suole
indicare lo stato di salute del corpo, così se uno apprezza tutto ciò che è
vero, pudico, giusto, santo, se nell'intimo senso della sua mente assapora la
dolcezza delle cose celesti, allora avrà la prova migliore che l'anima così
bene affetta è davvero risorta con Gesù Cristo a una vita nuova e spirituale.
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