Parte Prima -Fede e il suo simbolo- : Dall'Articolo 1 all'articolo 5



PARTE PRIMA
LA FEDE E IL SUO SIMBOLO

1                    Definizione della fede

9 Le Sacre Scritture attribuiscono al termine fede molti significati: noi ne parliamo come di una disposizione, in forza della quale prestiamo assenso completo alle verità divinamente manifestate. Che una tale fede sia necessaria al conseguimento della salvezza, nessuno potrà porlo seriamente in dubbio, specialmente ricordando quanto è scritto: "Senza la fede è impossibile piacere a Dio" (Eb 11,6). Essendo infatti la meta proposta all'uomo per la sua beatitudine troppo sublime per poter essere raggiunta dalla capacità della ragione umana, era necessario riceverne conoscenza da Dio. Ora questa conoscenza è appunto la fede e la sua efficacia fa sì che riteniamo per certo quanto l'autorità della Chiesa nostra madre addita come rivelato da Dio. In nessun fedele infatti può nascere dubbio intorno a verità di cui Dio, verità per essenza, è garante.
Cosi appare chiara la differenza che corre tra questa fede, prestata a Dio, e quella riposta negli scrittori della storia umana. Essa varia notevolmente per estensione, intensità, dignità. È detto infatti nelle Sacre Scritture: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?" (Mt 14,31) e altrove: "grande è la tua fede" (Mt 15,28) e ancora: "Accresci la nostra fede" (Lc 17,5); infine: "la fede senza le opere è una fede morta" (Gc 2,20) e "la fede... opera attraverso la carità" (Gal 5,6). Tuttavia la fede è sempre genericamente la stessa e ai molteplici suoi gradi conviene la medesima natura e il significato della definizione. Quanto poi essa sia fruttifera e quanto beneficio ne ricaviamo, sarà spiegato nel commento dei singoli articoli.

2                    Il Simbolo della fede

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 I cristiani devono dunque conoscere in primo luogo le verità che, animati dallo Spirito divino, i santi Apostoli, maestri e dottori della fede, distribuirono nei dodici articoli del Simbolo. Avendo infatti essi ricevuto dal Signore l'ordine di andare, quali suoi ambasciatori (2 Cor 5,20), nel mondo intero, ad annunciare il Vangelo a ogni creatura (Mc 16,15), decisero di redigere una formula della fede cristiana, che permettesse a tutti l'unanimità del sentimento e della professione e rimuovesse ogni possibilità di scisma tra i chiamati all'unità della fede, perfezionandoli nell'unità di spirito e di credenza (1 Cor 1,10).1 E, dopo averla composta, gli Apostoli chiamarono questa professione di fede e di speranza cristiana "Simbolo"; sia perché risultante dalle varie sentenze messe dai singoli in comune, sia perché di essa avrebbero potuto servirsi, quasi di sigillo e di parola d'ordine, per distinguere facilmente i disertori e gli intrusi, falsi fratelli (Gal 2,4) intenti ad adulterare l'Evangelo (2 Cor 2,17), da coloro che si erano arruolati sinceramente nella milizia di Cristo.

3                    Divisione del Simbolo

11 Tra le molte verità proposte dalla religione cristiana ai fedeli, a tutte e singole le quali occorre prestare sicuro e incrollabile assenso, la prima ed essenziale, quasi fondamento e ricapitolazione di tutta la verità, è quella che Dio medesimo ci insegnò intorno all'unità dell'essenza divina e alla distinzione delle tre Persone, nonché alle azioni, che in singolar modo a ciascuna di esse sono attribuite. Il parroco mostrerà come la dottrina riguardante tale mistero sia compendiata nel Simbolo degli Apostoli.
Come già notarono i nostri Padri, che studiarono con pietà e amore l'argomento, esso appare distribuito in tré parti principali. Nella prima è studiata la prima Persona della natura divina e l'opera mirabile della creazione; nella seconda, la seconda Persona e insieme il mistero dell'umana redenzione; nella terza infine la terza Persona, principio e sorgente della nostra santità; il tutto condensato in molteplici e opportune sentenze. Queste, secondo una consuetudine dai nostri Padri frequentemente seguita, son chiamate "articoli". In realtà, come le membra del corpo sono distinte mediante articolazioni, cosi in questa confessione di fede è rettamente e lucidamente chiamato articolo ogni inciso che, per se stesso e indipendentemente dal conseguente, vuole il nostro assenso.

Articolo 1
IO CREDO IN DIO PADRE ONNIPOTENTE CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA

4                    Significato dell'articolo

12 Ecco il senso racchiuso in queste parole: ritengo con certezza e riconosco senza ombra di dubbio che v'è un Dio Padre, cioè la prima Persona della Trinità, il quale nella onnipotente sua virtù trasse dal nulla il cielo, la terra e quanto è contenuto nell'ambito del cielo e della terra; egli regge e governa tutto il creato. Ne solamente credo con il cuore in lui e lo confesso con le labbra, ma aspiro a lui con il fervore e l'amore più intensi, come al sommo e perfettissimo bene. Questa, in breve, una prima delucidazione dell'articolo. Ma poiché quasi ogni suo vocabolo nasconde sublimi misteri, occorre che il parroco vi consacri attentissima considerazione, affinché il popolo fedele ascenda, pavido e tremante, a contemplare la gloria della maestà divina entro i limiti stabiliti da Dio.

4.1              Valore e significato della parola "Credo" nel dominio della fede cristiana

13 IO CREDO. Qui il verbo "credere" non significa reputare, stimare, opinare, bensì, secondo l'insegnamento della Sacra Scrittura, significa il sicurissimo assenso, in virtù del quale l'intelligenza aderisce, con fermezza e tenacia, a Dio che rivela i propri misteri. Perciò chi crede (nel senso qui inteso) possiede indubbia e nettissima convinzione di qualcosa. Né si pensi che la conoscenza insita nella fede sia meno sicura, per il fatto che le realtà proposteci a credere sono invisibili; perché se la luce divina che ce le fa percepire non le fa raggiare nell'evidenza, non permette tuttavia che ne dubitiamo.
Il medesimo Dio che comandò alla luce di scaturire dalle tenebre, quello stesso rifulse nei nostri cuori (2 Cor 4,6), perché il Vangelo non fosse velato per noi, come lo è per coloro che periscono (ibid. 4,3). Ne consegue che chi possiede simile celeste conoscenza data dalla fede è immune da ogni vana curiosità di ricerca. Infatti Dio, comandandoci di credere, non ci volle intenti a scrutare i divini giudizi, il loro piano, la loro causa, ma impose quella fede inalterabile che da all'anima il riposo nella conoscenza della verità eterna. Ora, se l'Apostolo proclama che Dio solo è veritiero, mentre tutti gli uomini mentiscono (Rm 3,4), e se noi normalmente reputiamo segno di impudente arroganza non prestar credito a un uomo che, fornito di saggezza e gravita, ci comunichi qualcosa e pretendere che comprovi con ragioni e testimoni il suo asserto, di quale temeraria stoltezza non si renderà reo chi, ascoltando la parola di Dio, oserà chiedere le ragioni della celeste salutare dottrina? Perciò la fede deve bandire non solo ogni parvenza di dubbio, ma anche ogni velleità di dimostrazione.

5                    Necessità dell'atto esterno di fede

14 II parroco non mancherà inoltre di insegnare a colui che dice "Io credo" che, oltre a esprimere così l'assenso intimo del proprio spirito, in cui si compendia l'atto interno della fede, deve con la massima sollecitudine manifestare pubblicamente, con esplicita professione di fede, quanto porta chiuso nel cuore. Nei fedeli deve aleggiare quello spirito che spingeva il Profeta a esclamare: "Ho creduto e per questo ho parlato" (Sal 115,11). Essi devono imitare gli Apostoli, che rispondevano alle autorità del popolo: "Non possiamo tacere quanto abbiamo visto e udito" (At 4,20); memori della bella frase di san Paolo: "Io non arrossisco del Vangelo, che è la virtù di Dio per la salvezza di tutti i credenti" (Rm 1,16) e di quell'altra, in cui è la diretta conferma della sentenza qui illustrata: "Crediamo con il cuore per essere giustificati; confessiamo con le labbra per essere salvati" (Rm 10,10).

6                    Conoscenza di Dio per mezzo della fede

15 IN Dio. Già di qui c'è dato di apprezzare la dignità e l'eccellenza della sapienza cristiana e con ciò il debito contratto verso la divina bontà, potendo noi rapidamente salire, quasi attraverso i gradini della fede, alla conoscenza della più nobile e desiderabile realtà. Qui appunto risiede una delle grandi differenze tra la filosofia cristiana e la sapienza di questo mondo. Mentre questa, guidata semplicemente dal lume di natura, muovendo adagio adagio dagli effetti e da tutto ciò che è percepito dai sensi, riesce solo dopo diuturni sforzi a contemplare a malapena le realtà invisibili di Dio, a riconoscerlo e comprenderlo quale prima Causa e Autore di tutto il creato; quella invece affina talmente la penetrazione dello spirito umano, che esso può innalzarsi al cielo senza fatica. Illuminato dallo splendore divino, scorge dapprima l'eterna fonte stessa della luce e poi quanto giace al disotto di essa.
Perciò a noi è dato di constatare con la più intensa letizia spirituale come veramente, secondo la parola del principe degli Apostoli, siamo chiamati dal fondo delle tenebre a una luce mirabile (1 Pt 2,9) e possiamo trasalire di ineffabile gioia nella nostra fede (ibid. 1,8). A ragione dunque i fedeli proclamano anzitutto di credere in Dio, la maestà del quale, con Geremia, definiamo incomprensibile (Ger 32,19). Egli dimora, come dice l'Apostolo, in uno splendore inaccessibile, che nessuno vide o può vedere (1 Tm 6,16). Parlando a Mosè disse Dio stesso: "Nessuno mi vedrà e sopravviverà" (Es 33,20). Infatti, per arrivare a Dio, vertice del sublime, l'intelligenza nostra deve essere del tutto astratta dai sensi; il che non è concesso alle facoltà naturali in questa vita.

7                    La conoscenza razionale di Dio

16 Tuttavia Dio, secondo la sentenza dell'Apostolo, non mancò di dare di sé testimonianza, beneficandoci, inviando dal cielo le piogge e le stagioni fruttifere, ricolmando di nutrimento e di gioia le creature umane (At 14,16). Così ai sapienti fu evitato di concepire intorno a Dio nozioni indegne e concesso di eliminare dal suo concetto ogni elemento corporeo, materiale, composito. Essi inoltre collocarono in Dio la pienezza di tutti i beni, la fonte perenne e inesauribile di bontà e di misericordia, da cui rifluisce su tutte le realtà e nature create ogni bene e ogni perfezione. Lo chiamarono sapiente, autore e tutore della verità, giusto, benefico: con tutti quei nomi, insomma, in cui è espressa la suprema e assoluta perfezione; sostennero poi che la sua immensa e infinita virtù riempie ogni luogo e raggiunge ogni estremo. Tutto ciò traspare molto più nettamente dalle Sacre Scritture, come mostrano, per esempio, i passi seguenti: "Dio è spirito" (Gv 4,24); "Siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto" (Mt 5,48); "Tutto è nudo e scoperto ai suoi occhi" (Eb 4,13); "O profondità dei tesori della sapienza e della scienza divina!" (Rm 11,33); "Dio è veritiero" (Rm 3,4); " Io sono la via, la verità, la vita" (Gv 14,6); "La tua destra è ricolma di giustizia" (Sai 47,11); "Tu apri la tua mano ed empi di benedizione ogni essere che respira" (Sai 144,16); "Dove mi rifugerò per evitare il tuo spirito e il tuo volto? Se salgo al cielo, ivi tu sei: se scenderò nell'inferno, sei presente; se all'alba prenderò le mie ali e mi lancerò verso i confini del mare, tu sei lì" (Sal 138,7-9); "II Signore dice: non riempio io forse il cielo e la terra?" (Ger 23,24).

8                    La conoscenza di Dio mediante la fede è superiore alla conoscenza razionale

17 Sono grandi in verità e insigni queste nozioni, che circa la natura di Dio, in armonia con l'autorità della Sacra Scrittura, i filosofi trassero dalla contemplazione del creato. Eppure anche qui scopriremo la necessità di una dottrina rivelata, se riflettiamo che la fede, come abbiamo detto, non solo fa sì che le verità scoperte dai sapienti dopo paziente studio brillino d'un tratto e senza sforzo anche agli ignoranti, ma che la loro conoscenza, conseguita attraverso la pedagogia della fede, penetri nei nostri intelletti in modo infinitamente più sicuro e immune da errori di quel che si verificherebbe se l'avessero raggiunte mediante i ragionamenti della scienza umana.
Però quanto non è da reputarsi più nobile quella conoscenza della divinità che non è indistintamente data a tutti dallo spettacolo della natura, ma particolarmente fu irraggiata nei credenti dal lume della fede? Orbene, questa è condensata in quegli articoli del Simbolo che ci manifestano l'unità dell'essenza divina e la distinzione delle tre Persone e ci additano Dio come ultimo fine dell'uomo, da cui dobbiamo attenderci la celestiale ed eterna beatitudine, come apprendemmo da san Paolo: "Dio è rimuneratore di chi lo cerca" (Eb 11,6). Di qual valore sia tutto ciò e come trascenda i beni, ai quali la conoscenza avrebbe potuto aspirare da sola (1 Cor 2,9), già molto prima dell'Apostolo lo aveva spiegato Isaia: "Dall'origine dei secoli, al di fuori di te, o Signore, non fu inteso da orecchio o percepito da occhio umano quanto tu hai preparato a coloro che ti amano" (Is 64,4).

9                    Unità di Dio

18 Da quanto abbiamo esposto risulta che dobbiamo anche confessare l'esistenza di un solo Dio, non di più dei. Attribuendo infatti a Dio la suprema bontà e perfezione, è inconcepibile che l'infinito e l'assoluto si riscontrino in più d'un soggetto. E se a uno poi manca qualcosa per toccare la perfezione assoluta, con ciò stesso è imperfetto, né può convenirgli la natura divina. Molti passi scritturali confermano simili deduzioni. È scritto infatti: "Ascolta, Israele: il Signore Dio nostro è Dio unico" (Dt 6,4). Ed è comando di Dio: "Non avrai altro Dio, fuori che me" (Es 20,3). Dio inoltre spesso ammonisce per mezzo del Profeta: "Io sono il primo e l'ultimo; nessun Dio fuori di me" (Is 41,4; 44,6). E apertamente assicura l'Apostolo: "Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo" (Ef 4,5). Né ci sorprenda il fatto che talora la Sacra Scrittura attribuisce l'appellativo Dio anche a nature create. Chiamando infatti talora dei i profeti e i giudici non rispecchia i preconcetti dei gentili, che empiamente e stoltamente si raffigurarono molteplici divinità, ma, secondo il parlare usuale, vollero esprimere qualche esimia loro virtù o qualche speciale funzione a essi da Dio affidata. In conclusione la fede cristiana crede e professa un Dio solo, nella natura, nella sostanza, nell'essenza, come il Simbolo del Concilio Niceno, per rassodare tale verità, ha spiegato. Né basta: elevandosi più in alto, la fede intende l'unità in modo tale da venerare l'unità nella trinità e la trinità nell'unità. Di questo mistero, che segue appunto nel Simbolo, dobbiamo ora trattare.

10                Dio, Padre di tutte le cose per creazione, Padre in modo peculiare dei cristiani per adozione

19 PADRE. Poiché il vocabolo di "Padre" è attribuito a Dio per molteplici ragioni, dovremo anzitutto spiegare quale sia il significato più proprio di questa parola. Già alcuni di coloro le cui tenebre non erano state dissipate dal sole della fede avevano compreso essere Dio la sostanza eterna, da cui il mondo aveva ricevuto l'essere e dalla cui provvidenza è governato e conservato nella sua ordinata disposizione. Presa dunque la similitudine dalle realtà umane, poiché chi propaga l'essere in una famiglia e ne vigila le sorti con il consiglio e l'autorità è chiamato padre, furono indotti a chiamare Padre quel Dio che riconoscevano artefice e moderatore di tutte le cose.
Anche le Sacre Scritture ricorsero al medesimo appellativo, quando, parlando di Dio, vollero mostrare come a Dio si dovessero attribuire la creazione, il potere e la mirabile provvidenza nell'universo. Vi leggiamo infatti: "Non è lo stesso Padre tuo che ti ha posseduto, ti ha fatto, ti ha creato?" (Dt 32,6). E altrove: "Non è forse uno solo il Padre di tutti noi? Uno solo il nostro Creatore?" (Mi 2,10). Ben più spesso e quasi con peculiare proprietà, soprattutto nei libri del Nuovo Testamento, Dio è chiamato Padre dei cristiani, poiché questi non ricevettero, nel timore, lo spirito di schiavitù, bensì lo spirito di adozione, quali figli di Dio, che li autorizza a invocare: "Abbà, Padre" (Rm 8,15). Il Padre infatti ci usò tale amore, che in verità possiamo essere nominati e in realtà siamo figli di Dio (1 Gv 3,1). Se poi figli, anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Gesù Cristo, primogenito tra innumerevoli fratelli (Rm 8,17.29), che non arrossisce nel chiamarci tali (Eb 2,11). Sicché a buon diritto i fedeli professano la loro fede in Dio loro padre, sia che si consideri la relazione generica nascente dalla creazione e dalla provvidenza, sia che si tenga conto del singolare vincolo della spirituale adozione.

11                Il valore del nome Padre nella Divinità

20 Oltre le nozioni testé spiegate, il parroco mostrerà a quali più sublimi misteri l'intelletto debba innalzarsi nell'ascoltare l'appellativo di Padre. Gli oracoli divini infatti cominciano, con il vocabolo di "Padre", a farci intravedere quanto si nasconde più misteriosamente in quella luce inaccessibile, che è dimora di Dio e che la ragione e l'intelletto dell'uomo mai avrebbero potuto da sé, non dico raggiungere, ma neppure sospettare. Poiché quel nome dimostra che nell'unica essenza divina dobbiamo riconoscere non già una sola Persona, bensì una distinzione di Persone.
Tre di fatto sono le Persone nell'unica Divinità: quella del Padre, da nessuno generato; del Figlio, generato dal Padre anteriormente a tutti i secoli; dello Spirito Santo, pur dall'eternità procedente dal Padre e dal Figliolo. Nell'unica sostanza divina il Padre è la prima Persona che, con il Figlio unigenito e con lo Spirito Santo, forma un solo Dio, un solo Signore, non già nella singolarità di un'unica Persona, bensì nella trinità di un'unica sostanza.

12                Le tre Persone divine sono distinte per le loro rispettive proprietà

21 Non essendo permesso concepire tra queste tre Persone alcuna differenza o ineguaglianza, dovranno intendersi distinte solamente in virtù delle loro proprietà; per cui il Padre è non generato, il Figlio è generato dal Padre, lo Spirito Santo procede da entrambi. E professeremo fra le tre Persone una tale identità di essenza e di sostanza, che nella confessione completa di un Dio vero ed eterno riterremo dover adorare, piamente e santamente, nelle Persone la proprietà, nell'essenza l'unità, nella trinità l'uguaglianza. Sicché quando diciamo che la Persona del Padre è la prima, non bisogna pensare che nella trinità sussista una differenza come se una fosse anteriore o posteriore, maggiore o minore.
Lo spirito dei fedeli sia immune da una tale empietà: la religione cristiana proclama nelle tre Persone l'identica eternità e la stessa maestà di gloria. Noi affermiamo senza esitazione che il Padre è veramente la prima Persona, perché è principio senza principio; e poiché ciò che la contrassegna è la proprietà di Padre, a essa sola conviene l'aver generato dall'eternità il Figlio. Infatti pronunciamo insieme in questo articolo i nomi di "Dio" e di "Padre", per ricordare costantemente che Dio è stato sempre Padre.

13                Non occorre istituire intorno alla Trinità troppo sottile ricerca

22 Siccome in nessun altro campo vi è tanto pericolo nell'indagine e tanta possibilità di errori gravissimi come nel presentare e spiegare questa sublime e difficilissima verità, il parroco insegnerà doversi scrupolosamente ritenere i vocaboli propri di essenza e di persona, con i quali viene formulato il mistero, ricordando ai fedeli come l'unità è nell'essenza, la distinzione nelle Persone. Dopo ciò, non è affatto necessario inoltrarsi in analisi più minute, memori della sentenza biblica: "Chi vuole scandagliare la maestà, sarà sopraffatto dalla gloria" (Prv 25,27). Deve apparire sufficiente il fatto che quanto per fede riteniamo certo e indiscusso lo apprendemmo da Dio, gli oracoli del quale vogliono l'assenso, se non si è irreparabilmente folli e miserabili. Egli ha detto infatti: "Andate a istruire tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo" (Mt 28,19). E altrove: "Tre sono i testimoni nel cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo; e i tre costituiscono una sola sostanza" (1 Gv 5,7). Tuttavia colui il quale crede per divina grazia a tali verità preghi assiduamente e scongiuri Dio Padre, che dal nulla trasse l'universo, tutto disponendo dolcemente (Sap 8,1), che ci concesse la capacità di divenire figli di Dio (Gv 1,12) e all'umana intelligenza discoprì il mistero trinitario. Preghi, dico, affinché accolto un giorno nei tabernacoli eterni (Lc 16,9), sia degno di scorgere questa meravigliosa fecondità di Dio Padre, che, intuendo e comprendendo se stesso, genera un Figlio, pari e uguale a se stesso; di contemplare come l'identico Amore di carità dei due, che è lo Spirito Santo, procedente dal Padre e dal Figliolo, stringe reciprocamente, con eterno e indissolubile vincolo, il Genitore e il Generato; come infine si attui cosi, nella divina Trinità, l'unità di essenza e la perfetta distinzione delle tre Persone.

14                L'onnipotenza di Dio

23 ONNIPOTENTE. Le Sacre Scritture vogliono spiegare con molti nomi la perfezione sovrana e l'infinita grandezza di Dio, per mostrare con quale rispetto e pietà debba venerarsi l'adorabile maestà sua. Ma il pastore insegnerà anzitutto che l'onnipotenza è il qualificativo preferito. Dio stesso dice di sé: "Io, Dio onnipotente" (Gn 17,1). E Giacobbe, inviando i figli a Giuseppe, li accomiata con l'augurio: "II mio Dio onnipotente ve lo renda placabile" (Gn 43,14). Nell'Apocalisse infine è scritto: "Dio, Signore onnipotente, che è, che era e che verrà" (Ap 1,8); e ancora: "II gran giorno si chiama il giorno di Dio onnipotente" (ibid. 16,14). Talora il medesimo concetto è espresso con più parole, come appare dai passi seguenti: "Niente è impossibile avanti a Dio" (Lc 1,37); "La mano di Dio è forse impotente?" (Nm 11,23); "II potere ti spetta, quando tu voglia" (Sap 12,18) e simili. È evidente che le varie espressioni adombrano il medesimo contenuto: l'onnipotenza.
Questo attributo sta a significare che nulla possono l'intelligenza e la fantasia raffigurarsi, che Dio non possa compiere. Egli ha la virtù di compiere non solamente effetti che, per quanto grandissimi, rientrano in qualche modo nell'ambito della nostra comprensione, come ridurre il tutto nel nulla o produrre all'istante molteplici mondi, ma anche gesta infinitamente più grandiose, superiori a ogni immaginazione dello spirito umano. Pur tutto potendo, Dio non può però mentire, ingannare, essere ingannato, peccare, perire, ignorare qualcosa; tutti attributi di esseri, le cui operazioni sono imperfette. Appunto perché l'operazione di Dio è sempre perfettissima, diciamo che non può compiere quelle azioni, le quali sono indizio di debolezza, non già di una somma e infinita potenza operativa, quale egli possiede. In conclusione noi crediamo Dio onnipotente, rimuovendo da lui con ogni cura tutto ciò che sia difforme e contrario alla perfezione suprema della sua essenza.

15                Necessità e utilità della fede nell'onnipotenza di Dio

24 II parroco mostrerà con quanta sapienza nel Simbolo sia stato proposto alla nostra fede quest'unico attributo di Dio, tralasciati gli altri che gli convengono. In realtà, proclamando Dio onnipotente, implicitamente veniamo a riconoscerlo onnisciente, dominatore e signore dell'universo. Inoltre, se riteniamo per certo che egli può fare tutto, ne segue che riconosceremo in lui tutte quelle altre perfezioni, mancando le quali ci riuscirebbe incomprensibile l'esercizio della onnipotenza. Infine nulla meglio della persuasione che Dio tutto può fare potrebbe corroborare in noi i sentimenti di fede e di speranza. La ragione, guadagnata la nozione dell'onnipotenza divina, aderirà senza ombra di esitazione a qualunque cosa sia necessario credere, per quanto insigne e mirabile, per quanto superiore alle leggi e all'ordine di natura. Anzi riterrà tanto più agevolmente doversi prestar fede, quanto più sublimi sono le manifestazioni degli oracoli divini. Così, sul terreno delle sante speranze, l'animo sarà sbigottito dalla grandezza della meta agognata, ma trarrà coraggio e fiducia dal pensiero frequente che nulla è impossibile all'onnipotenza di Dio.
Di questa fede dovremo in particolar modo premunirci quando ci accingiamo a compiere qualcosa di notevole per il vantaggio del prossimo, o quando con le preghiere desideriamo impetrare qualcosa da Dio. Per il primo caso lo stesso Signore ci ammaestrò quando, rimproverando agli Apostoli la loro incredulità, esclamò: "Se avrete fede quanto un granello di senapa, direte a questo monte: passa di là; e passerà e niente vi sarà impossibile" (Mt 17,20). Per il secondo, abbiamo la testimonianza di san Giacomo: "Chi chiede, chieda con fede, senza esitare; chi esita, è simile all'onda del mare, spinta in ogni lato dal vento e non s'illuda di ottener qualcosa da Dio" (Gc 1,6.7).
Tale fede del resto ci procura parecchi altri importanti vantaggi: ci educa anzitutto alla modestia e all'umiltà dello spirito, come suggerisce il principe degli Apostoli: "Umiliatevi sotto la potente mano di Dio" (1 Pt 5,6). In secondo luogo ci insegna a non tremare, poiché null'altro v'è da temere se non Dio solo, che tiene in suo potere noi e tutte le nostre cose. Ammonisce infatti il Salvatore: "Io vi additerò chi dobbiate temere: temete colui che, dopo avervi tolta la vita, ha potere di mandarvi all'inferno" (Lc 12,5).
Infine ci aiuta a riconoscere e a celebrare i benefici immensi che Dio ci ha elargito; poiché chi riconosce Dio onnipotente, non può avere ingratitudine sì nera da non gridare spessissimo: "Grandi cose ha fatto per me colui che è potente" (Lc 1,49).

16                L'onnipotenza è principalmente attribuita al Padre

25 Dal fatto che in questo articolo chiamiamo onnipotente il Padre, nessuno sia tratto erroneamente a pensare che tale attributo a lui convenga, senza essere parimenti comune al Figlio e allo Spirito Santo. Poiché come diciamo Dio il Padre, Dio il Figlio, Dio lo Spirito Santo, pur non riconoscendo tré dei, bensì un solo Dio, così pure confessiamo l'onnipotenza del Padre, del Figlio e dello Spirito, senza riconoscere tre onnipotenti, ma un solo onnipotente. Tuttavia al Padre più particolarmente riserviamo tal nome, perché fonte di qualsiasi origine; come in particolare si attribuisce al Figlio, eterno Verbo del Padre, la sapienza, e allo Spirito Santo, Amore di entrambi, la bontà; quantunque questi e simili attributi appartengano, secondo la regola della fede cattolica, solidalmente a tutte e tre le Persone.
26 CREATORE DEL CIELO E DELLA TERRA. Quanto ora diremo per spiegare la creazione dell'universo, mostrerà come sia necessario istruire in antecedenza i fedeli circa l'onnipotenza di Dio. Non avendo infatti lasciato alcun dubbio sulla potenza sconfinata del Creatore, è così agevolata la fede nel prodigio di sì grande opera. Dio non ha formato il mondo da una materia preesistente, ma lo creò dal nulla, non costretto dalla violenza o dalla necessità, ma di propria spontanea volontà. L'unica causa che lo spinse all'atto creativo fu il desiderio di espandere la sua bontà sulle cose create. La natura di Dio infatti, beatissima in sé, non ha bisogno di nulla, secondo le parole di David: "Io ho detto al Signore: tu sei il mio Dio, perché non hai bisogno dei miei beni" (Sal 15,2). Ma come, indotto dalla sua sola bontà, ha compiuto tutto ciò che ha voluto, così gettando le basi dell'universo non si è uniformato a un esemplare o a un disegno esistente fuori di lui. Infatti se la sua intelligenza racchiude in se stessa i prototipi di tutte le cose, il sovrano Artefice, contemplandoli in sé e quasi imitandoli, creò all'inizio le realtà dell'universo, con la sapienza e potenza infinita che gli sono proprie. Egli parlò e le cose furono; comandò e vennero create (Sal 32,9).
Nei termini poi cielo e terra occorre intendere tutto quanto essi contengono. Ai cieli infatti, che il Profeta chiamò opera delle sue dita (Sal 8,4), Dio aggiunse il luminoso ornamento del sole, della luna, delle rimanenti stelle e, affinché servissero a distinguere le stagioni, i giorni, gli anni, dispose il corso sicuro e costante dei globi celesti, in modo che nulla appaia più mobile del loro orbitare perpetuo, nulla più certo del loro movimento.

17                Creazione degli angeli

27 Dio inoltre trasse dal nulla il mondo spirituale e gli angeli innumerevoli, perché gli fossero ministri assidui, arricchendoli poi con i doni della sua ineffabile grazia e del suo alto potere. Le parole infatti della Sacra Scrittura: "II diavolo non perseverò nel vero" (Gv 8,44), dimostrano nettamente come esso e gli altri angeli apostati avevano dalla loro origine ricevuto la grazia. Dice in proposito sant'Agostino: "Dio creò gli angeli dotati di retta volontà, vale a dire animati da un casto amore, che a lui li avvinceva, dando loro l'essere ed elargendo insieme la grazia. Possiamo perciò ritenere che gli angeli santi non furono mai sprovvisti di rettitudine nella volontà, cioè dell'amor di Dio" (sant'Agostino, De civit. Dei, 12, 9, 2). Riguardo alla loro scienza, abbiamo la dichiarazione dei Libri sacri: "Ma tu, mio signore, sei sapiente, come è sapiente l'angelo di Dio, sì che tutto conosci sulla terra" (2 Re 14,20). Infine il santo re David attribuisce loro la potenza, dichiarando potenti gli angeli per intima virtù ed esecutori dell'ordine divino (Sal 102,20). Anzi le Sacre Scritture li chiamano spesso forze ed eserciti del Signore. Purtroppo, sebbene tutti arricchiti di tali doni celesti, molti, avendo ripudiato Dio loro padre e creatore, furono espulsi dalle sublimi sedi e chiusi nel carcere oscurissimo della terra, dove pagano eternamente la pena della loro superbia. Di essi parla san Pietro: "Dio non ha risparmiato gli angeli peccatori, ma li ha precipitati nell'inferno, abbandonandoli agli abissi delle tenebre, dove li mantiene per il Giudizio" (2 Pt 2,4).

18                Creazione dei viventi

28 Dio inoltre con la sua parola volle che la terra, ben fondata sulla sua stabilità, avesse posto nella parte centrale del mondo; e fece si che le montagne si innalzassero e le valli si aprissero nei punti designati (Sal 103,8.9). E perché l'acqua non la sommergesse, fissò il confine oltre il quale mai si spingesse l'inondazione. Quindi vi spiegò sopra una magnifica veste di alberi, di erbe, di fiori e, come antecedentemente aveva popolato l'acqua e l'aria di innumerevoli specie di animali, cosi fece per la terra.

19                 

20                Creazione dell'uomo

29 Infine Dio trasse dal fango l'uomo, organizzandolo corporalmente in modo tale da divenire suscettibile, non per forza di natura, ma per beneficio divino, di immortalità e d'impassibilità. Creò poi la sua anima a immagine e similitudine propria, dotandolo di libero arbitrio e temperando in lui gli istinti e gli appetiti in modo che mai potessero sopraffare il dominio della ragione. Aggiunse il meraviglioso dono della giustizia originale e volle che l'uomo comandasse a tutti gli ammali. Tutto ciò del resto potrà essere attinto agevolmente dai parroci, per l'istruzione dei fedeli, dalla storia sacra del Genesi.
Ecco così spiegato quel che deve intendersi nell'inciso relativo alla creazione del cielo e della terra. Il profeta aveva già tutto brevemente riassunto con le parole: "Tuoi sono, o Signore, i cieli e la terra; tu hai fondato il globo terracqueo e quanto lo riempie" (Sal 88,12). Molto più sinteticamente si espressero i Padri del Concilio Niceno, introducendo nel Simbolo due soli vocaboli: "le cose visibili e le invisibili". Tutto ciò, infatti, che è compreso nell'universo e riconosciamo creato da Dio, o cade sotto la percezione dei nostri sensi ed è detto visibile, o può essere percepito solamente dalla nostra ragione e intelligenza, ed è chiamato invisibile.

21                La divina Provvidenza

30 Non dobbiamo però concepire la nostra fede in Dio, creatore e autore di tutte le cose, in modo da supporre che queste, compiutasi l'opera creativa, possano sussistere indipendentemente dalla sua potenza infinita. Come tutto, per assurgere all'esistenza, fu suscitato dalla saggia e buona onnipotenza del Creatore, così tutto ripiomberebbe istantaneamente nel nulla, se l'eterna sua Provvidenza non assistesse il creato e non lo conservasse con la medesima virtù che gli diede l'essere. Lo attesta la Sacra Scrittura: "Che cosa potrebbe sussistere, se tu non lo volessi? E se non fosse ognora sorretto da te, che cosa potrebbe conservarsi?" (Sap 11,26).
Dio non solamente tutela e regge l'universo con la sua Provvidenza, ma spinge con intima efficacia al movimento e all'azione tutto ciò che si muove e opera nel mondo, non già sopprimendo l'efficienza delle cause seconde, bensì prevenendola. La sua efficacia misteriosa raggiunge le singole realtà e, secondo la parola della Sapienza, opera con potenza da un'estremità all'altra (del mondo) e tutto governa soavemente (Sap 8,1).
Annunciando agli Ateniesi quel Dio che essi adoravano senza conoscerlo, l'Apostolo esclamava: "Egli non è lontano da ciascuno di noi, poiché in lui abbiamo la vita, il movimento e l'essere" (At 17,27.28).

22                L'atto creativo è comune alla santissima Trinità

31 E basti per quanto riguarda la spiegazione del primo articolo. Aggiungeremo tuttavia che l'opera della creazione è comune a tutte le Persone della santa e indivisa Trinità. Poiché, mentre in questo articolo del Simbolo degli Apostoli confessiamo Dio Padre, creatore del cielo e della terra, nelle Sante Scritture leggiamo del Figlio: "Tutto è stato fatto per suo mezzo" (Gv 1,3) e dello Spirito Santo: "Lo Spirito del Signore aleggiava sulle acque" (Gn 1,2); e altrove: "Nel Verbo del Signore i cieli sono stati resi stabili e dallo Spirito della sua bocca è profluito ogni loro pregio" (Sal 32,6).

Articolo 2

23                E IN GESÙ CRISTO, SUO UNICO FIGLIOLO, NOSTRO SIGNORE


Utilità dell'articolo
32 Quanto mirabile e ricco vantaggio si sia riversato su tutto il genere umano dalla fede e dalla confessione di questo articolo lo mostrano da una parte la testimonianza di san Giovanni: "Chi professerà che Gesù è Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio" (1 Gv 4,15); dall'altra quell'attestato di beatitudine, elargito da nostro Signore al principe degli Apostoli: "Beato te, Simone, figlio di Giona, perché non te l'ha rivelato la carne e il sangue, ma il Padre mio che è nei cieli" (Mt 16,17). Qui sta il fondamento più saldo della nostra salvezza e redenzione. Ma per intenderne appieno le ripercussioni benefiche, occorre insistere specialmente sulla perdita di quel felicissimo stato, in cui Dio aveva collocato i primi rappresentanti del genere umano. Curi perciò il parroco che i fedeli vengano a conoscere la causa delle nostre misere condizioni.

24                La caduta dell'uomo

33 Adamo mancò all'obbedienza verso Dio con il trasgredirne il comando: "Mangerai i frutti di qualsiasi albero del paradiso, ma non toccherai quelli dell'albero della scienza del bene e del male, poiché il giorno in cui li toccherai ne morrai" (Gn 2,16.17). Cadde perciò in tanta disgrazia da perdere senz'altro la santità e la giustizia in cui era stato posto e da subire tutti quegli altri malanni che il Concilio Tridentino spiegò ampiamente (sess. 5, can. 1, 2; sess. 6, can. 1). Ricorderanno i pastori che il peccato e la sua pena non sono rimasti circoscritti al solo Adamo, ma da lui, seme e causa, si sono naturalmente propagati a tutta la posterità.

25                 

26                Necessità della fede nel Redentore

34 Risollevare il genere umano precipitato dall'altissimo grado di dignità, ricondurlo al suo primiero stato, non era impresa proporzionata alle forze degli uomini o degli angeli. L'unico rimedio possibile alla rovina e ai mali era che l'infinita virtù del Figlio di Dio, assunta la fragilità della nostra carne, cancellasse l'infinita malizia del peccato e a Dio ci riconciliasse a prezzo del suo sangue.
Credere e professare il mistero della redenzione è e fu sempre per gli uomini necessario al conseguimento della salvezza; per questo Dio l'annunzio fin dall'inizio. Cosi, nell'atto stesso di condanna, scagliato sull'uman genere subito dopo il peccato, fu indicata la speranza della redenzione nelle parole con cui preannunziò al demonio la sconfitta, a cui l'avrebbe costretto con la liberazione degli uomini: "Porrò inimicizia fra te e la donna, tra il tuo e il suo seme; essa ti schiaccerà il capo e tu insidierai il suo tallone" (Gn 3,15). Più tardi confermò ripetute volte la medesima promessa, manifestando il proprio disegno in una maniera più esplicita, soprattutto a coloro cui volle dar prova di singolare benevolenza. Tale mistero fu spesso accennato, fra gli altri, al patriarca Abramo e in modo apertissimo quando egli, docile ai comandi di Dio, stette per immolare l'unico suo figlio Isacco. Disse infatti: "Poiché hai fatto ciò, non risparmiando il tuo unigenito, ti benedirò e moltiplicherò la tua progenie come le stelle del cielo e l'arena innumerevole sulla sponda del mare. Possederà essa le porte dei tuoi nemici; nel seme tuo saranno benedette tutte le genti della terra, perché obbedisti alla mia voce" (Gn 22,16-18), dalle quali parole era naturale ricavare che dalla progenie di Abramo sarebbe uscito colui che doveva donare la salvezza a tutti gli affrancati dal giogo immane di Satana. Ora il liberatore non poteva essere altri che il Figlio di Dio, uscito dalla progenie di Abramo, secondo la carne.
Poco più tardi, perché il ricordo della promessa fosse conservato, il Signore strinse il medesimo patto con Giacobbe, nipote di Abramo. Nel sogno gli apparve infatti una scala poggiata sulla terra e toccante con l'apice i cieli, e sulla scala vide gli angeli di Dio scendere e salire, come narra la Scrittura. E udì il Signore, dal sommo della scala, dirgli: "Io sono il Signore, il Dio di Abramo, tuo padre, il Dio di Isacco; darò la terra su cui dormi a te e alla tua posterità, numerosa come la polvere della terra. Ti propagherai a oriente e a occidente, a settentrione e a mezzogiorno; saranno benedette in te e nella tua semenza tutte le tribù della terra" (Gn 28,12-14).
Dio non ristette poi dal rinnovare la promessa, suscitando il senso dell'attesa tra i discendenti di Abramo e tra molti altri ancora. Anzi, bene organizzatasi la società e la religione dei Giudei, essa divenne anche più nota in mezzo al popolo. Molte furono le figure e molte le profezie delle grandi cose buone che il salvatore e redentore nostro Cristo ci avrebbe arrecato. In particolare i Profeti, il cui spirito era illuminato da luce celeste, apertamente, quasi vi fossero presenti, preannunziarono al popolo la nascita del Figlio di Dio, le opere ammirabili che, fatto uomo, avrebbe compiuto, la sua dottrina, i costumi, la sua vita, la morte, la risurrezione e tutti gli altri suoi misteri. Sicché, se prescindiamo dalla diversità, che è tra futuro e passato, vediamo che nessuna divergenza sussiste tra le predizioni dei profeti e la predicazione degli Apostoli, tra la fede dei vecchi Patriarchi e la nostra. Spieghiamo ora tutte le parti di questo articolo.

27                Il nome di Gesù, imposto per divino comando, è ben appropriato al Redentore

35 IN GESÙ CRISTO. Gesù, che significa "salvatore", è il nome proprio di colui che è Dio e uomo. Non gli fu imposto a caso o per volontà e decisione umana, bensì per decisione e comando di Dio. Infatti l'angelo annunciò alla madre di lui. Maria: "Ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, al quale porrai nome Gesù" (Le 1,31). E più tardi non solo comandò a Giuseppe, sposo della Vergine, di chiamare il bambino con quel nome, ma ne addusse anche la ragione, dicendo: "Giuseppe, figlio di David, non esitare a prender Maria in tua consorte; poiché quel ch'è nato in lei, è da Spirito Santo. Partorirà un figliolo, cui porrai nome Gesù; perché egli libererà il suo popolo dai suoi peccati" (Mt 1,20-21).
Molti personaggi veramente portano nella Sacra Scrittura questo nome: per esempio il figlio di Nave, che successe a Mosè e, cosa a questo negata, introdusse nella terra promessa il popolo liberato da lui dall'Egitto; e il figlio del gran sacerdote losedech. Ma con quanta maggiore verità non troviamo noi che esso conviene al nostro Salvatore. Egli infatti conferì la luce, la libertà, la salvezza non a un popolo, ma all'umanità di tutti i tempi; umanità non già oppressa dalla fame o dal dominio egiziano o babilonese, bensì sperduta nell'ombra della morte, gemente nei durissimi ceppi del peccato e del diavolo; guadagnò per lei il diritto ereditario al regno celeste e la riconciliò con Dio Padre.
In quei personaggi dobbiamo scorgere raffigurato Cristo Signore, dal quale il genere umano fu ricolmato dei doni mentovati. Tutti i nomi del resto, che furono preannunziati come riferiti, per disposizione divina, al Figlio di Dio, si riassumono in quest'unico nome di Gesù; poiché mentre essi esprimono, ciascuno sotto un parziale punto di vista, la salvezza che egli ci doveva impartire, questo abbraccia l'efficacia e la ragione della universale salvezza umana.

28                Gesù Cristo re, sacerdote, profeta

36 Al nome di Gesù è stato accoppiato quello di Cristo, che significa "Unto" ed è titolo di onore e di ministero, riservato però non a uno solo, ma a diversi uffici, perché gli antichi Padri chiamavano cristi i sacerdoti e i re che Dio aveva comandato di ungere, in vista della dignità del loro ufficio. In realtà i sacerdoti sono coloro che raccomandano a Dio, con l'assidua preghiera, il popolo, offrono a Dio sacrifici, implorano per la gente. Ai re poi è affidato il governo dei popoli; a essi spetta soprattutto tutelare il prestigio delle leggi e la vita degli innocenti, vendicare l'audacia dei perversi. Ora poiché tali funzioni sembrano rispecchiare sulla terra la maestà di Dio, era naturale che i candidati all'ufficio sacerdotale o regale fossero unti con unguento. Fu anche antica consuetudine ungere i Profeti, interpreti di Dio immortale, araldi fra gli uomini dei celesti segreti, esortatori efficaci alla correzione dei costumi, per mezzo di precetti e di previsioni.
Venendo al mondo, il nostro salvatore Gesù Cristo assunse l'ufficio della triplice personalità di profeta, di sacerdote e di re; per questo è stato chiamato Cristo ed è stato unto, allo scopo di assolvere il molteplice compito, non per le mani di alcun mortale, ma per virtù del Padre celeste: non con unguento terreno, ma con olio spirituale. Nella sua santissima anima infatti fu versata una pienezza di doni dello Spirito Santo, più ricca e generosa di quella che alcuna natura creata possa ospitare. Lo aveva mirabilmente annunciato il profeta, rivolgendosi direttamente al Redentore: "Tu hai amato la giustizia e odiato l'iniquità; perciò il Signore, tuo Dio, ti ha consacrato con olio di letizia sopra i tuoi compagni" (Sai 44,8). E anche più esplicitamente l'aveva mostrato Isaia: "Lo Spirito del Signore è sopra di me, avendomi unto e mandato a evangelizzare i mansueti" (Is 61,1).
Gesù Cristo fu dunque il profeta e il maestro per eccellenza, poiché ci fece manifesta la volontà di Dio e dal suo insegnamento il mondo intero attinse la conoscenza del Padre celeste. Tale qualifica gli conviene tanto più propriamente, in quanto tutti coloro che meritarono il nome di Profeti furono suoi discepoli, inviati con il precipuo scopo di annunziare lui, il profeta che sarebbe venuto per la salvezza di tutti.
Parimenti Cristo fu sacerdote, non di quell'ordine sacerdotale cui appartennero nell'antica legge i sacerdoti della tribù di Levi, ma di quello cantato da David con le parole: "Tu sei sacerdote in eterno, secondo l'ordine di Melchisedech" (Sal 109,4); concetto accuratamente spiegato dall'Apostolo nella lettera agli Ebrei. Infine in Cristo riconosciamo un re, non solo in quanto Dio, ma anche in quanto uomo e partecipe della nostra natura, avendo di lui dichiarato l'angelo: "Regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe e il suo regno non conoscerà tramonto" (Le l,32s). Il regno di Cristo però è spirituale ed eterno: iniziato sulla terra, si corona in cielo. Egli esercita mirabilmente le prerogative regali nella Chiesa governandola, proteggendola dall'impeto e dalle imboscate dei nemici, imponendole leggi e non solo elargendole santità e giustizia, ma dandole capacità e forza sufficiente per perseverare. Sebbene nei confini di tal regno siano promiscuamente compresi buoni e cattivi e quindi tutti gli uomini a rigore vi appartengano, tuttavia coloro che, uniformandosi ai suoi precetti, conducono vita integra e pura, sperimentano sopra ogni altro l'esimia bontà e beneficenza del nostro Re. Tale regno non toccò a Gesù Cristo per essere rampollo di illustri sovrani, in virtù di un diritto ereditario o comunque umano: egli fu re perché nella sua umanità Dio concentrò quanto la natura umana può possedere di potenza, di grandezza, di dignità. Con ciò stesso Dio gli conferì il regno del mondo intero e tutto nel dì del giudizio sarà pienamente e perfettamente sottoposto a lui, come già del resto si comincia a vedere nella vita presente.

Gesù Cristo è Figlio di Dio per generazione ineffabile
37 Suo UNICO FIGLIOLO. Queste parole propongono alla fede e alla meditazione dei cristiani misteri anche più alti intorno a Gesù e precisamente che egli è Figlio di Dio e vero Dio, uguale al Padre, che lo generò fin dall'eternità. Inoltre riconosciamo così che egli è la seconda Persona della Trinità, del tutto uguale alle altre due. Non si può infatti immaginare qualcosa di vario e di dissimile nelle Persone divine, avendo m tutte ammesso la stessa essenza, volontà e potenza. Questo articolo di fede risulta da molti tratti biblici, ma soprattutto dal celeberrimo testo di san Giovanni: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio" (Gv 1,1).
Sentendo che Gesù è Figlio di Dio, non dobbiamo ricorrere con il pensiero a una origine che implichi qualche elemento terreno o mortale. Noi non possiamo cogliere con la ragione e compiutamente comprendere l'atto mediante il quale, da tutta l'eternità, il Padre generò il Figlio; però lo dobbiamo credere con fermezza e venerare con il più intimo ossequio del cuore, esclamando, stupiti avanti al mirabile mistero, con il Profeta: "Chi spiegherà la sua generazione?" (Is 53,8). Dobbiamo dunque ritenere che il Figlio possiede la medesima natura, potenza e sapienza del Padre, come confessiamo più apertamente nel Simbolo niceno: "In Gesù Cristo suo unico Figliolo, nato dal Padre prima di tutti i secoli; Dio da Dio, luce da luce, vero Dio da vero Dio; generato, non fatto, consustanziale al Padre; per mezzo di lui tutto è stato fatto".

29                Duplice natività e filiazione di Gesù Cristo

38 Tra le diverse similitudini presentate per adombrare la maniera e la natura della generazione eterna, la più felice è quella ricavata dalla genesi del pensiero umano. San Giovanni appunto chiama Verbo il Figlio di Dio. Infatti, come la nostra mente, intuendo in certo modo se stessa, foggia un'immagine di sé, che i teologi chiamano "verbo", così Dio (per quanto è dato paragonare con le realtà umane le divine), comprendendo sé, genera il Verbo eterno. Ma vai meglio arrestarsi a contemplare quel che la fede propone; cioè credere e professare che Gesù Cristo è insieme vero Dio e vero uomo; generato, come Dio, prima dell'alba dei secoli, dal Padre; come uomo, nato nel tempo da Maria, vergine e madre.

30                Gesù Cristo unica Persona e unico Figlio del Padre

39 Pur riconoscendo la sua duplice generazione, crediamo unico il Figlio, perché è un'unica persona, in cui convergono la natura divina e l'umana. Sotto l'aspetto della generazione divina non ha fratelli o coeredi, perché Figlio unico del Padre; mentre noi uomini siamo opera e formazione delle sue mani. Sotto l'aspetto invece dell'origine umana, egli non solo chiama molti con il nome di fratelli, ma anche li tratta come tali, affinché con lui raggiungano la gloria dell'eredità paterna. Son coloro che ricevettero con fede Gesù Cristo Signore e manifestano in pratica, con le opere di carità, la fede oralmente professata. In questo senso egli fu chiamato dall'Apostolo: "Primogenito fra una moltitudine di fratelli" (Rm 8,29).

31                Gesù Cristo è nostro Signore secondo le due nature

40 NOSTRO SIGNORE. Le Sacre Scritture attribuiscono al Salvatore molteplici qualità, di cui alcune chiaramente gli spettano come Dio, altre come uomo, avendo egli in sé, con la duplice natura, le proprietà rispettive. Rettamente dunque dicevamo che Gesù Cristo, per la sua natura divina, è onnipotente, eterno, immenso; mentre per la sua natura umana, diciamo che ha patito, è morto, è risorto. Ma, oltre questi, altri attributi convengono a entrambe le nature, come quando, in questo articolo, lo diciamo nostro Signore; a buon diritto del resto, potendosi riferire tale qualifica all'una e all'altra natura.
Infatti egli è Dio eterno come il Padre; così pure è Signore di tutte le cose quanto il Padre. E come egli e il Padre non sono due distinti dei, ma assolutamente lo stesso Dio, così non sono due Signori distinti. Ma anche come uomo, per molte ragioni è chiamato Signore nostro. Anzitutto perché fu nostro Redentore e ci liberò dai nostri peccati, giustamente ricevette la potestà di essere vero nostro Signore e meritarne il nome. Insegna infatti l'Apostolo: "Si umiliò, fattosi ubbidiente fino alla morte e morte di croce; perciò Dio lo ha esaltato, conferendogli un nome, che è sopra ogni altro, onde al nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi, in cielo, in terra, nell'inferno; e ogni lingua proclami che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre" (Fil 2,8-11 ). Egli stesso disse di sé dopo la risurrezione: "Mi è stato conferito ogni potere in cielo e sulla terra" (Mt 28,18). Inoltre è chiamato Signore per aver riunito in una sola Persona due nature, la divina e l'umana. Per questa mirabile unione meritò, anche senza morire per noi, d'essere costituito quale Signore, sovrano di tutte le creature in genere e specialmente dei fedeli che gli obbediscono e lo servono con intimo affetto.

32                Quanto il cristiano debba a Gesù Cristo

41 Infine il parroco esorterà il popolo fedele a riconoscere quanto sia giusto che noi, sopra tutti gli uomini - avendo tratto da lui il nome di cristiani e non potendo ignorare gli immensi benefici di cui ci ha ricolmato, anche perché la sua bontà ce li fece conoscere per fede - ci consacriamo per sempre come servi docili al Redentore e Signor nostro. Promettemmo di farlo quando l'iniziazione battesimale ci schiuse le porte della Chiesa. Dichiarammo allora di rinunciare a Satana e al mondo e di donarci tutti a Gesù Cristo. Se dunque per essere introdotti nella milizia cristiana ci consacrammo a nostro Signore con sì santa e solenne promessa, di qual supplizio non saremo meritevoli, se dopo aver passato la soglia della Chiesa, dopo aver conosciuto la volontà e la legge di Dio e aver usufruito della grazia dei sacramenti, vivessimo secondo le prescrizioni e le massime del mondo e del diavolo, quasi che nell'atto del battesimo, non a Cristo Signore e Redentore avessimo dato il nostro nome, ma al mondo e a Satana? Ma in quale anima non accenderà fuochi di amore la volontà di così grande Signore, tanto benigna e propizia verso di noi, che, pur avendoci in suo completo potere, quali servi riscattati con il suo sangue, ci circonda di così profondo amore che non ci chiama servi, ma amici e fratelli? (Gv 15,15). Questa, senza dubbio, è la causa più giusta, e forse la maggiore, per riconoscerlo, venerarlo, servirlo sempre come nostro Signore.

Articolo 3

33                IL QUALE FU CONCEPITO DI SPIRITO SANTO, NACQUE DA MARIA VERGINE


Significato dell'articolo
42 Da quanto è stato esposto nell'articolo precedente i fedeli possono comprendere quale prezioso e singolare beneficio Dio abbia accordato al genere umano, chiamandoci, dalla schiavitù di un tiranno crudelissimo, alla libertà. Se poi esamineremo il piano e i mezzi coi quali volle attuare ciò, vedremo come nulla ci sia di più insigne e meraviglioso della benevolenza e bontà divina verso di noi.
Fu CONCEPITO DI SPIRITO SANTO. Il parroco comincerà a mostrare, spiegando il terzo articolo, la grandezza di questo mistero, che le Sacre Scritture propongono spesso alla nostra meditazione, come il cardine fondamentale della nostra salvezza. Insegnerà che il suo significato è questo: noi dobbiamo credere e professare che lo stesso Gesù Cristo, unico Signor nostro, Figlio di Dio, assumendo per noi carne umana nel seno di una Vergine, fu concepito, non già da germe virile, come gli altri uomini, ma per virtù dello Spirito Santo, sopra ogni legge di natura (Mt 1,20; Le 1,35). Restando la stessa Persona divina che era dall'eternità, divenne uomo; ciò che prima non era. Che quelle parole si debbano intendere cosi, risulta nettamente dalla professione di fede del sacro Concilio di Costantinopoli, dove è detto: "Per noi uomini e per la nostra salvezza discese dal cielo; si incarnò nel seno di Maria Vergine per opera dello Spirito Santo e si fece uomo".
Il medesimo concetto spiegò san Giovanni Evangelista, che aveva attinto la conoscenza di questo sublime mistero sul petto del Salvatore. Esposta la natura del Verbo divino con le parole: "In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio" (Gv 1,1), conclude: "E il Verbo si fece carne e abitò fra noi" (ibid. 14). Il Verbo appunto, che è una delle ipostasi della natura divina, ha assunto la natura umana in modo che unica fosse l'ipostasi e la persona delle due nature: la divina e l'umana. Sicché la meravigliosa unione delle due nature conservò le azioni e proprietà dell'una e dell'altra e, secondo la frase del pontefice san Leone Magno, la sublimazione non annullò l'inferiore natura, come l'assunzione non degradò la superiore (Sermo 1, De Nativ. 2).

34                L'opera dell'incarnazione, comune a tutta la Trinità, è in modo speciale attribuita allo Spirito Santo

43 Non dovendosi però trascurare la delucidazione dei termini, il parroco insegnerà che se diciamo il Piglio di Dio, concepito per virtù dello Spirito Santo, non vogliamo asserire che il mistero dell'incarnazione fu compiuto unicamente da questa Persona della divina Trinità. Se il solo Figlio assunse natura umana, tuttavia tutte le tre divine Persone, Padre, Figlio e Spirito Santo, furono autrici del mistero. E infatti regola imprescindibile della fede cristiana che quanto Dio opera fuori di sé, nel creato, è comune alle tre Persone, delle quali nessuna fa qualcosa senza o più dell'altra.
Solamente questo non può essere comune a tutte: che una Persona proceda dall'altra. Il Figlio infatti è generato solamente dal Padre; lo Spirito Santo poi procede dal Padre e dal Figliolo. Fuori di ciò, le tre Persone compiono insieme, senza alcuna discrepanza, tutto ciò che deriva da esse fuori di loro e in questa classe di operazioni va collocata l'incarnazione del Figlio di Dio. Ciò nonostante tra le proprietà comuni a tutte e tre le divine Persone ve n'è di quelle che le Sacre Scritture sogliono attribuire all'una o all'altra delle Persone e cioè: il dominio di tutte le cose al Padre, la sapienza al Figlio, l'amore allo Spirito Santo. E poiché il mistero della divina incarnazione esprime l'immensa e mirabile benevolenza di Dio verso di noi, essa viene ascritta allo Spirito Santo in precipua maniera.

35                L'incarnazione di Cristo implica elementi naturali e altri soprannaturali

44 Va notato che questo mistero comprende fatti naturali e fatti soprannaturali. Riconosciamo anzitutto la natura umana, nel ritenere che il corpo di Gesù Cristo è stato formato dal purissimo sangue della Vergine Madre. E proprietà infatti dei corpi di tutti gli uomini l'essere formati dal sangue della madre loro. Ma oltrepassa ogni ordine di natura e ogni capacità di intelligenza umana il fatto che, non appena la beata Vergine, consentendo all'angelico annuncio, pronunciò le parole: "Ecco l'ancella del Signore, si faccia di me secondo quanto hai detto" (Lc 1,38), immediatamente il corpo santissimo di Gesù Cristo fu formato e a esso fu congiunta l'anima razionale, riuscendo nel medesimo istante perfetto Dio e perfetto uomo. Nessuno può mettere in dubbio che si tratti qui di un'originale e stupenda opera dello Spirito Santo; poiché nessun corpo può, secondo il corso normale della natura, essere avvivato da anima umana, prima del tempo prescritto.
Altra circostanza meravigliosa fu questa: non appena l'anima fu unita al corpo, anche la divinità si unì all'uno e all'altro. Perciò appena il corpo fu formato e animato, nel medesimo istante al corpo e all'anima fu congiunta la divinità.
Da ciò segue che il Salvatore fu nel medesimo istante perfetto Dio e perfetto uomo e che la Vergine santissima potè realmente e propriamente essere chiamata Madre di Dio e madre di un uomo, avendo concepito simultaneamente l'Uomo-Dio. L'angelo le aveva annunciato: "Ecco, concepirai nel seno e partorirai un figlio, cui porrai nome Gesù. Questi sarà grande e sarà chiamato Figlio dell'Altissimo" (Lc 1,31). Così veniva in realtà verificata la predizione di Isaia: "Una vergine concepirà e partorirà un figliolo" (Is 7,14). Il medesimo evento aveva adombrato Elisabetta quando, ricolma di Spirito Santo, conobbe il concepimento del Figlio di Dio ed esclamò: "Donde a me questo, che la Madre del Signor mio venga a me?" (Lc 1,43).

Nell'anima di Gesù Cristo fu la pienezza di tutte le grazie; ma Cristo non può esser detto per ciò figlio adottivo di Dio
45 Come il corpo di Gesù Cristo, secondo quanto abbiamo detto, fu formato con il sangue purissimo della più illibata tra le vergini, senza intervento alcuno di uomo, ma per sola virtù dello Spirito Santo, così, non appena fu concepito, ebbe l'anima inondata  dallo Spirito di Dio e dalla copia dei suoi carismi. Come attesta san Giovanni (Gv 3,34), Dio non conferì a lui lo spirito con parsimonia, come agli altri individui, adornati della santità e della grazia, ma infuse nell'anima sua cosi copioso flusso di carismi, che tutti dobbiamo attingervi (ibid. 1,16). Non ci è permesso però di chiamare Gesù Cristo figlio "adottivo" di Dio, sebbene abbia ricevuto quello spirito, in virtù del quale i santi conseguono l'adozione di figli di Dio. Essendo Figlio di Dio per natura, non possono in verun modo convenirgli ne il dono ne il titolo, impliciti nell'adozione.
Queste le delucidazioni che ci è sembrato opportuno presentare intorno al mirabile mistero del divino concepimento. Perché da esse discendano frutti salutari sopra di noi, i fedeli dovranno soprattutto tener presenti alla memoria e scolpiti nel cuore questi punti: che propriamente fu Dio ad assumere la nostra carne, facendosi uomo in una maniera che né la mente può comprendere, né l'umana parola spiegare; e che volle incarnarsi affinché noi uomini ritornassimo figli di Dio. Meditandoli con attenta cura, non tralascino mai di credere e di adorare, con cuore confidente, tutti i misteri racchiusi in questo articolo, astenendosi da ogni curiosa indagine o analisi, che non sarebbero senza grave pericolo.

36                Maria Vergine partorì Cristo

46.  NACQUE DA MARIA VERGINE. Ecco la seconda parte di questo articolo. Il parroco la spiegherà con particolare cura, dovendo i fedeli credere non solo che Gesù Cristo fu concepito per virtù dello Spirito Santo, ma che nacque da Maria Vergine, dalla quale fu dato alla luce. Quanta intima letizia scaturisca dalla contemplazione di questo mistero fu già indicato dalla voce angelica, che prima recò al mondo la felicissima novella: “Eccomi a recarvi l'annunzio di grande allegrezza per tutto il popolo" (Lc 2,10). Appare parimenti dal cantico della milizia celeste, intonato dagli angeli: "Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà" (ibid. 14). Così cominciava ad attuarsi la grandiosa promessa di Dio ad Abramo, che dovevano un giorno essere benedette, nel seme suo, tutte le nazioni (Gn 22,18). Infatti Maria, che noi proclamiamo e onoriamo vera Madre di Dio, avendo partorito chi era insieme Dio e uomo, discendeva dal re David.

37                Mirabile nascita di Gesù Cristo

47 Come il concepimento di Cristo supera ogni ordine di natura, nella sua natività parimenti nulla cogliamo che non sia divino. Nacque Gesù infatti dalla Madre (che cosa si sarebbe mai potuto immaginare di più miracoloso?) senza detrarre alcunché alla materna verginità. Come più tardi egli uscirà dalla tomba chiusa e sigillata e penetrerà nel luogo dove saranno radunati i discepoli, nonostante le porte serrate (Gv 20,19), o come i raggi del sole, per non uscire dall'ambito dell'esperienza naturale di ogni giorno, attraversano la compatta sostanza del vetro senza romperla o comunque lederla, in maniera molto più sublime Gesù Cristo uscì dal seno materno, senza la minima offesa alla dignità verginale della sua genitrice. Per questo ne celebriamo con lodi giustissime l'incorruttibile e perpetua verginità, privilegio attuato per virtù dello Spirito Santo, che assistè la Madre nel concepimento e nel parto, in modo da conferirle la fecondità, conservandole la permanente integrità verginale.

38                Paragone fra Gesù Cristo e Adamo, fra Maria ed Eva

48 L'Apostolo chiama ripetute volte Gesù Cristo nuovo Adamo (1 Cor 15,21.22) e lo paragona all'antico. In realtà se tutti gli uomini muoiono nel primo, tutti sono richiamati a vita nel secondo. E come Adamo è stato il padre del genere umano nell'ordine di natura, così Gesù Cristo è per tutti l'autore della grazia e della gloria (Rm 5,14). Parimenti si può stabilire un'analogia fra la Vergine Madre, seconda Eva, e la prima: analogia corrispondente a quella sopra illustrata fra il secondo Adamo, Cristo, e il primo.
Avendo creduto alle lusinghe del serpente (Gn 3,6), Eva attirò sul genere umano la maledizione e la morte; avendo Maria creduto all'annuncio dell'angelo, fece sì che la bontà di Dio ridonasse agli uomini benedizione e vita. A causa di Eva nasciamo figli della collera (Ef 2,3), ma da Maria ricevemmo Gesù Cristo, per merito del quale siamo rigenerati come figli della grazia. A Eva fu detto: "Partorirai figli nel dolore" (Gn 3,16); Maria fu esente dalla dura legge e, salva restando in lei l'integrità della verginale pudicizia, partorì Gesù Cristo figlio di Dio, senza alcun dolore, come sopra abbiamo detto.

39                Tipi e profezie dell'incarnazione del Signore

49 Essendo tanto numerose e insigni le meraviglie racchiuse nel concepimento e nella natività, fu opportuno che la divina Provvidenza ne preannunziasse l'avvento con molte immagini e predizioni. I santi Dottori hanno interpretato come pertinenti a questo mistero molti passi scritturali. Principalmente hanno inteso come figurativa la porta del santuario, che Ezechiele vide serrata (£% 44,2); la pietra che, secondo la visione di Daniele (Dn 2,34), si stacca, senza intervento umano, dalla montagna e, divenuta a sua volta un alto monte, riempie tutta la terra; la verga di Aronne che, unica tra le verghe dei capi di Israele, miracolosamente fiorisce (Nm 17,8); il roveto infine che Mosè vide ardere, senza consumarsi (Es 3,2). Del resto l'Evangelista narra minutamente la storia della natività di Gesù Cristo (Lc 2) e a noi non conviene insistervi, potendo il parroco leggerla direttamente.

40                L'incarnazione di Gesù Cristo mirabile esempio di umiltà

50 II parroco dovrà spiegare assiduo zelo, affinché tali misteri, registrati per nostra istruzione (Rm 15,4), aderiscano intimamente all'intelletto e al cuore dei fedeli. Anzitutto perché il ricordo di così segnalato beneficio li spinga a tributarne grazie all'autore Dio; in secondo luogo, perché dinanzi ai loro occhi sia stimolo alla imitazione un così meraviglioso esempio di umiltà. Riflettere spesso alla maniera in cui Dio volle umiliarsi per comunicare la propria gloria agli uomini, fino ad assumerne la fragile infermità; meditare la degnazione di un Dio che si fa uomo e pone a servizio dell'uomo quella sua infinita maestà, al cui cenno, secondo la parola biblica, tremano di sbigottimento le colonne del cielo (Gb 26,11); contemplare il mistero della nascita sulla terra di chi è nei cieli adorato dagli angeli, costituiscono senza dubbio l'esercizio più utile ai nostri spiriti, il più efficace per debellare la nostra superbia. Se Dio compì tutto ciò per noi, che cosa non dovremo far noi per obbedirgli? Con quanta prontezza e alacrità d'animo non dovremo noi prediligere e attuare tutti i doveri dell'umiltà!
Riflettano i fedeli di quanta salutare dottrina Cristo pargolo ci nutre, prima di articolare parola. Ecco: nasce povero; è respinto dall'albergo; nasce in una miserrima stalla a mezzo inverno. Scrive infatti san Luca: "E avvenne che, mentre ivi si trovavano, si compì per lei il tempo del parto e partorì il suo Figlio primogenito; lo fasciò e lo pose in una mangiatoia, perché non trovarono posto nell'albergo" (Lc 2,6.7). Avrebbe potuto l'Evangelista nascondere sotto parole più umili la maestà e la gloria che riempiono il cielo e la terra? Non dice genericamente che non v'era più posto nell'albergo; ma che non ve n'era per colui che può dire: "Mia è la terra con quanto contiene" (Sal 49,12). Tale testimonianza ha la conferma di un altro Evangelista: "Venne nella sua proprietà e i suoi non l'accolsero" (Gv 1,11).

41                L'incarnazione manifesta la dignità umana

51 Mentre mediteranno tutto ciò, i fedeli non dimenticheranno che Dio volle sottostare all'umile fragilità della nostra carne, affinché il genere umano fosse innalzato al più alto livello della dignità. Sufficientemente traspare la nobiltà insigne, conferita all'uomo per dono divino, dal fatto che fu uomo colui che era nel medesimo tempo vero e perfetto Dio. Noi possiamo ormai dire con orgoglio che il Figlio di Dio è ossa e carne nostra; cosa che non possono fare gli spiriti beati. Ha detto l'Apostolo: "Ha assunto la natura dei figli di Abramo, non la natura angelica" (Eb 2,16).

42                A Gesù Cristo dobbiamo preparare una dimora nei nostri cuori

52 Guardiamoci bene dal far sì che, per nostra disgrazia, come non trovò posto nell'albergo per nascere, così non ne trovi nei nostri cuori, quando viene per nascervi, non corporalmente, ma spiritualmente. Desidera egli, bramosissimo com'è della nostra salvezza, questa mistica natività. Perciò, come egli si fece uomo, nacque e fu santificato, anzi fu la santità stessa, per virtù dello Spirito Santo, in maniera soprannaturale, così occorre che noi nasciamo, non da sangue, ne da voler di carne, ne da voler di uomo, ma da Dio (Gv 1,13) e che dopo ciò procediamo nella vita come creature rinnovellate in novità di spirito (Rm 6,4.5; 7,6), custodendo gelosamente quella santità e integrità di mente che si addicono a individui rigenerati nello spirito di Dio. Così ritrarremo in noi stessi una qualche sembianza di quella concezione e natività del Figlio di Dio, in cui crediamo fermamente e che accogliamo e adoriamo come il mistero che racchiude il capolavoro della sapienza divina (1 Cor 2,7).

Articolo 4
PATÌ SOTTO PONZIO FILATO, FU CROCIFISSO, MORÌ E FU SEPOLTO

Significato dell'articolo
53 Protestando di non conoscere altro che Gesù Cristo e Gesù Cristo crocifisso (1 Cor 2,2), l'Apostolo mostra luminosamente quanto sia necessaria la conoscenza di questo articolo e quanta cura debba il parroco impiegare affinché i fedeli evochino spesso nel loro animo la passione del Signore. A tal fine debbono praticarsi gli sforzi più assidui, affinché i fedeli, stimolati dal ricordo costante di sì segnalato beneficio, si consacrino tutti al pensiero della bontà e dell'amor di Dio verso di noi. Con la prima parte di quest'articolo (della seconda parleremo più tardi) la fede ci impone di credere che Gesù Cristo fu infisso alla croce, mentre Ponzio Filato, in nome dell'imperatore Tiberio, governava la provincia della Giudea. Fu catturato, infatti, deriso, oppresso da ogni sorta d'insulti e di tormenti, per essere alla fine sollevato sulla croce.

43                L'anima di Gesù Cristo fu saturata di pene                    

54 PATÌ. Nessuno dovrà mettere in dubbio che la sua anima, nella parte inferiore, non fu insensibile agli spasimi. Avendo egli realmente assunta l'umana natura, è necessario riconoscere che la sua sensibilità fu suscettibile delle più atroci sofferenze. Noi lo sentiamo gemere: "L'anima mia è addolorata a morte" (Mt 26,38; Mc 14,34). In realtà, pur unita alla persona divina, la natura umana percepì tutta l'acerbità della passione, come se quella unione non avesse avuto luogo, poiché tutte le proprietà della natura umana e della divina si erano perfettamente conservate nella persona di Gesù Cristo. Quindi rimaneva in lui ogni elemento passibile e mortale e viceversa tutto ciò che vi era di impassibile e di immortale, come compete alla natura divina, manteneva le sue qualità peculiari.

44                Epoca della passione

55 SOTTO PONZIO FILATO. Il parroco mostrerà come la speciale cura con cui vediamo qui rilevato che la passione di Gesù Cristo accadde nel tempo in cui Ponzio Pilato governava la provincia della Giudea svela anzitutto il proposito di far sì che la conoscenza di un evento così grandioso e prezioso riuscisse per tutti più sicura, indicandone il momento preciso. Anche l'Apostolo Paolo usò la medesima precauzione (1 Tm 6,13). In secondo luogo mira a far constatare l'avveramento della profezia pronunziata dal Salvatore stesso: "Lo daranno in balia dei Gentili, per essere schernito, flagellato e crocifisso" (Mt 20,19).

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46                Perché Gesù Cristo patì il supplizio della croce

56 Fu CROCIFISSO. E ugualmente da attribuirsi a un divino proposito la preferenza data alla morte di croce e precisamente fu volere divino che la vita rifluisse su di noi proprio di dove era scaturita la morte. Il serpente, che mediante un albero aveva vinto i nostri progenitori, fu sconfitto da Gesù Cristo mediante l'albero della croce. I santi Padri hanno ampiamente svolto le ragioni molteplici che possono addursi per mostrare quanto fosse conveniente che, fra le varie forme di supplizio, il Redentore sostenesse quello della croce. I parroci però si limiteranno ad avvertire i fedeli che per essi è sufficiente credere che il Salvatore prescelse tale genere di morte come il più acconcio alla redenzione del genere umano, appunto perché, fra tutti, è più umiliante e ignominioso. Infatti non solamente il supplizio della croce fu sempre ritenuto dai pagani come abominevole e infamante, ma anche nella legge di Mosè è detto: "Maledetto colui che è confitto sul legno" (Dt 21,23; Gal 3,13).

47                Spesso si deve esporre al popolo la passione del Signore

57. Il parroco non tralascerà di narrare la storia contenuta in questo articolo, che i santi Evangelisti espongono con la massima diligenza, affinché i fedeli posseggano una chiara nozione di quei capisaldi del mistero, che più appaiono necessari per corroborare la verità della nostra fede. In verità tutta la religione e la fede cristiana poggiano, come su granitica base, su questo articolo, posto il quale, il resto si regge perfettamente. Tra le difficoltà in cui possono imbattersi l'intelligenza e la ragione umana, senza dubbio il mistero della croce appare come la più ardua di tutte. È appena concepibile che la nostra salvezza possa dipendere da una croce e da colui che vi fu confitto; ma è proprio qui che si ammira, secondo la frase dell'Apostolo, la suprema provvidenza di Dio: "Vedendo che il mondo con la scienza non lo aveva riconosciuto nelle opere della sua divina sapienza, piacque a Dio di salvare, mediante la follia della predicazione, coloro che avrebbero creduto" (1 Cor 1,21).
Nessuna meraviglia dunque se i Profeti prima dell'avvento di Gesù Cristo e gli Apostoli dopo la sua morte e risurrezione, si adoperarono così tenacemente a persuadere gli uomini che egli era il Redentore del mondo, inducendoli all'ossequio e all'obbedienza verso il Crocifisso. Appunto perché il mistero della croce costituisce il fatto più strano per l'umana ragione, il Signore non ha mai cessato, dopo il primo peccato, di annunziare la morte del proprio Figlio, mediante gli oracoli dei Profeti e gli episodi prefigurativi.
Ecco qualche breve evocazione delle figure: Abele soppresso dalla gelosia del fratello (Gn 4,8); il sacrificio di Isacco (Gn 22,6-8); l'agnello immolato dagli ebrei all'uscita dall'Egitto (Es 12,5-7); il serpente di bronzo innalzato da Mosè nel deserto (Nm 21,8.9). Tutto ciò raffigurava in anticipo la passione e la morte di Cristo (Gv 3,14). Circa poi le profezie, è troppo noto, perché occorra esporlo largamente qui, quanti pronunziarono vaticini sull'una e sull'altra. Senza parlare di David, i Salmi del quale abbracciano tutti i misteri fondamentali della nostra redenzione (Salì; 21; 68; 109), gli oracoli di Isaia (53) risultano così limpidi ed espliciti da potersi dire che raccontano eventi accaduti, anziché profetare gesta future (Girolamo, Epist. 53, Ad Paulinum).

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49                Gesù Cristo realmente morì; la divinità però rimase sempre congiunta al corpo e all'anima

58 MORTO. Il parroco spiegherà come per questa parola dobbiamo credere che Gesù Cristo, dopo crocifisso, morì realmente e fu sepolto. Non senza motivo tale fatto è proposto separatamente alla fede dei credenti, essendosi da taluni negata la sua morte in croce. I santi Apostoli ritennero necessario contrapporre a tale errore questa dottrina di fede, sulla cui verità nessun dubbio è più consentito, avendo concordemente tutti gli Evangelisti asserito che Gesù Cristo rese il suo spirito (Mt 27,50; Mc 15,37; Lc 23,46; Gv 19,30). Del resto, essendo vero e perfetto uomo, Gesù Cristo poteva veramente morire. La morte dell'uomo, infatti, non è altro che la separazione dell'anima dal corpo.
Riconoscendo che Gesù Cristo è morto vogliamo appunto dire che la sua anima si divise dal corpo. Non diciamo però che se ne separò anche la divinità, ma crediamo e riconosciamo fermamente che, separatasi l'anima dal corpo, la divinità rimase sempre unita al corpo nel sepolcro e all'anima discesa agli inferi. Era del resto opportuno che il Figlio di Dio morisse, per sconfiggere attraverso la morte il diavolo, signore della morte, e affrancare coloro che il timore della morte teneva per tutta la vita nei ceppi della schiavitù (Eb 2, 14.15).

50                La morte di Cristo fu volontaria

59 In Gesù Cristo si verificò questo di speciale: che morì quando volle morire e sostenne una morte non già provocata dalla violenza altrui, ma una morte volontaria, di cui aveva egli stesso fissato il luogo e il tempo. Aveva scritto infatti Isaia: "È stato sacrificato perché lo ha voluto" (Is 53,7). E il Signore stesso disse di sé prima della passione: "Io do la mia vita per riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie; ma io da me stesso la do e son padrone di darla e padrone di riprenderla" (Gv 10,17.18). Circa poi il tempo e il luogo, disse queste parole, mentre Erode tendeva insidie alla sua incolumità: "Andate a dire a quella volpe: ecco io scaccio i demoni e opero guarigioni oggi, domani e il terzo giorno sono al termine. Ma oggi, domani e il giorno seguente, bisogna che io cammini, perché non si ammette che un Profeta perisca fuori di Gerusalemme" (Lc 13,32.33). Egli nulla compì contro la sua volontà, per estraneo comando, ma si offrì volontariamente e andando incontro ai suoi nemici, esclamò: "Eccomi qua" (Gv 18,5), sopportando dopo ciò spontaneamente i crudeli e ingiusti tormenti, che quelli gli inflissero. Nella meditazione di tutte le sue pene amarissime ciò rappresenta senza dubbio il mezzo più potente per commuovere l'animo. Infatti, se uno sopportasse per causa nostra dolori, non già deliberatamente affrontati, ma inevitabili, potremmo scorgere in questo un mediocre beneficio. Ma se costui, semplicemente per amor nostro, soggiacesse con prontezza a una morte, cui poteva agevolmente sottrarsi, allora il beneficio ci parrebbe così grande, che nessuna gratitudine o riconoscenza sarebbe sufficiente. Donde è agevole argomentare l'infinita ed eccellente carità di Gesù Cristo, il suo merito sconfinato e divino presso di noi.

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52                La sepoltura di Cristo conferma della sua risurrezione

60 SEPOLTO. Confessando a parte che egli fu sepolto non dobbiamo credere che sia questa un'altra parte dell'articolo, con qualche speciale difficoltà, oltre quelle già analizzate a proposito della morte. Se crediamo che Gesù Cristo morì, non ci sarà difficile anche ritenere che fu sepolto. La parola è stata aggiunta per due ragioni: primo, per evitare ogni dubbio intorno alla sua morte, costituendo la prova della sepoltura il più evidente argomento della morte; in secondo luogo, perché riceva maggior luce e conferma il miracolo della risurrezione. Quella parola però non vuoi dire solamente che il corpo di Gesù Cristo fu sepolto. Principalmente con essa viene proposto di credere che Dio propriamente è stato sepolto, con la stessa validità con cui, in base alla formula della fede cattolica, diciamo con verità che Dio è morto e che è nato da una vergine. Infatti, mai essendosi la divinità separata dal corpo ed essendo stato questo chiuso nel sepolcro, è evidente che possiamo giustamente affermare che Dio è stato sepolto.
Intorno al genere e al luogo della sepoltura, il parroco potrà limitarsi a riferire quanto narrano gli Evangelisti (Mt 27,58-60; Mc 15,46; Le 23,53; Gv 19,38). Ma due circostanze dovranno essere poste in luce. Primo, che nel sepolcro il corpo di Gesù Cristo non fu affatto soggetto a corruzione, conforme al vaticinio del Profeta: "Non permetterai, o Signore, che il tuo Santo conosca corruzione" (Sal 15,10; At 2,31). Secondo, (e ciò riguarda tutte le parti dell'articolo) che la sepoltura, come la passione e la morte, vanno strettamente attribuite a Gesù Cristo quale uomo, non già quale Dio. Solo la natura umana infatti è suscettibile di patimenti e di morte; ma noi riferiamo tutto ciò anche a Dio, solo perché possiamo affermarlo di una Persona che era, nel medesimo tempo, perfetto Dio e perfetto uomo.

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54                Come va meditato il beneficio della passione

61 Quindi il parroco esporrà, intorno alla passione e alla morte di Gesù Cristo, quelle considerazioni che rendono possibile ai fedeli, se non la comprensione, per lo meno la contemplazione di così sublime mistero. Faccia considerare anzitutto chi sia colui che ha sofferto. Non ci è dato intenderne o spiegarne a parole la dignità. San Giovanni dice che è il Verbo, il quale è in Dio (Gv 1,1). L'Apostolo ne fa una descrizione magnifica: "è colui che Dio costituì erede dell'universo; per suo mezzo diede origine ai secoli; è fulgore della gloria e impronta della sostanza del Padre. Egli sorregge l'universo con la forza della sua parola. Dopo averci purificato dai nostri peccati, siede alla destra della maestà suprema, nel più alto dei cieli" (Eb 1,2.3). In una parola, chi soffre è Gesù Cristo, Dio e uomo; soffre il creatore, per quelli stessi ch'egli chiamò all'esistenza; soffre il padrone, per gli schiavi; soffre colui, per virtù del quale furon suscitati dal nulla gli angeli, gli uomini, i cieli, gli elementi tutti; colui, insomma, nel quale, per il quale e dal quale sono tutte le cose (Rm 11,36). Nessuna meraviglia quindi se nell'istante in cui gli spasimi della passione lo stringevano, tutto l'edificio del creato fu scosso nelle sue basi. Narra appunto il Vangelo: "La terra tremò e le pietre si spezzarono; le tenebre si diffusero su tutta la terra e il sole si oscurò" (Mt 27,51; Lc 23,44). Se le creature inanimate e insensibili piansero la passione del Creatore, pensino i fedeli con quali lacrime essi, pietre vive dell'edificio santo di Dio (1 Pt 2,5), debbano esprimere il loro cordoglio.

55                I peccati degli uomini causa della passione

62 Si devono anche esporre le cause della passione, onde meglio traspariscano l'intensità e la profondità dell'amore di Dio verso di noi. Chi indaghi la ragione per la quale il Figlio di Dio affrontò la più acerba delle passioni, troverà che, oltre la colpa ereditaria dei progenitori, essa deve riscontrarsi principalmente nei peccati commessi dagli uomini dall'origine del mondo sino a oggi e negli altri che saranno commessi fino alla fine del mondo. Soffrendo e morendo il Figlio di Dio nostro salvatore mirò appunto a redimere e annullare le colpe di tutte le età, dando al Padre soddisfazione cumulativa e copiosa. Per meglio valutarne l'importanza, si rifletta che non solamente Gesù Cristo soffrì per i peccatori, ma che in realtà i peccatori furono cagione e ministri di tutte le pene subite. Scrivendo agli Ebrei l'Apostolo ci ammonisce precisamente: "Pensate a colui che tollerò tanta ostilità dai peccatori e l'animo vostro non si abbatterà nello scoraggiamento" (Eb 12,3).
Più strettamente sono avvinti da questa colpa coloro che più di frequente cadono in peccato. Perché se i nostri peccati trassero Gesù Cristo nostro Signore al supplizio della croce, coloro che si tuffano più ignominiosamente nell'iniquità, di nuovo, per quanto è da loro, crocifiggono in sé il Figlio di Dio e lo disprezzano (ibid. 6,6), delitto ben più grave in noi che negli Ebrei. Questi, secondo la testimonianza dell'Apostolo, se avessero conosciuto il Re della gloria, non l'avrebbero giammai crocifisso (1 Cor 2,8), mentre noi, pur facendo professione di conoscerlo, lo rinneghiamo con i fatti e quasi sembriamo alzar le mani violente contro di lui.
La Sacra Scrittura attesta però che Gesù Cristo, oltre che volontariamente, fu preda della morte per volontà del Padre. Ecco come si esprime Isaia: "L'ho colpito a causa dei delitti del mio popolo" (Is ,53,8). Poco prima il medesimo Profeta, saturo dello spirito di Dio, contemplando il Signore coperto di piaghe, aveva gridato: "Ci siamo tutti sperduti come pecore; ciascuno ha seguito la sua via e il Signore ha fatto piombare su di lui le nostre iniquità" (Is 53,6). Parlando poi del Figlio, disse: "Se darà la vita sua per il peccato, scorgerà una lunga progenie" (ibid. 10). Il medesimo concetto è espresso, con parole anche più energiche, dall'Apostolo, il quale mira a mostrarci quante ragioni abbiamo per riporre forte speranza nell'infinita misericordia di Dio. "Colui" egli dice "che non risparmiò il proprio Figlio, ma lo diede per il bene di tutti noi, non ci donò forse con esso ogni altra cosa?" (Rm 8,32).

56                Asprezza della passione nel corpo e nell'anima

63 A questo punto il parroco mostrerà quanto crudele sia stata l'acerbità della passione. Se rievochiamo alla memoria la circostanza che il sudore del Signore, alla previsione dei tormenti e degli spasimi che dopo poco doveva subire, fu sudore di sangue che cadeva fino in terra (Lc 22,44), facilmente scopriremo che nulla sarebbe stato possibile aggiungere di terribile ai suoi dolori. Il sudore sanguigno mostra l'amarezza ineffabile suscitata dal pensiero dei tormenti imminenti; che cosa dunque diremo della loro diretta esperienza? E questi dolori sofferti da Gesù Cristo ne colpirono sia il corpo sia l'anima.
Nessuna parte del suo corpo fu immune da sofferenze atroci: i piedi e le mani trapassate dai chiodi; il capo recinto di spine e percosso a colpi di canna; il volto insozzato di sputi, malmenato con schiaffi; tutto il corpo battuto con i flagelli. Uomini di ogni stirpe e di ogni classe si accordarono nell'infierire contro il Signore e il suo Cristo (Sal 2,2). Pagani ed Ebrei furono solidalmente istigatori, autori e strumenti della passione. Giuda lo tradì, Pietro lo rinnegò, tutti lo abbandonarono (Mt 26, 27; Mc 14, 15; Lc 22, 23; Gv 13-19).
Che cosa poi rileveremo nella crocifissione? Il patimento o la vergogna, o non piuttosto l'uno e l'altra? In realtà non sarebbe stato possibile escogitare genere di morte più obbrobrioso e doloroso di quello, al quale erano di solito destinati i più scellerati e pericolosi fra gli uomini e durante il quale la lentezza del supplizio rendeva più cocente lo spasimo. Del resto la stessa costituzione fisica di Gesù Cristo rendeva più atroce la sofferenza. Il suo corpo infatti, formato per virtù dello Spirito Santo, era dotato di maggior sensibilità e delicatezza del corpo degli uomini normali; quindi in esso erano più affinate le capacità sensibili. Fu perciò per esso più doloroso affrontare tanti tormenti.
D'altra parte nessuno potrà revocare in dubbio che anche il dolore dell'animo arrivò all'estremo in Gesù Cristo. I santi che affrontarono supplizi e tormenti non mancarono di un certo conforto spirituale, divinamente concesso, sostenuti dal quale poterono con energia serena tollerare l'aculeo del martirio. Anzi accadde che molti, pur fra indicibili spasimi, sembravano soffusi di una vera letizia interiore. L'Apostolo, per esempio, esclamava: "Godo nei mali che soffro per voi e compio nel mio corpo quanto manca alle sofferenze di Gesù Cristo, soffrendo io stesso per il corpo suo, la Chiesa" (Col 1,24). E altrove: "Sono colmo di gioia, sovrabbondo di letizia in ogni nostra tribolazione" (2 Cor 7,4). Gesù Cristo nostro Signore invece bevve un calice di passione amarissima, che nessuna stilla di soavità aveva temperato; al contrario permise alla natura umana, da lui assunta, di sentire tutti i tormenti, quasi fosse solamente uomo e non Dio.

57                I frutti della passione

64 Infine il parroco spiegherà con diligenza i vantaggi e i benefici scaturiti per noi dalla passione del Signore. Anzitutto dalla passione del Signore seguì la nostra liberazione dal peccato. Dice san Giovanni: "Egli ci ha amato e ci ha mondato dalle nostre colpe con il suo sangue" (Ap 1,5). E l'Apostolo dal canto suo afferma: "Ci ha fatto rivivere, perdonandoci tutti i peccati, cancellando la sentenza di pena emanata contro di noi, ch'egli soppresse, affiggendola alla croce" (Col 2,13.14). In secondo luogo ci ha strappati alla schiavitù del demonio. Lo stesso Signore ha detto infatti: "Adesso si fa giudizio di questo mondo; adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuori e io, quando sarò innalzato da terra, trarrò tutto a me" (Gv 12,31.32). In terzo luogo pagò il debito contratto per i nostri peccati. Inoltre, non essendo possibile offrire a Dio sacrificio più accetto e gradito, Gesù Cristo ci ha riconciliati con il Padre, rendendolo verso di noi propizio e placato. Infine, avendo scontato la pena del peccato, ci dischiuse l'ingresso dei cieli, che la colpa comune a tutto il genere umano aveva serrato. Il che fu espresso dall'Apostolo, con le parole: "Nutriamo fiducia di essere ammessi nel santuario, in virtù del sangue di Gesù Cristo" (Eb 10,19).
Non mancano nel Vecchio Testamento simboli raffiguranti questo mistero. Coloro ai quali era vietato di rientrare in patria prima della morte del sommo sacerdote (Nm 35,25) stavano a significare che nessuno poteva entrare nella patria celeste, per quanto giusta e pia la sua vita, prima che il sommo ed eterno sacerdote Gesù Cristo subisse la morte. Dopo questa, immediatamente i battenti del paradiso si spalancarono per coloro che, purificati attraverso i sacramenti, ricchi di fede, di speranza e di carità, partecipano ai frutti della sua passione.

58                La Passione del Signore, sacrificio sommamente accetto

65 II parroco mostrerà come tutti questi magnifici doni divini ci vennero dalla passione: anzitutto perché si tratta di una soddisfazione integrale e perfetta sotto ogni punto di vista, che Gesù Cristo offrì a Dio Padre per i nostri peccati in una maniera mirabile. Anzi il prezzo da lui pagato in vece nostra, non solo pareggiò, ma oltrepassò i nostri debiti. Il sacrificio inoltre fu sommamente accetto a Dio: appena offerto dal Figlio sull'altare della croce, l'ira e l'indignazione del Padre furono placate. Tali concetti esprime l'Apostolo, quando dice: "Cristo ci amò e si offrì per noi quale vittima e oblazione di soave profumo a Dio" (Ef 5,2). A tale redenzione si riferiscono le parole del principe degli Apostoli: "Non siete stati redenti con oro e argento corruttibili dalla fatuità delle vostre consuetudini paterne e tradizionali, ma con il sangue prezioso di Gesù Cristo, agnello candido e incontaminato" (? Pt 1,18.19) e san Paolo insegna: "Cristo ci ha liberato dalla maledizione della legge, diventando lui maledizione per noi" (Gal 3,13).

59                La Passione del Signore è il modello di ogni virtù

66 Con questi immensi benefici, un altro ne abbiamo raggiunto: fissando lo sguardo nella sola passione, noi scorgiamo esempi mirabili di tutte le virtù. Essa infatti insegna la pazienza, l'umiltà, l'esimia carità, la mansuetudine, l'obbedienza, la più tenace costanza d'animo, non solamente nel sostenere i più forti dolori per la giustizia, ma anche nell'affrontare impavidamente la morte. Si può dire quindi, senza esagerare, che il nostro Salvatore, nel solo giorno della passione, riassunse in sé tutti quei precetti di vita, che aveva inculcato durante il periodo della sua predicazione.
Quanto abbiamo detto, brevemente, riguarda la salutifera passione di Gesù Cristo nostro Signore. Che dunque i misteri contemplati siano assiduamente presenti alle anime nostre e che noi apprendiamo cosi a soffrire, a morire, a essere sepolti con il Signore! Così, eliminata ogni bruttura di peccato, risorgendo con lui a nuova vita, possiamo un giorno, con la pietosa sua grazia, essere fatti degni di partecipare al regno e alla gloria dei cieli.

Articolo 5
DISCESE ALL'INFERNO, IL TERZO GIORNO RISUSCITÒ DA MORTE

Significato dell'articolo
67 Interessa senza dubbio moltissimo conoscere la gloria della sepoltura di Gesù Cristo nostro Signore di cui abbiamo poco fa parlato. Ma deve interessare anche di più i fedeli il conoscere i trionfi strepitosi che egli riportò sul demonio debellato e l'inferno spogliato. Di ciò, appunto, e insieme della risurrezione, dobbiamo ora parlare. Avremmo potuto benissimo trattare separatamente i due argomenti, ma seguendo l'autorità dei santi Padri, riteniamo conveniente unire nella medesima esposizione la discesa all'inferno e la risurrezione.

60                Che cosa voglia dire, genericamente, "inferno"

68 DISCESE ALL'INFERNO. Nella prima parte dell'articolo ci viene proposto di credere che, dopo la morte di Gesù Cristo, la sua anima discese all'inferno e vi rimase finché il corpo restò nel sepolcro. Con queste parole riconosciamo che, in quel tempo, la medesima persona di Gesù Cristo fu nell'inferno e giacque nel sepolcro, il che non deve sorprendere. Infatti, come spesso abbiamo ripetuto, sebbene l'anima fosse uscita dal corpo, tuttavia la divinità non si separò mai né dall'anima, né dal corpo.
II parroco getterà molta luce sul senso dell'articolo, spiegando subito che cosa si debba intendere qui con il termine "inferno". Ammonirà anzitutto che esso non sta a significare il "sepolcro", come alcuni, non meno empiamente che ignorantemente, interpretarono. Abbiamo infatti appreso già dall'articolo precedente che Gesù Cristo nostro Signore fu sepolto; ne v'era motivo perché gli Apostoli, nel redigere la regola della fede, ripetessero il medesimo concetto, con formula più oscura. Qui il vocabolo in questione vuole significare quelle nascoste sedi, in cui stanno le anime di coloro che non hanno conseguito la beatitudine celeste. La Sacra Scrittura offre molteplici esempi di questo uso. In san Paolo leggiamo: "In nome di Gesù, ogni ginocchio si curvi, in cielo, in terra, nell'inferno" (Fil 2,10). Negli Atti degli Apostoli san Pietro assicura che Gesù Cristo nostro Signore risuscitò, dopo aver superato i dolori dell'inferno (At 2,24).

61                Che cosa voglia dire specificamente

69 Tali sedi non son tutte del medesimo genere. Una è quella prigione tenebrosa e orribile, nella quale le anime dei dannati giacciono in un fuoco perpetuo e inestinguibile, insieme agli spiriti immondi. In questo significato abbiamo i termini equivalenti di Geenna, abisso, inferno propriamente detto. In secondo luogo c'è la sede del fuoco purgante, soffrendo nel quale, per un determinato tempo, le anime dei giusti subiscono l'espiazione, onde possano salire alla patria eterna, chiusa a ogni ombra di colpa. Anzi, sulla verità di questa dottrina, che i santi concili proclamano contenuta nella Scrittura come nella Tradizione apostolica, il parroco insisterà con rinnovata diligenza, poiché viviamo in tempi nei quali la sana dottrina non trova agevole accesso presso gli uomini. Infine una terza sede è quella in cui le anime dei santi furono ospitate prima della venuta di Gesù Cristo nostro Signore. Esse vi dimorarono quietamente, immuni da ogni pena, alimentate dalla beatifica speranza della redenzione.

62                Reale discesa dell'anima di Gesù Cristo nell'inferno

70 Gesù Cristo scendendo nell'inferno liberò appunto le anime di questi giusti, aspettanti il Salvatore nel seno di Abramo. Ne dobbiamo credere che vi sia disceso in modo da farvi pervenire soltanto la sua virtù e la sua potenza, ma non la sua anima. Dobbiamo invece ritenere con tutta fermezza che la sua anima discese realmente e con la sua presenza nell'inferno. Abbiamo in proposito l'esplicita testimonianza di David: "Non lascerai l'anima mia nell'inferno" (Sal 15,10).
La discesa di Gesù Cristo all'inferno nulla detrasse all'infinita sua potenza, né gettò alcun'ombra offuscatrice sullo splendore della sua santità. Al contrario fu cosi solennemente confermato quanto era stato dichiarato circa la sua santità e la sua figliolanza da Dio, già manifestata da tanti miracoli. Ce ne persuaderemo senza indugio, se riflettiamo alle ben diverse ragioni, per le quali scesero in quella sede Gesù Cristo e gli altri. Tutti vi erano penetrati prigionieri; egli invece, libero e vincitore fra morti, vi entrò per debellare i demoni, dai quali essi erano tenuti prigionieri a causa della colpa originale. Inoltre, di tutti gli altri che erano discesi nell'inferno, una parte era stretta dalle più opprimenti pene; un'altra parte, pur libera da dolori sensibili, era amareggiata dalla privazione della visione di Dio e dall'aspettativa ansiosa della sperata beatitudine. Cristo signore invece vi discese non per soffrire, bensì per liberare i giusti dalla molestia dell'ingrata prigione e conferir loro il frutto della propria passione. Nella sua discesa dunque non si riscontra nessuna diminuzione dell'infinita sua dignità e potenza.

63                Cristo discendendo nel limbo liberò le anime dei santi

71 Poi si dovrà insegnare come Gesù Cristo nostro Signore è disceso nel limbo, per condurre seco in cielo i santi Padri e tutti gli altri uomini pii, liberandoli dal carcere, dopo aver strappato al demonio la sua preda; il che fu da lui compiuto in maniera ammirabile e con gloria grande. Il suo aspetto sfolgorò su quei prigionieri una luce chiarissima e riempì le loro anime di letizia immensa e di gaudio; anzi elargì a esse ancora la più desiderabile delle beatitudini che consiste nella visione di Dio. Così fu compiuta la promessa fatta al buon ladrone: "Oggi sarai con me in paradiso" (Lc 23,43). Questa liberazione dei buoni era stata molto tempo innanzi predetta da Osea con queste parole: "O morte, io sarò la tua morte; o inferno, io sarò la tua distruzione" (Os 13,14); e dal Profeta Zaccaria: "Per te, a causa del sangue del tuo patto, io ritirerò i tuoi prigionieri dalla fossa senz'acqua" (Zc 9,11); nonché dal passo dell'Apostolo: "Egli ha spogliato i principati e le potestà, offrendoli a spettacolo e trionfando di loro" (Col 2,15).
Per meglio intendere il valore di questo mistero, dobbiamo sovente ricordare che per beneficio della passione di Cristo han ricevuto la salvezza non solo gli uomini pii, nati dopo l'avvento del Signore, ma anche quelli che lo avevan preceduto da Adamo in poi e che saranno per nascere fino alla fine del mondo. Perciò avanti che egli morisse e risorgesse da morte, le porte dei cieli non si aprirono mai per alcuno, ma le anime dei buoni, uscite di questa vita, erano portate nel seno di Abramo o venivano purificare nel fuoco del purgatorio, come avviene anche ora a quelli che han qualcosa da lavare o da scontare.
V’è infine un'altra causa della discesa di Cristo signore negli inferi, ed è la manifestazione della sua forza e potenza anche in quel luogo, com'era stato nel cielo e sulla terra, affinché si avverasse che al suo nome ogni ginocchio si piega in cielo, in terra e negli inferi (Fil 2,10). Chi non ammirerà a questo punto l'immensa benignità di Dio verso il genere umano? Chi non sarà preso dallo stupore, considerando che egli, non soltanto ha voluto subire per noi un'acerbissima morte, ma è ancor voluto scendere nei penetrali della terra, per toglierne le anime, a lui tanto care, e portarle seco alla beatitudine?

64                Il glorioso mistero della risurrezione di Cristo

72 RISUSCITÒ. Segue la seconda parte dell'articolo, a spiegar la quale con la maggiore premura sono d'incitamento al parroco queste parole dell'Apostolo: "Ricordati che il Signore nostro Gesù Cristo è risorto dai morti" (2 Tm 2,8). E fuor di dubbio che il precetto dato a Timoteo vale anche per tutti gli altri che hanno cura di anime. Il significato dell'articolo è questo: Cristo nostro Signore spirò sulla croce all'ora nona del venerdì e fu sepolto in quel medesimo giorno dai discepoli, i quali, con il permesso del procuratore Pilato, chiusero il corpo del Signore, deposto dalla croce, entro un sepolcro nuovo, situato in un attiguo giardino. Ma il terzo giorno dalla morte, che divenne il giorno del Signore, al primo chiarore dell'alba, l'anima di lui si congiunse di nuovo con il corpo; e così egli, che era rimasto per tre giorni nella morte, ritornò alla vita, abbandonata morendo, e risorse.

65                Cristo è risorto per virtù propria

73. Con la parola "risurrezione" tuttavia non si deve intendere soltanto che Cristo risuscitò da morte, come avvenne a molti altri, ma che risorse per sua forza e virtù; cosa che fu esclusiva di lui. La natura infatti non tollera, ne è stato mai concesso ad alcuno, di rievocare se stesso da morte a vita per propria virtù. Ciò era riservato all'infinita potenza di Dio, secondo la parola dell'Apostolo: "Se egli è stato crocifisso a causa della sua debolezza [umana], vive però per virtù di Dio" (2 Cor 13,4). La quale divina virtù non essendo stata mai separata né dal corpo di Cristo nel sepolcro, né dall'anima durante la discesa negli inferi, rimaneva sempre presente, sia nel corpo, per potersi ricongiungere all'anima, sia nell'anima, per poter ritornare nel corpo. Cosi potè ritornare a vita per propria virtù e risorgere dai morti.
David, pieno dello spirito di Dio, lo aveva predetto con queste parole: "La sua destra e il suo braccio gli hanno dato vittoria" (Sal 97,1); e lo stesso Cristo nostro Signore lo confermò con la divina testimonianza della sua parola: "Io do la mia vita per riprenderla di nuovo; son padrone di darla e padrone di riprenderla" (Gv 10,17). Disse inoltre ai Giudei, per confermare la verità della sua dottrina: "Disfate questo tempio e in tre giorni lo rimetterò in piedi" (ibid. 2,19). Queste parole, sebbene i Giudei le intendessero del magnifico tempio costruito di pietra, egli le riferiva al tempio del suo corpo, com'è spiegato, a questo punto, dalle parole della Sacra Scrittura. E se talora leggiamo nella Scrittura che Cristo nostro Signore fu risuscitato dal Padre (Rm 8,11), questo si deve riferire a lui in quanto uomo, appunto come si riferiscono a lui, in quanto Dio, le altre che dicono essere egli risorto per sua propria virtù.

66                Cristo primogenito dei morti

74 Un'altra cosa fu peculiare di Cristo: egli primo di tutti fruì di questo divino beneficio della risurrezione. Infatti nella Scrittura è chiamato il primo a rinascere fra i morti (Col 1,18), e primogenito dei morti (Ap 1,5). E, com'è detto dall'Apostolo: "Cristo è risuscitato da morte, primizia dei dormienti; poiché da un uomo venne la morte e da un uomo la risurrezione da morte; come in Adamo tutti muoiono, così tutti in Cristo saranno vivificati. Ciascuno però a suo luogo: Cristo è la primizia; poi quelli che sono di Cristo" (1 Cor 15,20ss).
Queste parole devono intendersi della risurrezione perfetta, per la quale, soppressa ogni necessità di morte, passeremo alla vita immortale. Ora in questo genere di risurrezione Gesù Cristo ha il primo luogo. Poiché se consideriamo quella risurrezione o ritorno alla vita, a cui sia congiunta la necessità di una seconda morte, allora prima di Cristo molti altri sono stati risuscitati da morte, a condizione però di morire un'altra volta. Invece Gesù Cristo dopo aver vinta e sottomessa la morte, è risorto in guisa da non poter più morire, com'è apertamente confermato dal passo: "Cristo risuscitato da morte non muore più; la morte più non lo dominerà" (Rm 6,9).

67                Perché Cristo è risorto il terzo giorno

75 IL TERZO GIORNO. Il parroco dovrà spiegare la frase, affinché i fedeli non credano che il Signore sia rimasto nel sepolcro tutti interi i tre giorni. Egli vi è stato un intero giorno naturale, più una parte del giorno antecedente e di quello seguente. Ciò basta perché si possa dire con verità ch'egli è stato tre giorni nel sepolcro e che al terzo giorno è risorto. Per mostrare chiaramente la sua divinità non volle differire la resurrezione alla fine del mondo; d'altro lato, perché lo si credesse vero uomo e realmente morto, volle rivivere non subito dopo la morte, ma dopo tre giorni, tempo sufficiente a provarne la vera morte.

68                Perché nel Simbolo costantinopolitano fu aggiunto "secondo le Scritture"

76 I Padri del primo Concilio di Costantinopoli aggiunsero a questo punto: secondo le Scritture. La frase, desunta dall'Apostolo, fu da loro trasportata nel Simbolo, perché l'Apostolo stesso ha insegnato che il mistero della risurrezione è sommamente necessario, con queste parole: "Se poi Cristo non è risuscitato, vana è dunque la nostra predicazione, vana è ancora la vostra fede; che se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede, poiché sareste tuttora nei vostri peccati" (1 Cor 15,14-17). Sant'Agostino, ammirando la fede di questo articolo, scrisse: "Non è grande cosa credere che Cristo è morto: pagani, Giudei e tutti i malvagi lo credono: tutti credono che sia morto. Ma la fede dei cristiani sta nella risurrezione di Cristo; questo per noi è cosa grande: credere che egli sia risorto" (In Psalmos, 120, 6). Per questo ancora il Signore ha parlato assai di frequente della sua risurrezione e quasi mai ha discorso con i discepoli della passione, senza menzionare la risurrezione. Così dopo aver detto: "II Figlio dell'uomo sarà dato nelle mani dei Gentili, sarà schernito, flagellato e gli sarà sputato in faccia, e dopo flagellato lo uccideranno", aggiunse in fine: "E il terzo giorno risorgerà" (Lc 18,32). Avendogli i Giudei chiesto di provare con qualche prodigio e miracolo la sua dottrina, rispose che nessun altro segno sarebbe stato loro dato, se non quello del Profeta Giona (Lc 11,29; Mt 12,38s): "Come Giona rimase nel ventre del cetaceo tre giorni e tre notti,  così sarebbe stato il Figlio dell'uomo, per tre giorni e tre notti, nel seno della terra".

69                Necessità e scopo della risurrezione di Gesù Cristo

70                77 Per meglio comprendere il valore e il significato dell'articolo, tre cose si devono ricercare e conoscere. Primo: perché fu necessaria la risurrezione di Cristo; secondo: quale sia il fine o scopo della medesima; terzo: quali utilità e quali benefici ne siano derivati per noi.

Quanto al primo punto, la risurrezione di Cristo fu necessaria per mostrare la giustizia di Dio. Era infatti sommamente opportuno che Dio esaltasse colui che, per obbedirgli, era stato umiliato e coperto di ogni ignominia. L'Apostolo addusse questa ragione scrivendo ai Filippesi: "Umiliò se stesso, fattosi ubbidiente fino alla morte e morte di croce. Per la qual cosa Dio lo esaltò" (Fil 2,8.9). Secondo, per confermare la fede nostra, senza la quale non può sussistere la giustificazione dell'uomo; ora l'argomento maggiore che Cristo è figlio di Dio sta nel fatto che egli sia risuscitato dai morti per sua virtù. Terzo, per alimentare e sorreggere la nostra speranza, poiché, essendo Cristo risorto, nutriamo certa speranza di risorgere anche noi; le membra infatti devono seguire le sorti del capo. Appunto in questo senso l'Apostolo conclude la sua argomentazione, scrivendo a quei di Corinto e di Tessalonica (1 Cor 15,12; 1 Ts 4,13). Anche Pietro, principe degli Apostoli, ha scritto: "Benedetto Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, il quale per la sua grande misericordia ci ha rigenerati a una viva speranza, mediante la risurrezione di Cristo da morte, e a una eredità incorruttibile" (1 Pt 1,3.4).
Da ultimo bisogna insegnare che la risurrezione del Signore fu necessaria per compire il mistero della redenzione, in quanto Cristo morendo ci ha liberato dai peccati e risorgendo ci ha restituito quei preziosi beni che avevamo perduto con la colpa. Perciò l'Apostolo ha scritto: "Cristo fu dato a morte per i nostri peccati e risuscitò per nostra giustificazione" (Rm 4,25). Affinché, dunque, nulla mancasse alla salvezza del genere umano, fu necessario che Cristo risorgesse, come era stato necessario che morisse.

71                Utilità della risurrezione di Gesù Cristo

78 Da quanto abbiamo detto possiamo rilevare l'utilità grande che la risurrezione di Cristo nostro Signore ha recata ai fedeli. Anzitutto, per essa riconosciamo che Dio è immortale, pieno di gloria, vincitore della morte e del demonio; titoli che senza dubbio dobbiamo credere e confessare di Gesù Cristo. Di più, la risurrezione di Cristo produce anche la risurrezione del nostro corpo, sia perché è stata la causa efficiente di questo mistero, sia perché noi tutti dobbiamo risorgere secondo l'esempio del Signore, come attesta l'Apostolo, circa la risurrezione dei corpi: "Da un uomo venne la morte e da un uomo la risurrezione da morte" (1 Cor 15,21). Infatti, in tutto il mistero della nostra redenzione, Dio si è servito dell'umanità di Cristo come di efficace strumento: quindi la sua risurrezione fu come uno strumento per operare la nostra. Inoltre la risurrezione di Cristo si può considerare quale modello, essendo la più perfetta di tutte.
Come il corpo di Cristo risorgendo a gloria immortale s'è trasformato, così anche i nostri corpi, già deboli e mortali, si rileveranno adorni di gloria e d'immortalità. Insegna l'Apostolo che noi aspettiamo come salvatore il nostro Signore Gesù Cristo, il quale trasformerà il nostro povero corpo per farlo conforme al corpo della sua gloria (Fil 3.20.21).
Questo si può dire anche dell'anima, morta nel peccato, mostrandoci l'Apostolo medesimo in qual senso la risurrezione di Cristo può servirle da esemplare: "Come Cristo risuscitò da morte per gloria del Padre, così noi viviamo di nuova vita. Poiché se siamo come innestati alla somiglianza della sua morte, lo saremo anche a quella della risurrezione" (Rm 6,4.5); e poco dopo aggiunge: "Sapendo noi che Cristo, risuscitato da morte, non muore più, la morte più non lo dominerà. Poiché quanto all'esser lui morto, morì per il peccato una volta; quanto poi al vivere, egli vive per Dio. Nella stessa guisa anche voi fate conto di esser morti al peccato e vivi per Dio, in Cristo Gesù" (ibid. 9-11).

72                Esempi che si ricavano dalla risurrezione di Cristo

79 Due pertanto sono gli esempi da imitare nella risurrezione di Cristo. L'uno è che, lavate le macchie del peccato, iniziamo un nuovo genere di vita, in cui rifulgano l'integrità dei costumi, l'innocenza, la santità, la modestia, la giustizia, la beneficenza, l'umiltà. L'altro si è il perseverare in questo nuovo genere di vita in modo tale da non uscir mai più, con l'aiuto di Dio, fuori della via di giustizia, nella quale siamo entrati. Giacché le parole dell'Apostolo non significano soltanto che la risurrezione di Cristo è un esempio della nostra, ma dichiarano pure che essa ci offre anche la capacità di risorgere e ci elargisce la forza e lo spirito per coltivare la santità, la giustizia e per osservare i precetti di Dio. Come infatti dalla sua morte prendiamo non solo l'esempio del morire al peccato, ma la virtù per morirvi di fatto, così la sua risurrezione ci somministra le forze per conseguire la giustizia, onde poi camminare in devota e santa pietà verso Dio, secondo la novità di quella vita, alla quale siamo risorti. Questo soprattutto ha voluto ottenere il Signore con la sua risurrezione: che noi, già morti con lui al peccato e al mondo, con lui risorgessimo a un genere e a una norma tutta nuova di vita.

73                I segni della nostra risurrezione spirituale

80 Quali siano i segni principali di questa risurrezione, ce lo ricorda l'Apostolo, il quale con le parole: "Se siete risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, dove è Cristo alla destra di Dio" (Col 3,1) mostra chiaramente che coloro i quali desiderano aver vita, onori, riposo e ricchezze là dov'è Cristo, sono davvero risorti con lui. Invece con le altre: "Pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra" (ibid. 2), ha aggiunto come una seconda nota, per distinguere se veramente siamo risorti con Cristo. Come infatti il gusto suole indicare lo stato di salute del corpo, così se uno apprezza tutto ciò che è vero, pudico, giusto, santo, se nell'intimo senso della sua mente assapora la dolcezza delle cose celesti, allora avrà la prova migliore che l'anima così bene affetta è davvero risorta con Gesù Cristo a una vita nuova e spirituale.


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