1 Prefazione all'orazione domenicale
PADRE NOSTRO CHE SEI NEI
CIELI
La formula della preghiera
cristiana, insegnata da Gesù Cristo, è di tale tenore che, prima di recitare le
invocazioni di domanda, propone come proemio alcune parole, con le quali,
nell'atto di accedere devotamente a Dio, esprimiamo con più calda fiducia le
nostre richieste. È dovere del parroco spiegare distintamente e con chiarezza
tali parole, affinché il popolo credente si disponga più alacremente alla
preghiera sapendo di rivolgersi direttamente a Dio come Padre. Tale proemio,
brevissimo per le parole che lo compongono, è importantissimo e pieno di
misteri per il suo contenuto.
2 Il nome di "Padre" conviene a Dio per molte ragioni
370 PADRE. E la prima parola
di questa Orazione, per espresso comando e istituzione di Dio. Il nostro Salvatore,
in verità, avrebbe potuto premettere un vocabolo più maestoso, per esempio
quello di "Creatore" o "Signore". Volle invece eliminare
ogni termine capace di incuterci timore e scelse quello che ispira amore e
fiducia a quanti si rivolgono a Dio con la preghiera. Quale appellativo più
grato che quello di Padre? Esso suona unicamente indulgenza e amore. Per
indicare poi le ragioni che giustificano l'applicazione del nome di Padre a
Dio, basterà ricordare la creazione, la provvidenza e la redenzione.
Anzitutto, Dio creò l'uomo a
sua immagine, cosa che non fece con gli altri animali.
Avendo di così insigne
privilegio dotato l'uomo, propriamente egli viene chiamato nelle Sacre
Scritture "Padre" di tutti gli uomini e non solo dei credenti, ma
anche degli infedeli.
In secondo luogo, per il
fatto che Dio provvede e dispone il tutto per il vantaggio degli uomini, egli,
con la speciale manifestazione della sua provvidenza e della sua cura, ci
rivela l'amore paterno. Affinché dalla spiegazione di questo argomento appaia
più limpida la cura paterna che Dio ha degli uomini, sembra opportuno dire
qualcosa sulla custodia degli angeli, sotto la cui tutela si trovano gli
uomini. Per divino volere è affidato agli angeli il compito di custodire il
genere umano e di vegliare al fianco di ogni individuo, affinché non lo
colpisca troppo grave danno.
Come i genitori scelgono
delle guide e dei sorveglianti per i figlioli che affrontano un viaggio per un
sentiero pericoloso e insidioso, così il Padre celeste, nella via che mena alla
patria dei cieli, assegnò a ciascuno di noi degli angeli, perché noi
fiancheggiati dal loro solerte appoggio, evitassimo i tranelli tesi dal nemico,
respingessimo i suoi temibili attacchi sotto la loro guida, non smarrissimo la
retta strada e nessun inganno tramato dall'avversario insidioso ci spingesse
lungi dal cammino che mena al paradiso.
Quanto sia preziosa questa
singolare cura e provvidenza di Dio per gli uomini, affidata al ministero degli
angeli, la cui natura appare intermedia fra quella di Dio e quella degli
uomini, emerge dai copiosi esempi delle divine Scritture. Esse attestano come
spesso, per benigno volere di Dio, gli angeli compirono gesta mirabili al
cospetto degli uomini. Tali esempi ci fanno persuasi che innumerevoli atti del
medesimo genere sono compiuti dagli angeli, tutori della nostra salvezza,
utilmente e beneficamente, per quanto fuori della percezione dei nostri occhi.
L'angelo Raffaele, per
esempio, per volere divino unitesi quale compagno e guida nel viaggio a Tobia,
lo condusse e ricondusse incolume (Tb 5,5). Lo salvò dalla voracità del pesce
smisurato, mostrando poi tutte le virtù contenute nel fegato, nel fiele e nel
cuore di esso (Tb 6,2). Cacciò il demonio e, vincolatane la forza, fece sì che
non nuocesse a Tobia (Tb 8,3). Fu l'angelo Raffaele che ammaestrò Tobia sui
doveri del matrimonio (Tb 6,4-16). Infine ridonò la vista al padre di Tobia (Tb
11,8-15).
Similmente l'angelo che
liberò il principe degli Apostoli offre bene il destro per istruire il pio
gregge circa i mirabili frutti della vigilanza e della custodia angelica.
Potranno i parroci evocare la figura dell'angelo che scende a illuminare le
tenebre del carcere, che desta Pietro dal sonno toccandolo al fianco, scioglie
le catene, spezza i vincoli, impone di seguirlo, dopo avergli fatto prendere i
calzari e gli indumenti, e ricordare come, dopo aver fatto uscire libero Pietro
dal carcere in mezzo alle sentinelle, aprendo la porta, lo condusse in luogo
sicuro (At 12).
Numerosi sono gli esempi di
questo genere, come abbiamo detto, che la storia sacra registra. Da essi noi
comprendiamo quanto inestimabile sia la copia dei benefici che Dio conferisce
agli uomini servendosi degli angeli come di intermediari e messaggeri, inviati
non già in una determinata e speciale circostanza, ma preposti alla nostra
sorveglianza dal primo nostro anelito e incaricati di favorire la salvezza di
ciascuno. La diligenza posta nella delucidazione di tale dottrina sortirà il
benefico effetto di sollevare gli spiriti degli ascoltatori, stimolandoli al
riconoscimento e alla venerazione della potenza e della provvidenziale cura di
Dio per loro.
A questo proposito il parroco
esalterà e rileverà le ricchezze della divina misericordia verso il genere
umano. Fin dal tempo del progenitore della nostra schiatta e del suo peccato,
noi non abbiamo mai cessato di offendere Dio con scelleratezze innumerevoli; ma
egli conserva tuttora il suo affetto per noi, ne si stanca di esercitare
assidua cura di noi. Chi ritenga Dio capace di dimenticare gli uomini è un folle
che lancia contro di lui una volgarissima ingiuria. Dio si sdegnò con Israele
che aveva bestemmiato d'essere stato abbandonato dal soccorso celeste. Sta
scritto infatti nell'Esodo: "Misero a prova il Signore, domandando:
"Abbiamo o no Dio con noi?" " (17,7). E in Ezechiele leggiamo
che Dio si adirò con il medesimo popolo, avendo questo mormorato: "Dio non
ci guarda più, il Signore lasciò a se stessa la terra" (8,12). Con il
ricordo di queste testimonianze i fedeli saranno tenuti lontani dalla riprovevole
supposizione che Dio possa dimenticarsi degli uomini.
Bisogna in proposito
ricordare il lamento elevato contro Dio dal popolo d'Israele, presso Isaia, e
la benevola similitudine con cui Dio ribatte la stolta recriminazione. Vi si
legge infatti: "Sion ha detto: "II Signore mi ha abbandonata, il
Signore mi ha dimenticata" " (Is 49,14). Ma Dio risponde: "Può
una donna dimenticare la sua creatura, non aver pietà del figlio del suo
ventre? E se anche quella se ne dimenticasse, io però non mi dimenticherò di
te. Ecco, io ti porto scritta nelle mie mani" (ibid. 15.16).
A persuadere profondamente il
popolo fedele di questa verità, per quanto dai passi citati essa venga
pienamente confermata, che cioè nessun tempo potrà mai sopraggiungere in cui
Dio perda il ricordo degli uomini e cessi di impartire loro i benefici della
sua paterna carità, i parroci lo comproveranno con il luminoso esempio dei
progenitori. Tu sai che essi, per aver trascurato e violato il comando di Dio,
furono acerbamente giudicati e condannati con la terribile sentenza:
"Maledetto sia il suolo per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per
tutti i giorni della tua vita. Spine e cardi produrrà per te e mangerai l'erba
campestre" (Gn 3,17s). Tu li vedi espulsi dal paradiso e, perché perdano
ogni speranza di ritorno, leggi esservi stato posto un cherubino alla porta,
vibrante in mano una spada di fuoco (ibid. 24). Allora comprendi che essi sono
stati afflitti da mali interni ed esterni per volontà di Dio, che si vendica
dell'ingiuria fatta a lui, e crederesti che sia finita per l'uomo; pensi forse
che non solo egli sia privato dell'assistenza divina, ma che anche sia esposto
a mali d'ogni genere. Eppure, in cosi grandi manifestazioni dell'ira divina, è
apparsa agli uomini, nei segni del castigo, la luce della divina misericordia.
Infatti, il Signore Iddio fece delle tuniche di pelli ad Adamo e a sua moglie e
li vestì (ibid. 3,21 ); questa fu la grande prova che mai, in nessun tempo,
l'aiuto di Dio sarebbe mancato agli uomini.
Tutta la forza di questa verità,
che cioè l'amore di Dio non si esaurisce per qualsiasi offesa degli uomini,
David la espresse con le parole: "Ha forse Dio trattenuto gli atti della
sua misericordia nell'ira?" (Sal 76,10). E Abacuc espose lo stesso
concetto, allorché disse a Dio: "Quando tu sarai irato, ricordati di
essere misericordioso" (3,2). La stessa verità manifestò Michea dicendo:
"Quale Dio è simile a tè, che perdoni all'iniquità e passi sopra ai
peccati dei resti della tua eredità? Egli non conserva a lungo la sua ira,
poiché vuole essere misericordioso" (7,18). Generalmente avviene che
quanto più noi ci stimiamo perduti e privi del soccorso di Dio, tanto più Dio
ha compassione di noi, per la sua bontà infinita, e ci assiste; trattiene
nell'ira la spada della giustizia e non cessa di spargere i tesori inesauribili
della sua misericordia.
Molto efficacemente, dunque,
la creazione e il governo del mondo provano la volontà di Dio di amare e di
proteggere il genere umano. Tuttavia, tra le due opere sopraddette emerge
talmente l'opera della redenzione degli uomini che, soprattutto con questo
beneficio, Dio, sommo benefattore e Padre nostro, manifesta la sua benignità
verso di noi. II parroco, davanti ai suoi figli spirituali, insegni e richiami
continuamente alla memoria questa primissima prova della carità di Dio verso
noi, sicché capiscano come essi, essendo redenti, sono in modo ammirabile
diventati figli di Dio. Così, infatti, scrive san Giovanni: "Diede loro la
potestà di diventare figli di Dio e da Dio sono nati" (1,12). Perciò il
Battesimo, primo pegno e segno della nostra redenzione, si chiama il sacramento
della rigenerazione; per esso, noi nasciamo figli di Dio, come il Signore
medesimo ha detto: "Quel che è nato dallo spirito è spirito" (Gv
3,6); e ancora: "È necessario che voi nasciate di nuovo" (ibid. 7).
Cosi pure l'Apostolo Pietro: "Siete rinati non da seme corruttibile, ma
incorruttibile, per la parola del Dio vivente" (1 Pt 1,23).
In virtù di questa
redenzione, noi abbiamo ricevuto lo Spirito Santo e ci siamo arricchiti della
grazia di Dio. Per questo dono Dio ci ha adottati come suoi figli, secondo le
parole dell'Apostolo Paolo ai Romani: "Voi non avete di nuovo ricevuto lo
spirito di schiavitù, per vivere nel timore, ma lo spirito di adozione a figli,
per il quale noi gridiamo: Abbà, Padre" (Rm 8,15). Questa potente
efficacia dell'adozione san Giovanni la espone chiaramente in questo modo:
"Vedete quale prova d'amore diede a noi il Padre, tanto che noi ci
chiamiamo e siamo figli di Dio" (3,1).
3 A Dio Padre, creatore, governatore, redentore, sono dovuti amore, devozione, riverenza
371 Esposte queste verità, si
deve mostrare al popolo fedele che cosa in cambio egli debba a Dio, Padre
amorosissimo, per far capire quale devoto amore e quanta reverente obbedienza
bisogna nutrire verso il nostro creatore, governatore e redentore e con quanta
fiduciosa speranza si debba invocare.
Sarà necessario togliere
l'ignoranza e correggere la perversità di giudizio di coloro che pensano che
soltanto la fortuna favorevole e il prospero corso della vita sono la prova che
Dio ci conserva il suo amore, mentre l'avversa fortuna e le calamità con le
quali siamo da Dio provati sarebbero segno di animo ostile e addirittura di
allontanamento da noi dell'attenzione divina.
Dovremo allora dimostrare che
quando la mano del Signore ci percuote (Gb 19,21), non lo fa per inimicizia;
percuotendoci ci sana (Dt 32,39) ed è salutare la piaga che ci viene da Dio.
Egli, infatti, castiga quelli
che peccano, perché l'esperienza li faccia diventare migliori e, con il castigo
presente, li redime dalla morte eterna. Con la verga visita le nostre iniquità
e i nostri peccati con le percosse, ma non ci toglie la sua misericordia (Sal
88,33).
Si devono quindi ammonire i
fedeli a riconoscere nel castigo il paterno amore di Dio e ad avere sempre
vivo, nel cuore e sulle labbra, il ricordo di quel detto del pazientissimo
Giobbe: "Egli ferisce e risana e, se percuote, le sue mani saneranno"
(Gb 5,18). Si devono incitare i fedeli a considerare come detto per essi ciò che
scrisse Geremia del popolo israelita: "Tu mi hai castigato e io sono stato
ammaestrato, quasi giovenco indomito; convertimi e io sarò convertito; poiché
tu sei il Signore mio Dio" (Ger 31,18).
Tengano sempre presente alla
coscienza l'esempio di Tobia, il quale, nella piaga della cecità riconoscendo
la paterna mano di Dio, esclamò: "Benedico te. Signore Dio d'Israele,
poiché tu mi hai castigato e tu mi hai salvato" (Tb 11,17). In modo
speciale si guardino i fedeli, da qualsiasi contrarietà siano angustiati e da
qualsivoglia calamità siano afflitti, dal credere che Dio non lo sappia. Egli
stesso dice: "Non un capello del vostro capo perirà" (Lc 21,18).
Anzi, attingano conforto dall'oracolo divino, espresso nell'Apocalisse:
"Coloro che amo, io li rimprovero e li castigo" (3,19).
Trovino pace nell'esortazione
dell'Apostolo agli Ebrei: "Figlio, non trascurare l'insegnamento del
Signore; non ti abbattere se sarai ripreso da lui, poiché Dio castiga colui che
ama; flagella tutti i figli che accoglie. Che se voi vi terrete fuori della sua
Legge, sarete bastardi, non figli. Avemmo padri educatori della nostra carne e
li abbiamo rispettati; quanto più non ubbidiremo al Padre degli spiriti e
vivremo?" (Eb 12,5).
4
5 Con la parola "nostro" si ricorda ai fedeli che essi sono tutti fratelli
372 NOSTRO. Quando ognuno di
noi anche privatamente invoca il Padre, chiamandolo "nostro", viene
avvertito che dal dono dell'adozione divina deriva per tutti i fedeli,
necessariamente, la condizione di fratelli e il dovere di amarsi fraternamente:
"Voi siete tutti fratelli: uno solo è il vostro Padre, che è nei
cieli" (Mt 23,8). Perciò anche gli Apostoli, nelle loro lettere, chiamano
fratelli tutti i fedeli. Da ciò l'altra necessaria conseguenza che, per
l'adozione di Dio, non solo i fedeli sono stretti dal vincolo della
fratellanza, ma anche, essendo uomo il Figlio unico di Dio, essi si chiamino e
siano in realtà fratelli di Cristo. L'Apostolo ha scritto nell'epistola agli
Ebrei, parlando del Figlio di Dio: "Non si vergognò di chiamarli fratelli,
quando disse: "Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli" "
(2,11); parole che David, tanto tempo prima, aveva attribuito a Cristo Signore
(Sal 21,23).
Cristo medesimo, secondo
l'Evangelista, dice alle donne: "Andate, annunziate ai miei fratelli che
vadano in Galilea; là mi vedranno" (Mt 28,10). Ora, ciò egli disse quando,
già risorto dai morti, aveva conseguito l'immortalità; cosicché nessuno potrà
pensare disciolta questa parentela, in seguito alla sua risurrezione e
ascensione al cielo. Anzi, lungi dal toglierci per questa risurrezione la sua
parentela e l'amore, sappiamo che quando egli dalla sede della sua maestà e
della sua gloria, giudicherà tutti gli uomini di tutti i tempi, chiamerà con il
nome di fratelli anche gli infimi tra i fedeli (Mt 25,31). E come potrebbe
avvenire che noi non siamo fratelli di Cristo, se con lui siamo coeredi? (Rm
8,17), poiché egli è il Primogenito, costituito erede universale (Eb 1,2); ma
noi, nati dopo di lui, siamo coeredi con lui, per l'abbondanza dei doni celesti
e nella misura della carità con la quale ci offriremo ministri e coadiutori
dello Spirito Santo (1 Cor 3,9).
Dallo Spirito Santo siamo
incitati alla virtù e alle opere buone; siamo spronati dalla sua grazia alla
lotta coraggiosa per la nostra salvezza, in modo che, terminata la lotta con
sapienza e costanza, al termine di questa vita riceviamo dal divin Padre il
giusto premio della corona (Ap 2,10), assegnato a coloro che avranno seguito la
medesima via. Dio, come dice l'Apostolo, non è ingiusto, ne dimentica l'opera nostra
e il nostro amore per lui (Eb 6,10). Ma noi dobbiamo proferire con il cuore la
parola nostro, come spiega san Giovanni Crisostomo, il quale dice che Dio
ascolta volentieri il cristiano non solo quando questi prega per sé, ma anche
quando prega per il prossimo.
"Pregare per sé è naturale, ma è proprietà della grazia pregare per
gli altri; la necessità costringe a pregare per sé; a pregare per il prossimo
ci spinge la carità fraterna."
Aggiunge che a Dio riesce più
gradita quella preghiera che la carità fraterna gli innalza fiduciosa, che
quella del fedele spinto dalla necessità.
Trattando
dell'importantissimo argomento della preghiera salutifera, il parroco ammonisca
ed esorti tutti, di qualunque età, sesso e condizione, a ricordare la comune
fraterna parentela, ad agire sempre da buoni compagni, da fratelli, senza
comportarsi con superbia verso gli altri. Nella Chiesa di Dio vi sono funzioni
di grado diverso, ma la varietà dei gradi e degli uffici non toglie affatto
l'unione e il dono della fraterna parentela, al modo stesso che nel corpo umano
il vario uso e la diversa funzione delle membra non impediscono che questa o
quella parte del corpo perda la sua qualità e il nome di membro.
Pensiamo a uno rivestito
della dignità regale; se è fedele, non sarà forse fratello di tutti coloro che
sono uniti nella comunione della fede cristiana? Certamente, e perché? Perché i
ricchi e i re non furono creati da un Dio e i poveri e quelli che dipendono dai
re, da un altro: Dio è uno, Padre e Signore di tutti. È unica dunque la nobiltà
dell'origine spirituale per tutti, unica la dignità, unico lo splendore della
stirpe, poiché tutti per lo stesso spirito, per il medesimo sacramento della
fede, siamo nati figli di Dio, coeredi della medesima eredità. E come non hanno
un Cristo i potenti e i ricchi e un altro i più deboli e gli infimi, così tutti
vengono iniziati non a sacramenti diversi, ne possono sperare per loro diversa
eredità nel regno dei cieli.
"Siamo tutti fratelli e
membra", come dice l'Apostolo agli Efesini, "del corpo di Cristo,
fatti della sua carne e delle sue ossa" (5,30). Così pure dice
nell'epistola ai Galati: "Tutti siete figli di Dio per la fede in Cristo
Gesù; tutti voi, infatti, che siete stati battezzati in Cristo, vi siete
rivestiti di Cristo. Non esiste giudeo o greco; non esiste servo o libero;
maschio o femmina; poiché tutti siete un solo corpo in Cristo Gesù"
(3,26).
Questa verità i pastori delle
anime dovranno spiegare con cura e dovranno appositamente indugiare su questo
soggetto; poiché il passo citato è adatto a incoraggiare e sollevare i poveri e
i miseri, non meno che a rintuzzare e reprimere l'arroganza dei ricchi e dei
potenti. A questo scopo, appunto, l'Apostolo insisteva sulla fraterna carità e
la inculcava negli orecchi dei fedeli.
6 Disposizione d'animo nel recitare il "Pater noster"
373 Quando farai questa
preghiera, ricordati, o cristiano, che ti presenti a Dio come un figlio al
padre; quando stai per cominciarla e dici "Padre nostro", pensa a
quale onore la somma bontà divina ti ha innalzato, si che tu non abbia a
presentarti davanti al Signore, forzatamente e pauroso, come uno schiavo.
Invece, cerca rifugio in lui liberamente, senza apprensioni, come un figlio nel
proprio padre. In questo ricordo e in questo pensiero, considera con quale
sentimento e quale pietà tu debba pregare; adoperati a essere meritevole della
qualifica di figlio di Dio, in modo che la tua preghiera e le tue orazioni non
siano indegne della stirpe divina alla quale Dio, nella sua infinita bontà, si
degna di farti appartenere. A questo dovere esorta l'Apostolo quando dice:
"Siate dunque imitatori di Dio, come figli amantissimi" (Ef 5,1) e si
possa veramente dire di noi, ciò che l'Apostolo scrisse ai Tessalonicesi:
"Voi tutti siete figli della luce e figli del giorno" (1 Ts 5,5).
7 Perché Dio, presente ovunque, è invocato "nei cieli"
374 CHE SEI NEI CIELI. Per
tutti quelli che hanno di Dio una giusta idea, è certo che Dio si trova
dovunque e tra tutte le genti; ne ciò si deve intendere come se egli sia
distribuito in parti, delle quali una sia presente e protegga un determinato
luogo, l'altra un altro; Dio è spirito e non comporta divisione. Chi oserà
circoscrivere la presenza di Dio entro confini delimitati, ponendolo in un
luogo determinato, quando egli stesso dice di sé: "Non occupo forse io
cielo e terra?" (Ger 23,24). Queste parole si devono a loro volta
interpretare nel senso che cielo, terra e tutto quello che essi racchiudono Dio
abbraccia nella sua potenza e nella sua virtù, senza essere egli contenuto in
nessun luogo. Dio è presente in tutte le cose, sia che le crei, sia che le
conservi, mentre non è circoscritto in nessuna regione o limitato da spazio o
da confini, quasi non vi fosse presente o non potesse affermare ovunque la sua
natura e la sua potenza, come disse il santo re David: "Se io salirò in
cielo, tu sei là" (Sal 138,8).
Eppure, sebbene Dio sia
presente in tutti i luoghi e in tutte le cose, non circoscritto da nessun
confine, la Sacra Scrittura dice spesso che il suo soggiorno è in cielo. Ciò si
spiega con il fatto che, essendo i cieli al disopra di noi la parte del mondo
nobilissima fra tutte, e rimanendo essi incorrotti, superiori anche come sono
agli altri corpi in potenza, grandezza e bellezza e dotati di movimenti
regolari e costanti, per eccitare gli animi dei mortali alla contemplazione
dell'infinita sua potenza e maestà, meravigliosamente risplendente nell'opera
dei cieli, nelle divine Scritture Dio ci dice che egli abita nei cieli. Spesso
però dichiara anche che non c'è parte del mondo che egli non abbracci con la
sua potenza, ovunque presente.
Con questo pensiero i fedeli
abbiano avanti l'immagine non solo di Dio Padre comune, ma anche di rè dei
cieli e si ricordino, quando pregano, di innalzare la mente e l'animo al cielo.
Quanta speranza e fiducia ispira loro il nome di Padre, altrettanta umiltà e
pietà deve infondere in loro la natura sublime e la divina maestà del Padre
nostro che è nei cieli.
Codeste parole determinano
anche quello che i fedeli devono chiedere a Dio. Ogni nostra richiesta, infatti,
che riguardi le quotidiane necessità di questa vita, è vana e indegna di un
cristiano se non è in relazione con i beni del cielo e ordinata a quel fine.
Perciò i parroci insegnino ai
pii ascoltatori questo modo di pregare, appoggiando il loro insegnamento
all'autorità dell'Apostolo, il quale dice: "Se siete risorti con Cristo,
chiedete quei beni che sono lassù, dove Cristo siede alla destra di Dio:
gustate i beni celesti, non quelli che sono sulla terra" (Col 3,1).
Prima domanda
SIA SANTIFICATO IL TUO NOME
L'ordine della preghiera segue l'ordine della carità
375 II Maestro e Signore di
tutti ha insegnato e prescritto che cosa dobbiamo chiedere a Dio e quale deve
essere l'ordine da seguire. Se infatti la preghiera deve esprimere e
interpretare il nostro amore e i nostri desideri, allora solo sarà conveniente
e ragionevole quando l'ordine delle nostre domande seguirà l'ordine medesimo
delle cose che dobbiamo chiedere. Ora, la carità ci insegna che dobbiamo
rivolgere a Dio tutto lo slancio del cuore. Dio, unico sommo Bene per se
stesso, si deve amare di un amore del tutto particolare, superiore a qualunque
altro. Ma non si amerà Dio con tutta l'anima e in maniera unica, se alle cose e
a tutti i beni naturali non si antepongano l'onore e la gloria sua; i beni,
nostri o altrui e tutte le cose che siamo soliti designare con il nome di beni,
cedono davanti al sommo Bene, siccome derivanti da lui. Dunque, perché la
preghiera proceda con ordine, il Salvatore ha disposto che la richiesta del
sommo Bene sia la prima e la principale delle nostre domande, insegnandoci come
noi, prima di chiedere il necessario per noi o per il prossimo, dobbiamo
domandare le cose richieste dalla gloria di Dio e manifestare a Dio medesimo il
nostro ardente desiderio di esse. In questo modo restiamo nell'esercizio della
carità, la quale ci ammaestra ad amare Dio più di noi stessi, a chiedere prima
ciò che desideriamo per Dio e soltanto dopo quello che vogliamo per noi.
8 A Dio non possiamo desiderare altro che beni esteriori a lui
376 È certo che non si può
desiderare e domandare se non ciò di cui siamo privi, ma d'altra parte niente
si può aggiungere a Dio, cioè alla sua essenza, ne si può aumentare in modo
alcuno la sostanza divina, che in sé racchiude tutte le perfezioni in modo ineffabile;
è chiaro quindi che si trovano fuori di lui quelle cose che per Dio chiediamo a
Dio medesimo e non riguardano che la sua gloria esteriore. Cosi chiediamo e
desideriamo che il nome di Dio si diffonda sempre più tra le genti, si estenda
il suo regno e che si moltiplichino ogni giorno quanti si sottomettono alla sua
volontà. Ora, queste tre cose, il nome, il regno e l’obbedienza non
costituiscono l'essenza di Dio, ma le convengono estrinsecamente. A far meglio
comprendere tutta la forza e l'efficacia di queste preghiere, sarà compito del
pastore spiegare al popolo fedele che le parole: "Così in cielo come in
terra", si possano riferire a ognuna delle tre prime domande: "Sia
santificato il nome tuo come in cielo così in terra"; "Venga il regno
tuo come in cielo così in terra"; "Sia fatta la tua volontà come in
cielo così in terra".
Quando chiediamo che sia
santificato il nome di Dio, intendiamo che venga esaltata la santità e la
gloria del nome divino. Qui il parroco farà osservare e spiegherà ai pii ascoltatori
che il Salvatore disse ciò non perché Dio sia santificato allo stesso modo in
cielo e sulla terra, quasi cioè che la santificazione terrestre eguagli in
ampiezza quella celeste, cosa che non può affatto avvenire, ma intese dire che
la santificazione si compia con la carità e con intimo impulso dell'animo, per
quanto sia vero, com'è realmente, che il nome divino non ha per se stesso
bisogno di essere santificato, essendo di per sé santo e terribile (Sal 110,9)
com'è santo per sua essenza Dio medesimo, sì che nessuna santità gli può venire
attribuita, che egli non abbia già avuto da tutta l'eternità. Tuttavia, noi
desideriamo e facciamo domande per l'onore che gli viene tributato sulla terra,
minore spesso di quello che gli spetta, per gli oltraggi a lui fatti, non di
rado, con parole blasfeme e ingiuriose, e che la sua gloria venga esaltata con
lodi e con onore, sull'esempio delle lodi, dell'onore e della gloria
tributatigli in cielo. Si faccia in modo, insomma, che onore e culto siano nel
pensiero nostro, nel cuore e sulle labbra, sicché l'onoriamo con venerazione
inferiore ed esteriore e così circondiamo di eccelsa lode, seguendo l'esempio
degli abitanti dei cieli, il nostro Dio, sublime, puro, glorioso.
Come i celesti, con magnifico
consenso di lodi, esaltano Dio nella sua gloria, così preghiamo che lo stesso
avvenga su tutta la terra e che tutti riconoscano Dio, lo adorino, lo servano;
ne si trovi più alcuno tra i mortali che non abbia abbracciato la religione
cristiana, ma tutti, dedicandosi a Dio, riconoscano che solo da lui si alimenta
ogni fonte di santità, perché nulla vi è di puro e di santo che non provenga
dalla santità del nome divino.
L'Apostolo, infatti, afferma
che la Chiesa si è purificata con il lavacro dell'acqua, nella parola della vita
(Ef 5,26), che è il nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, nel quale
noi fummo battezzati e santificati. Poiché dunque non può esserci né
espiazione, né purezza, né santità per colui sul quale non sia stato invocato
il nome di Dio, noi desideriamo e invochiamo da lui che tutto il genere umano,
sottraendosi alle tenebre dell'impura infedeltà e illuminandosi dei raggi della
luce divina, conosca la forza di questo nome, sì che in esso ricerchi la vera
santità e nel nome della santa e individua Trinità, prendendo il sacramento del
Battesimo, ottenga la pienezza della santità dalla mano di Dio medesimo.
Nei nostri desideri e nelle
nostre preghiere pensiamo anche a coloro che, macchiati di disordini e delitti,
hanno perduto la pura santità del Battesimo e la veste dell'innocenza; onde
avviene che in questi miseri ha di nuovo posto la sua sede lo spirito impuro.
Desideriamo, dunque, e
invochiamo da Dio, che anche in loro venga santificato il suo nome, sì che
tornando in se stessi, riscattino con il sacramento della Penitenza la loro
purezza primitiva e si presentino a Dio quali templi e sede di santità e
d'innocenza.
Noi preghiamo ancora che Dio
infonda la sua luce in tutte le menti, sicché tutti possano vedere che ogni
ottimo bene, ogni perfetto dono viene dal Padre della luce (Gc 1,17) ed è a noi
dato per volontà divina; cosicché tutto (cioè la temperanza, la giustizia, la
vita, la salute) tutti i beni dell'anima e del corpo, quelli esterni, quelli
riguardanti la vita e quelli che riguardano la salute, si riferisca a colui,
dal quale tutti provengono, come insegna la Chiesa. Se servono in qualche modo
agli uomini il sole con la sua luce, le altre stelle con il loro movimento e le
loro rivoluzioni; se l'aria circostante ci mantiene in vita e la terra ci sostiene
con la sua fecondità con il produrre biade e frutti; se noi, per l'opera dei
magistrati, godiamo quiete e tranquillità: ebbene, tutti questi e innumerevoli
altri doni sono dovuti all'immensa bontà di Dio che ce li elargisce. Quelle
cause stesse che i filosofi chiamano "seconde", noi dobbiamo
intenderle quali mani mirabilmente create da Dio e fatte servire alle nostre
necessità; mani per le quali egli ci distribuisce i suoi beni e li profonde
ovunque abbondantemente.
Di somma importanza in questa
preghiera è che tutti riconoscano e venerino la santissima sposa di Gesù
Cristo, la Chiesa madre nostra; poiché, per lavare ed espiare tutte le sozzure
dei nostri peccati, solo in essa troviamo la fonte abbondantissima e
inesauribile, dalla quale scaturiscono tutti i sacramenti della salute e della
santificazione. Da questi sacramenti, come per altrettanti canali, Dio fa
scorrere su noi la rugiada e l'acqua dell'innocenza; inoltre, essa soltanto,
con quanti abbraccia al suo seno, può implorare il suo nome divino, il solo
dato agli uomini sotto il cielo, nel quale possiamo salvarci (At 4,12).
9 Il nome di Dio deve essere santificato con la vita santa dei cristiani
377 I parroci devono
insistere molto su questo punto: che il figlio buono non prega Dio soltanto a parole,
ma con la condotta e con la propria azione fa sì che in se stesso risplenda la
santificazione del nome di Dio. Volesse Iddio che non ci fossero di quelli che,
mentre chiedono continuamente con preghiere questa santificazione del nome
divino, poi la violano con le loro azioni e la insozzano quanto più possono, sì
che per colpa loro, qualche volta, persino Dio è maledetto.
Contro tali uomini disse
l'Apostolo: "Per colpa vostra si bestemmia il nome di Dio tra le
genti" (Rm 2,24). E in Ezechiele si legge: "Sono entrati tra le genti
e hanno profanato il mio santo nome, facendo dire di sé: "Questi sono il
popolo del Signore e sono usciti dalla sua terra" " (36,20), poiché
dalla vita e dai costumi di quelli che professano una religione, le folle
ignoranti giudicano della religione medesima e dell'Autore di essa.
Ma quelli che vivono secondo
la religione di Cristo, da essi abbracciata, e conformano alla sua regola la
preghiera e le azioni, offrono agli altri grande argomento per render lode al
nome santo del Padre celeste e per celebrarlo con ogni onore e gloria. Poiché a
noi il Signore ha imposto di eccitare gli uomini, con splendide azioni di
virtù, alla lode e alla celebrazione del nome divino. Per noi è stato detto
dall'Evangelista: "Risplenda la vostra luce dinanzi agli uomini perché
vedano le vostre opere buone e glorifichino il vostro Padre che è nei
cieli" (Mt 5,16). E il principe degli Apostoli scrive: "Conducete una
vita onesta tra i Gentili, sicché essi, giudicandovi dalle vostre opere, rendano
gloria a Dio" (1Pt 2,11).
Seconda domanda
9.1 VENGA IL TUO REGNO
II regno di Dio è il fine di tutto il Vangelo
378 Tale è il regno di Dio
che noi chiediamo in questa seconda domanda, che a esso mira e in esso ha il
suo scopo ultimo tutta la predicazione del Vangelo. Per esso san Giovanni
Battista incominciò a esortare alla penitenza quando disse: "Fate
penitenza, che il regno dei cieli è vicino" (Mt 3,2), ne con altro
argomento iniziò l'opera della sua predicazione il Salvatore del genere umano
(Mt 4,17). In quel discorso salutare con il quale, sulla montagna, mostrò ai
discepoli la via della beatitudine, egli prese inizio dal regno dei cieli,
quale argomento fondamentale del discorso stesso: "Beati i poveri in
spirito, perché di questi è il regno dei cieli" (Mt 5,3).
E a quelli che cercavano di
trattenerlo presso di loro, diede questa risposta come ragione della sua
partenza: "E’ necessario che io annunci anche alle altre città il regno di
Dio, essendo stato mandato per questo" (Lc 4,43). Più tardi ordinò agli
Apostoli di predicare questo medesimo regno (Mt 10,7) e a colui che voleva
andare a seppellire il padre morto rispondeva: "Tu va’ e annuncia il regno
di Dio" (Lc 9,60). Risorto, poi, per tutti quei quaranta giorni che si
mostrò agli Apostoli, parlò sempre del regno di Dio (At 1,3).
10 Efficacia della domanda
379 I parroci svolgano con
ogni cura questa seconda domanda, sì che i fedeli ne capiscano tutto il valore
e la necessità.
A spiegarla lucidamente e con
profitto sarà loro di valido aiuto la considerazione che, per quanto questa
preghiera sia implicita in tutte le altre, tuttavia Dio ha ordinato di farla
anche separatamente, affinché noi cercassimo con grande zelo quanto chiediamo.
Infatti egli ha detto:
"Cercate in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia e avrete in
soprappiù tutte queste cose" (Mt 6,33). Tanto grandi sono il valore e
l'abbondanza dei beni celesti, espressi con questa preghiera, da comprendere
tutte le cose necessarie alla vita materiale e spirituale. Diremmo noi forse
degno del nome di re quel monarca che non cura il bene dello stato? Ora, se un
monarca terreno è geloso della prosperità del suo regno, quanta cura e quanta
provvidenza non dobbiamo noi credere che abbia il Re dei re di conservare la
vita e la salute degli uomini? Perciò in questa domanda del regno di Dio sono
compresi tutti i beni, dei quali maggiormente abbiamo bisogno nel nostro
pellegrinaggio in questo esilio e che Dio, nella sua misericordia, promette di
concedere, quando subito soggiunge: "E avrete in soprappiù tutte queste
cose". Con queste ultime parole egli dimostra di essere il re che
abbondantemente e largamente profonde ogni bene al genere umano.
Pensando alla sua infinita
bontà, David di lui cantò: "II Signore è il mio pastore: non manco di
nulla" (Sal 22,1). Ma è assolutamente insufficiente invocare con ardore il
regno di Dio, se insieme alla preghiera non adoperiamo i mezzi che ci aiutano a
cercarlo e a trovarlo. Anche le cinque vergini stolte chiesero con ardore:
"Signore, signore, aprici" (Mt 25,11), ma non avendo il sostegno
necessario alla loro richiesta, rimasero fuori. E giustamente, poiché dalle
labbra di Dio era uscita la sentenza: "Non chiunque mi dice:
"Signore, signore" entrerà nel regno dei cieli" (Mt 7, 21).
11 Necessità della domanda
380 I sacerdoti, che hanno la
cura delle anime, attingeranno alle ricchissime fonti della Sacra Scrittura gli
argomenti per eccitare nei fedeli il desiderio e l'ardente ricerca del regno
dei cieli. Espongano ai loro occhi le misere condizioni del nostro stato, li
impressionino in modo che essi, raccogliendosi in se stessi ed esaminandosi,
ricordino la somma beatitudine e i beni ineffabili, dei quali è piena la casa
eterna di Dio Padre nostro.
Noi infatti siamo degli esuli
e in verità abitiamo un luogo dove hanno sede i demoni, il cui odio verso di
noi è impossibile a mitigarsi, implacabilmente ostili come sono al genere
umano. Che cosa non sono le lotte intime che hanno tra loro, senza posa, il
corpo e l'anima, la carne e lo spirito? (Gal 5,17). Non temiamo noi sempre di dover
soccombere? E non solo temiamo, che anzi soccomberemmo subito se non fossimo
sorretti e difesi dalla mano di Dio. L'Apostolo sentiva tutta la miseria di
questa vita quando scriveva: "Misero me! Chi mi libererà da questo corpo
di morte? " (Rm 7,24).
L'infelicità della nostra
natura, per quanto grande possa apparire, risalta maggiormente se si confronta
con la condizione di tutti gli altri esseri e delle cose create. Tra essi,
anche se privi di ragione e perfino di sentimento, raramente avviene che qualcuno
devii dalle proprie azioni, dal sentire e dai movimenti suoi propri, sì da
allontanarsi dal fine assegnato; ciò è così evidente per gli animali tutti, per
esempio per i pesci e per gli uccelli, che riuscirebbe inutile qualunque
dimostrazione. Che se tu guardi al cielo, ti apparirà verissimo ciò che disse
David: "In eterno, o Signore, permarrà in cielo la tua parola" (Sal
118,89). Il cielo infatti è in continuo moto, in rivoluzione perpetua, ma
nessun astro si può allontanare di una linea dalla via segnata dal volere
divino. Se consideri la terra e il rimanente universo, ti accorgerai subito che
di poco o nulla vadano deperendo.
La misera umanità, invece, è
quella che molto spesso cade; essa ben di rado prosegue in ciò che ha pensato
rettamente; il più delle volte rigetta e disprezza le buone azioni intraprese;
non appena ha secondato una buona idea, subito se ne pente e la rigetta e una
volta rigettatala, si lascia andare alle deliberazioni più abiette e dannose.
Ma qual è, dunque, la causa di questa incostanza e di questa miseria?
Certamente è il disprezzo delle ispirazioni divine. Noi chiudiamo le orecchie
ai moniti di Dio, non vogliamo sollevare lo sguardo a quella luce che Dio ci
manda, ne prestare ascolto agli insegnamenti che, per la nostra salvezza, ci da
il Padre celeste.
Di qui nasce per i parroci il
dovere di svelare al popolo fedele tutta l'umana miseria, di elencarne le
cause, di mostrare l'efficacia potente dei rimedi. Ne mancherà loro la
possibilità di adempiere a tanto dovere, se attingeranno da autori così santi,
quali Giovanni Crisostomo e Agostino, e specialmente da quello che noi stessi
abbiamo detto spiegando il Simbolo.
Chi sarà, tra i facinorosi,
colui che quando gli siano fatte conoscere queste verità, non si sforzerà, con
l'aiuto della grazia proveniente da Dio, di rianimarsi e di alzarsi
sull'esempio del figliol prodigo del Vangelo, per venire al cospetto del suo Re
celeste e Padre? (Lc 15,11).
12 Il regno di Dio è il suo potere universale e la sua provvidenza
381 Spiegato così quanto sia
utile ai fedeli questa preghiera, i parroci facciano vedere in che cosa più
precisamente consista ciò che noi chiediamo a Dio, poiché le parole "regno
di Dio" significano molte cose, la cui spiegazione riuscirà utile per
capire tutta la rimanente Scrittura, mentre è necessaria alla conoscenza di
questo passo.
Il senso dunque più comune di
regno di Dio, che ricorre di frequente nella Sacra Scrittura, è quello che non
solo indica il potere di Dio su tutti gli uomini e le cose, ma anche la
Provvidenza che tutto regola e governa: "Nelle sue mani", dice il
Profeta, "tiene la terra in tutta la sua estensione" (Sal 94,4). In
questa estensione è compreso tutto ciò che, nascosto nelle profondità della
terra e in tutte le parti del creato, si tiene celato a noi. Ciò intendeva
Mardocheo quando diceva: "Signore, Signore, re onnipotente, tutte le cose
sono poste sotto la tua signoria e non v'è chi possa opporsi alla tua volontà;
sei tu Signore di tutti e non v'è chi possa resistere alla tua maestà"
(Est, 13,9).
Con le parole "regno di
Dio" s'intende ancora la provvidenza particolare con cui Dio custodisce e
vigila sugli uomini pii e i santi; provvidenza e cura esimia, per le quali
David disse: "Poiché Dio mi governa, nulla mi potrà mancare" (Sal 22,1)
e baia: "II Signore è nostro re: egli ci salverà" (33,22).
13 Il regno di Dio non è di questo mondo
382 Sebbene già sulla terra
vivano sotto questo regio potere di Dio gli uomini che chiamiamo pii e santi,
tuttavia Cristo Signore disse a Filato che il suo regno non è di questo mondo
(Gv 18,36), cioè non ha la sua origine in questo mondo, il quale fu creato e
avrà una fine. Abbiamo detto in che modo dominano imperatori, re, repubbliche,
duchi e tutti quelli che, per desiderio o elezione degli uomini, stanno a capo
del governo nelle città e nelle province, oppure con la violenza e
l'ingiustizia si impadronirono del potere. Ma Cristo Signore fu fatto re da
Dio, come dice il Profeta (Sal 2,6) e il suo regno, secondo il detto
dell'Apostolo, è il regno della giustizia; dice infatti: "II regno di Dio
è giustizia, pace e gaudio nello Spirito Santo" (Rm 14,17).
Cristo regna in noi con le
intime virtù della fede, della speranza, e della carità; per queste virtù noi
siamo in certo modo chiamati a partecipare al regno. Essendo soggetti in modo
particolare a Dio, siamo consacrati al suo culto e alla sua venerazione, tanto
che l'Apostolo dice: "Vivo io, ma piuttosto non io; vive in me
Cristo" (Gal 2,20). Anche a noi sarà lecito dire: "Io regno, ma
piuttosto non sono io: regna in me Cristo".
Questo regno si chiama
giustizia, poiché esso è fatto della giustizia di Cristo Signore. Di questo
stesso regno dice il Signore in san Luca: "II regno di Dio è dentro di
voi" (17,21). Quantunque Gesù Cristo regni per la fede in tutti quelli che
sono raccolti in grembo alla santa madre Chiesa, egli ha tuttavia cura speciale
di quelli che, animati da fede viva, dalla speranza e dalla carità, si offrono
a Dio quali membra pure e vive di lui, tanto che si può dire che in essi regni
la grazia divina.
Ma è pure regno della gloria
di Dio quello del quale Cristo Signore parla in san Matteo: "Venite,
benedetti dal Padre mio, possedete il regno preparato per voi fin dall'origine
del mondo" (Mt 25,34). Questo regno chiedeva a Cristo in san Luca il buon
ladrone che riconobbe i propri delitti: "Signore, ricordati di me, quando
giungerai nel tuo regno" (Lc 23,42). San Giovanni pure ricorda questo
regno: "Chi non rinasce con l'acqua e lo Spirito Santo non può entrare nel
regno di Dio" (3,5). E l'Apostolo agli Efesini: "Chiunque sia
fornicatore, impudico, avaro, poiché ha servito idoli, non ha parte
nell'eredità del regno di Cristo e di Dio" (Ef 5,5). A questo regno ancora
si riferiscono alcune parabole di Cristo Signore, quando parla del regno dei
cieli (Mt 13,24.31.33.44).
È necessario stabilire prima
il regno della grazia; poiché non può regnare la gloria di Dio in colui nel
quale già non regni la grazia. "La grazia", secondo il detto del
Salvatore, "è una fontana d'acqua zampillante in vita eterna" (Gv 4,14).
Che diremo, dunque, che sia la gloria, se non la grazia perfetta e assoluta?
Infatti, mentre per tutto il tempo che, rivestiti di questo corpo fragile e
mortale, andiamo vagando in questa cieca peregrinazione, in questo esilio e,
sempre vacillanti, restiamo lontani da Dio, spesso sdruccioliamo e cadiamo,
rigettando il sostegno del regno della grazia, sul quale ci appoggiavamo;
quando invece ci avrà illuminati la luce del regno della gloria, l'unico
perfetto, noi saremo fermi ed eternamente stabili, poiché allora il vizio e la
malattia si dilegueranno e ogni debolezza si cambierà in robustezza; Dio
stesso, infine, regnerà nell'anima e nel nostro corpo, come abbiamo esposto
ampiamente nel Simbolo, parlando della risurrezione della carne.
14 Noi chiediamo che tutto sia sottoposto a Cristo
383 Spiegato il concetto
generale di regno di Dio, si dovrà dire a che cosa miri più propriamente questa
prima richiesta.
Noi chiediamo a Dio che il
regno di Cristo, che è la Chiesa, si propaghi; che gli infedeli e gli Ebrei si
convertano alla fede di Cristo Signore e accolgano la rivelazione del vero Dio;
che gli scismatici e gli eretici ritornino alla sana dottrina e rientrino nella
comunione della Chiesa di Dio dalla quale si separarono, affinché si compia
realmente ciò che il Signore ha detto per bocca di Isaia: "Allarga il tuo
padiglione e distendi senza risparmio le pelli delle tue tende; allunga le tue
corde, consolida i pioli; poiché tu penetrerai a destra e a sinistra; ti
dominerà colui che ti ha fatto” (Is 54,2-5). E anche: "Le genti cammineranno
alla tua luce e i re nello splendore della tua nascita. Leva intorno gli occhi
e guarda: tutti questi si sono uniti insieme e vengono a te; verranno a te
figli da lontano e le figlie tue appariranno da ogni lato" (Is 60,3s).
Siccome anche nella Chiesa ci
sono di quelli che affermano Dio a parole, ma lo negano coi fatti (Tt 1,16) e
presentano così una fede sfigurata, per cui il demonio del peccato abita in
loro e domina in essi come nella propria dimora, noi chiediamo che venga anche
per essi il regno di Dio, sicché, scossa la caligine dei peccati, illuminati
dai raggi della luce divina, essi vengano restituiti alla primitiva dignità di
figli di Dio. Chiediamo pure che, cacciati dal suo regno gli eretici e gli
scismatici, banditi gli scandali e le cause dei peccati, il nostro Padre
celeste purifichi l'aia della sua Chiesa, sicché questa, tributandogli un culto
pio e santo, goda di una pace dolce e tranquilla.
Chiediamo, infine, che solo
viva e regni in noi Iddio; che non sia più possibile la morte, ma essa venga
invece assorbita nella vittoria di Cristo nostro Signore, il quale bandisca e
annienti ogni signoria dei nemici con la potenza della virtù, sottomettendo
tutte le cose al suo dominio.
15 Condizioni di una preghiera efficace
384 Sarà cura dei parroci
dare al popolo fedele le spiegazioni che richiede lo spirito di questa domanda
sulle disposizioni d'anima, nelle quali si possa innalzare piamente a Dio
questa preghiera.
Anzitutto lo esorteranno a
penetrare l'efficacia e lo spirito di quella parabola del Salvatore: "II
regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo; un uomo lo trova e non
lo palesa, ma, tutto allegro, va, vende quel che ha e compra quel campo"
(Mt 13,44). Chi, infatti, riconosce le ricchezze di Cristo Signore, disprezza
per esse ogni cosa: beni, fortuna, potenza; tutto per lui sarà vile; poiché
nulla si può paragonare al sommo Bene e anzi, nulla vi è che possa reggere al
suo confronto. Perciò quelli ai quali sarà toccato di conoscerlo, esclameranno
con l'Apostolo: "Tutto ho considerato una perdita, tutto stimo fango, per
guadagnare Cristo" (Fil 3,8). È questa la perla preziosa del Vangelo,
della quale è detto che colui che l'avrà ottenuta, vendendo tutti i suoi beni,
sarà chiamato a godere la beatitudine eterna (Mt 13,45).
Felici noi, se Cristo ci
concederà tanto di luce da poter vedere la perla della grazia divina, per la
quale egli regna nei suoi; venderemmo tutte le nostre cose e noi medesimi, per
comprarla e conservarla, poiché allora finalmente potremmo dire con sicurezza: "Chi
ci separerà dalla carità di Cristo?" (Rm 8,35). Ma se vogliamo conoscere
quale sia l'insigne eccellenza della gloria di Dio, ascoltiamo la parola e il
pensiero del Profeta e dell'Apostolo: "L'occhio non ha veduto, l'orecchio
non ha udito, né il cuore dell'uomo ha potuto concepire i beni che Dio ha
preparato a quelli che lo amano" (ls 64,4; 1 Cor 2,9).
Ci disporrà validamente a
ottenere quanto chiediamo lo stimarci quali siamo: progenie d'Adamo, scacciati
a buon diritto dal Paradiso ed esuli, avendoci la nostra indegnità e la nostra
perversità meritato l'odio sommo di Dio e le pene eterne, perciò è necessario
starsene con animo umile e dimesso. Sia inoltre la nostra preghiera piena di
cristiana umiltà; diffidando di noi stessi, come il pubblicano (Lc 18,13),
affidiamoci completamente alla misericordia e bontà di Dio. Attribuendo tutto
alla sua benignità, rendiamogli grazie immortali per averci largito il suo
spirito, per il quale possiamo esclamare fiduciosi: "Abbà, Padre" (Rm
8,15). Diamoci anche cura e pensiero di quello che si deve fare, o evitare, per
giungere al regno celeste. Poiché non all'ozio e all'inerzia siamo stati
chiamati da Dio; che anzi egli dice: "II regno dei cieli s'acquista con la
forza e lo afferrano i violenti" (Mt 11,12) e ancora: "Se vuoi
arrivare alla vita, osserva i comandamenti" (Mt 19,17).
Non basta dunque chiedere il
regno di Dio, se non si volgano a esso l'amore e l'opera; perché gli uomini
devono essere cooperatori e ministri della grazia di Dio nella via per salire
al cielo. Dio non ci verrà mai meno, avendoci promesso di essere sempre con
noi, ma da una cosa ci dobbiamo guardare: dall'abbandonare Dio e noi medesimi.
Infatti, in questo regno della Chiesa sono di Dio tutte le cose con le quali si
conserva la vita umana e si ottiene la salute eterna; lo sono tutte le schiere
degli angeli, che non vediamo, e il tesoro visibile dei sacramenti, così ricco
di virtù celeste. Con tutte queste cose Dio ci ha assicurato un così valido
aiuto, che possiamo non solo scampare dal dominio dei nostri acerrimi nemici,
ma anche umiliare e conculcare il tiranno infernale e i suoi malvagi satelliti.
16 Sintesi della domanda
385 Chiediamo, dunque,
ardentemente allo spirito di Dio che ci comandi di fare ogni cosa secondo la
sua volontà; che abbatta il regno di Satana, sì che questi su di noi non abbia
alcun potere nel giorno estremo; che Cristo vinca e trionfi. Chiediamo che la
sua Legge sia in vigore nel mondo intero e vengano posti in atto i suoi
decreti; che nessuno sia traditore o disertore della sua causa, ma tutti si
dimostrino tali che, senza esitare, possano venire al cospetto di Dio loro re
ed entrare in possesso del regno dei cieli, a loro preparato fin dall'eternità,
dove godranno, beati con Cristo, nella vita eterna.
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