1.1 Sesta domanda
E NON C'INDURRE IN TENTAZIONE
II pericolo di ricadere nel peccato dopo averne
ottenuta la remissione
410 Proprio quando i figli di
Dio hanno ottenuto la remissione dei peccati e, accesi dallo zelo di
consacrarsi al culto e alla venerazione di Dio, desiderano il regno celeste,
tributando alla potenza divina tutti i doveri della devozione, e completamente
dipendono dalla sua volontà e dalla sua provvidenza, non v'è dubbio che proprio
allora più che mai il nemico del genere umano escogiti nuove arti contro di
loro. Egli impiega tutti i mezzi per vincerli, in modo che c'è veramente da
temere che essi, scosso e cambiato il proposito, ricadano ancora nei vizi e
diventino più cattivi di prima. Di essi a buon diritto si può dire la frase del
principe degli Apostoli: "Oh, meglio sarebbe stato per loro non conoscere
la via della giustizia, anziché, conosciutala, rivolgersi indietro dal santo
comandamento loro tramandato" (2 Pt 2,21).
Perciò da Cristo nostro
Signore ci è stata prescritta questa domanda, affinché ogni giorno ci
raccomandiamo a Dio e imploriamo la sua paterna attenzione e il suo appoggio,
certissimi che, perduta la protezione divina, resteremmo impigliati nelle reti
del nostro scaltrissimo nemico. Ne soltanto in questa preghiera ci ha ordinato
di chiedere a Dio che non ci lasci indurre in tentazione, ma anche nel discorso
che tenne davanti agli Apostoli, già vicino alla morte, quando, avendo loro
detto che essi erano puri (Gv 13,10), li ammonì su questo loro dovere:
"Pregate per non cadere in tentazione" (Mt 26,41).
Questo avvertimento, due
volte ripetuto da Cristo Signore, impone grande obbligo di diligenza ai parroci
nell'incitare il popolo fedele all'uso frequente di questa petizione, perché
tutti, fra tanti pericoli preparati a ogni ora dal demonio agli uomini,
chiedano assiduamente a Dio, che solo può scongiurarli: "Non ci indurre in
tentazione".
Il popolo fedele capirà
quanto esso abbia bisogno dell'aiuto di Dio, purché si ricordi della propria
debolezza e ignoranza e ricordi il detto di nostro Signore Gesù Cristo:
"Lo spirito veramente è pronto, ma la carne è debole" (Mt 26,41).
Pensi quanto siano gravi ed esiziali le cadute degli uomini, tentati dal
demonio, se non sono sostenuti dall'aiuto della destra di Dio.
Quale fu esempio della
debolezza umana più clamoroso di quello del sacro coro degli Apostoli i quali,
mentre poco prima erano animati da grande coraggio, al primo spavento fuggono e
abbandonano il Salvatore? Ancora più noto è quello del principe degli Apostoli,
che subito dopo così grande professione di singolare e coraggioso amore per
Cristo Signore, avendo detto poco prima, pieno di fiducia nelle proprie forze:
"Quand'anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò" (Mt 26,35),
preso poi da paura per le parole di una donnicciola, affermò con giuramento di
non conoscere il Signore (ibid. 69). Purtroppo in lui le forze non corrispondevano
a tanto ardore di spirito.
Ora, se gli uomini più santi
peccarono per la debolezza della natura umana nella quale avevano confidato,
che cosa non si dovrà temere per coloro che sono tanto lontani dalla loro
santità?
Perciò i parroci espongano al
popolo le battaglie e i pericoli nei quali continuamente incorriamo, per tutto
il tempo che l'anima si trova in questo corpo mortale: da ogni parte ci
assalgono la carne, il mondo e Satana. Chi è che non abbia sperimentato, a suo
danno, quanto possano in noi l'ira e le passioni? Chi non s'è sentito pungere
dai loro stimoli e non senta i loro aculei? Chi non si sente ardere del loro
fuoco anche se soffocato? E tanto ne sono vari i colpi e così divisi gli
assalti, che molto difficile riesce non ricevere qualche grave ferita. Oltre a
questi nemici che risiedono e vivono in noi, ve ne sono altri acerrimi, dei
quali sta scritto: "Non contro la carne e il sangue abbiamo da combattere,
ma contro i principi e le potenze, contro i rettori di queste tenebre del mondo,
contro gli spiriti maligni dell'aria" (Ef 6,12).
2 Potenza dei demoni
411 Si aggiungono infatti
alle lotte intime gli assalti esterni, gli urti dei demoni che ci assalgono
apertamente, oppure penetrano nell'anima inavvertitamente, sicché a malapena ci
possiamo guardare da essi. E "principi" li chiama l'Apostolo, per
l'eccellenza della loro natura, eccellendo essi per natura sugli uomini e su
tutte le cose create che cadono sotto i sensi; li chiama "potenze",
perché superano gli uomini oltre che per la loro natura, anche per la forza; li
nomina anche "rettori delle tenebre del mondo", poiché essi reggono
non il mondo della luce, cioè i buoni e i pii, ma il mondo oscuro e tenebroso,
ossia quelli che, resi ciechi dalla sordidezza di una vita piena di disordini e
di delitti e dalle tenebre, amano lasciarsi guidare dall'angelo delle tenebre.
Infine l'Apostolo chiama i
demoni "geni del male", poiché c'è il male dello spirito come c'è
quello della carne. La cattiveria, o malizia carnale, attizza il desiderio alla
lussuria e ai piaceri dei sensi. Malizia spirituale, invece, sono i cattivi
desideri, le cupidigie prave che hanno attinenza con la parte superiore
dell'anima: esse riescono tanto più vergognose delle altre, quanto la mente e
la ragione sono più nobili ed alte. E poiché la malizia di Satana mira in modo
speciale a privarci della celeste eredità, l'Apostolo aggiunge:
"nell'aria". Da ciò si può arguire che grandi sono le forze dei
nemici, invitto l'animo, feroce e infinito l'odio loro verso di noi; eternamente
essi ci fanno guerra, sicché nessuna pace può darsi con loro e nessuna tregua.
Quanta audacia abbiano, lo
dice nel Profeta la voce stessa di Satana: "Io salirò al cielo" (Is
14,13). Egli ha assalito i progenitori nel paradiso, aggredito i Profeti,
cercato di afferrare gli Apostoli, per vagliarli come il grano, come dice il
Signore nel Vangelo (Lc 22,31), e non ebbe ritegno nemmeno dinanzi a Cristo
Signore.
La sua insaziabile cupidità e
l'immensa sua ingegnosità sono espresse da san Pietro con le parole: "II
diavolo, vostro avversario, vi gira intorno quale leone ruggente, cercando chi
divorare" (1 Pt 5,8).
Né Satana è solo a tentare
gli uomini, ma a volte i demoni riuniti fanno impeto contro ciascuno di noi,
come confessò il demonio a Cristo Signore, che lo interrogava sul suo nome,
rispondendo: "II mio nome è legione". Era cioè una moltitudine di
demoni che lacerava quel disgraziato. Di un altro troviamo scritto:
"Prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui e rientrano in
lui" (Mt 12,45).
Vi sono molti però che, non
sentendo gli urti e gli assalti dei demoni, credono che tutto ciò non sia vero.
Non fa meraviglia che essi non siano assaliti dai demoni, ai quali si sono dati
da sé: non ci sono in loro la pietà, la carità, nessuna virtù insomma degna di
un cristiano. Ormai si trovano in potere completo del demonio, ne è necessario
che siano assaliti da qualche tentazione, quando già nel loro animo egli ha
preso dimora con il loro consenso. Ma quelli che si sono consacrati a Dio e
sulla terra menano una vita degna di quella celeste, essi più di tutti sono
presi di mira dagli assalti di Satana, che li odia con la massima ferocia e a
essi ogni momento tende insidie.
La storia sacra è piena di
esempi di uomini santi, d'animo risoluto, eppure pervertiti da lui con la violenza
o con l'inganno. Adamo, David, Salomone e altri, che sarebbe difficile
enumerare, hanno sperimentato la violenza degli assalti dei demoni e la loro
scaltrezza, alle quali non si può resistere con il solo accorgimento o le forze
umane. Chi si crederà dunque abbastanza sicuro fidando sulle sole sue forze?
Chiediamo a Dio con devozione e puro sentimento che non ci lasci tentare al
disopra del nostro potere e nella tentazione ci conceda il modo di uscirne con
profitto (1 Cor 10,13).
Però se alcuni fedeli temono,
per debolezza d'animo o per ignoranza, la forza dei demoni, si rassicurino e
s'inducano, quando siano agitati dalle onde della tentazione, a rifugiarsi nel
porto della preghiera. Satana, con tutta la sua potenza e il suo pertinace odio
capitale per il genere umano, non può tentarci o travagliarci, ne quanto ne
fino a quando vorrebbe, perché tutto il suo potere dipende dal volere e dalla
permissione di Dio.
Notissimo è l'esempio di
Giobbe, che Satana mai avrebbe potuto toccare, se Dio non gli avesse detto:
"Ecco, tutto il suo avere è nelle tue mani" (Gb 1,12). Ma se il
Signore non avesse aggiunto: "Soltanto su di lui non stendere la tua
mano" (ibid.), con un solo colpo del diavolo Giobbe, i figli e le sue
ricchezze, tutto sarebbe rovinato. Tanto è legata la forza dei demoni, che essi
non avrebbero potuto invadere neppure quei porci, di cui parlano gli
Evangelisti, senza il permesso di Dio (Mt 8,31; Mc 5,11; Lc 8,32).
3 Che cosa sia la tentazione
412 Per capire il vero
significato di questa domanda, bisogna determinare che cosa sia la tentazione e
che cosa voglia dire essere indotti in tentazione.
Si dice tentare il fare un
esperimento sopra colui che è tentato, in modo che, cavando da lui ciò che
desideriamo, otteniamo la verità; modo di tentare che Dio non usa, perché che
cosa non sa Dio? Tutto, infatti, è nudo e scoperto ai suoi occhi (Eb 4,13). V’è
poi un altro modo di tentare, quando andando più oltre, si cerca di esercitare
qualche cosa in bene o in male: in bene, quando si mette alla prova la virtù di
uno per poterlo poi, esaminata e constatata la sua virtù, elevare con
ricompense e onori e mettere così il suo esempio dinanzi agli occhi degli altri
perché lo imitino, incitando tutti a renderne lode al Signore. È questo l'unico
modo di tentare che convenga a Dio.
Esempio di esso si trova nel
Deuteronomio: "II Signore Iddio vi mette alla prova per chiarire se lo
amiate o no" (13,3). Così si dice che Dio mette in tentazione i suoi
fedeli, quando li preme con miseria, malattie, o altre specie di calamità, per
mettere in luce la loro pazienza e additare agli altri il dovere del cristiano.
In questo modo leggiamo che fu tentato Abramo quando gli fu richiesto di
immolare il figlio ed egli, avendo ubbidito, restò ai posteri modello di
sottomissione e di pazienza singolare (Gn 22,1).
Sempre in quest'ordine di
idee è detto di Tobia: "Poiché eri accetto a Dio, fu necessario che la
tentazione ti mettesse alla prova" (Tb 12,13).
In male, invece, sono tentati
gli uomini, quando vengono spinti al peccato o alla morte; questa è opera del
demonio che tenta gli uomini per traviarli e farli cadere: perciò è detto
"tentatore" nella Sacra Scrittura (Mt 4,3). In queste tentazioni egli
eccita ora gli stimoli interni, servendosi dei sentimenti e dei movimenti dell'animo
come di mezzi; ora, invece, assale dall'esterno, adoperando i beni per
insuperbirci e i mali per abbatterci; a volte ha come emissari e quasi spie
uomini perduti, in prima linea gli eretici che, seduti sulla cattedra di
pestilenza, diffondono i germi mortiferi delle cattive dottrine.
Cosi spingono al male gli
uomini che, essendo già di per sé proclivi al male, sono poi sempre vacillanti
e pronti a cadere, mancando loro il potere di distinguere e di scegliere tra
virtù e vizio.
4 Essere indotti in tentazione significa soccombere alla tentazione
413 Diciamo di essere indotti
in tentazione, quando cediamo alla medesima. Ora noi possiamo esservi indotti
così in due modi: primo, quando, rimossi dal nostro stato, precipitiamo nel
male, verso il quale qualcuno ci ha spinto con il tentarci. Ma nessuno è in
questo modo indotto in tentazione da Dio, perché per nessuno Dio è causa di
peccato, odiando egli tutti quelli che commettono iniquità (Sai 5,7). È quanto
dice san Giacomo: "Nessuno, tentato che sia, dica di essere tentato da
Dio; poiché Dio non è tentatore al male" (1,13); secondo, possiamo essere
tentati nel senso che uno, sebbene non tenti egli stesso ne si adoperi a farci
tentare, tuttavia lo permette, mentre potrebbe impedire sia la tentazione che
il prevalere di essa. Ebbene, Dio lascia che così siano tentati i buoni e i
pii, senza privarli però della sua grazia.
Talvolta anzi, quando i
nostri peccati lo richiedono, con giusta e impenetrabile sentenza, Dio ci
abbandona a noi stessi e noi cadiamo. Si dice anche che ci induce in tentazione
quando ci serviamo dei suoi benefici, che dovevano servire alla nostra
salvezza, per operare il male e consumiamo le sostanze del padre, come il
figlio prodigo, in una vita lussuriosa, secondando le nostre basse passioni (Lc
15,12). Allora possiamo ripetere le parole dell'Apostolo: "Trovai che il
comandamento datomi per la vita mi ha condotto alla morte" (Rm 7,10).
Giunge qui opportuno
l'esempio di Gerusalemme che, come dice Ezechiele, sebbene arricchita da Dio di
ogni genere d'ornamenti, tanto da farle dire per bocca dello stesso Profeta:
"Eri perfetta nella mia dignità, di cui ti avevo rivestito" (Ez
16,14), tuttavia, pur essendo ricolma di doni celesti, fu così lontana dal
ringraziare il beneficentissimo Dio dei beni suddetti e dal servirsi di essi
per conseguire la beatitudine celeste in vista della quale li aveva ricevuti
che, con somma ingratitudine verso Iddio, avendo rigettato ogni speranza e
pensiero dei frutti celesti, si diede perdutamente all'esclusivo godimento dei
beni presenti, come Ezechiele la rimprovera lungamente in quel medesimo
capitolo. Questa è l'ingratitudine di coloro che, pur avendo ottenuto da Dio
abbondante materia per fare del bene, si danno, permettendolo Dio, a una vita
viziosa.
È necessario però badare alle
parole usate dalla Sacra Scrittura per esprimere questa permissione di Dio,
parole le quali, prese nel loro significato proprio, significherebbero
un'azione diretta da parte di Dio medesimo. Così nell'Esodo si legge: "Io
indurirò il cuore del faraone" (Es 4,21; 7,3); in Isaia: "Acceca il
cuore di questo popolo" (Is 6,10) e nella lettera ai Romani l'Apostolo
scrive: "Dio li ha abbandonati alle loro infami passioni, ai loro reprobi
sensi" (Rm 1,26.28). Tutti luoghi questi, e altri simili, nei quali non si
deve credere affatto che l'azione venga da Dio, ma intendere invece che Dio
l'ha permessa.
5 Noi non chiediamo di essere immuni da tentazione
414 Chiarito questo, non
riuscirà difficile conoscere qual è l'oggetto di questa preghiera. Anzitutto,
noi non chiediamo di non essere tentati affatto. Infatti, la vita dell'uomo
sulla terra è tentazione (Gb 7,1). Del resto questa è utile al genere umano,
poiché nella prova noi veniamo a una vera conoscenza di noi stessi e delle
nostre forze, perciò ci umiliamo sotto la potente mano di Dio (1 Pt 5,6) e,
combattendo virilmente, aspettiamo l'incorruttibile corona di gloria (ibid. 4).
Poiché anche il lottatore dello stadio non è incoronato se non ha lottato a
dovere (2 Tm 2,5). San Giacomo afferma: "Beato l'uomo che sopporta la
tentazione, poiché dopo essere stato messo alla prova, riceverà la corona della
vita che Dio ha promesso a quelli che lo amano" (1,12). Che se qualche
volta siamo troppo tormentati dalle tentazioni dei nostri nemici, di grande
sollievo sarà il pensare che nostro difensore è un Sommo Sacerdote, il quale
tutti può compatire, essendo stato tentato lui stesso in ogni cosa (Eb 4,15).
Ma che cosa dunque chiediamo
con queste parole? Chiediamo di non essere privati dell'aiuto divino, così da
acconsentire alla tentazione per inganno, o da cederle per viltà; chiediamo che
la grazia di Dio ci soccorra, sì da rianimare e rinfrancare contro il male le
nostre forze fiaccate. Perciò da una parte dobbiamo sempre implorare il
soccorso di Dio in qualunque tentazione, dall'altra, nei casi singoli di
afflizione, occorre cercar rifugio nella preghiera.
Così leggiamo che fece sempre
David per qualsiasi genere di tentazione. Contro la menzogna egli così pregava:
"Non ritirare affatto dalla mia bocca la parola della verità" (Sal
118,43) e contro l'avarizia: "Inchina il mio cuore ai tuoi insegnamenti e
non ad avarizia" (ibid. 36); contro le vanità della vita e le lusinghe del
desiderio: "Storna il mio sguardo, che non veda la vanità" (ibid.
37). Noi dunque domandiamo di non informare la nostra vita ai bassi desideri,
di non stancarci nel resistere alle tentazioni, di non abbandonare la via del
Signore, di conservare animo eguale e costante nella fortuna favorevole o
avversa e che Dio mai ci lasci privi della sua tutela. Chiediamo quindi che ci
faccia schiacciare Satana sotto i nostri piedi.
6 Necessità della fiducia in Dio
415 Ai parroci rimane ora il
compito di esortare il popolo fedele a meditare le cose che in questa domanda
meritano maggiore attenzione.
Ottimo argomento sarà la grande
infermità dell'uomo, compresa la quale impariamo a diffidare delle nostre
forze, cosicché, riponendo nella misericordia divina ogni nostra speranza di
salvezza, conserveremo forte il nostro animo anche nei più grandi pericoli,
soprattutto se pensiamo a quanti Dio salvò dalle fauci di Satana, per aver
mantenuto questa speranza e fermezza d'animo. Non fu lui a liberare dal massimo
pericolo Giuseppe, alle prese con le brame ardenti d'una donna impudica e a
innalzarlo agli onori? (Gn 39,7). Non fu lui a conservare incolume Susanna,
assediata dai ministri di Satana e già sul punto di venir giustiziata per
nefande accuse? (Dn 13). Ne v'è da meravigliarsi: "II suo cuore infatti
nutriva fiducia in Dio" (ibid. 35). Grande è l'onore e la gloria di Giobbe
che trionfò del mondo, della carne e di Satana. Molti sono gli esempi del
genere, con i quali il parroco può confortare il popolo pio alla speranza e
alla fiducia.
Pensino anche i fedeli quale
capo essi abbiano nelle tentazioni dei nemici: il Signore Gesù Cristo, il quale
in questa lotta ha riportato la vittoria. Egli ha vinto il demonio. Egli è
colui che, affrontando il forte armato fu più forte di lui, lo vinse, ne portò
via tutta l'armatura e ne divise le spoglie (Lc 11,22). Per la sua vittoria,
riportata sul mondo, è detto in san Giovanni: "Abbiate fiducia, io ho
vinto il mondo" (16,33) e nell'Apocalisse è chiamato il leone vincente,
che riuscì vincitore per vincere ancora (5,5; 6,2); in questa sua vittoria si
fonda la capacità da lui data ai suoi fedeli di vincere. La lettera
dell'Apostolo agli Ebrei è piena del racconto di vittorie di uomini santi, i
quali per mezzo della fede vinsero regni, chiusero la bocca ai leoni, ecc. (Eb
11,33).
Da questi grandi fatti che
leggiamo, dobbiamo ben comprendere quali vittorie riportino ogni giorno gli
uomini pieni di fede, di speranza e di carità, nelle lotte contro i demoni,
tanto interne che esterne. Esse sono tante e così insigni, che se tutte
potessero cadere sotto il nostro sguardo, diremmo che nel mondo non ci sono fatti
più frequenti e più gloriosi di esse. Della sconfitta di questi nostri nemici
dice san Giovanni: "Scrivo per voi, giovani, perché siete forti e la
parola di Dio rimane in voi e avete vinto il maligno" (1 Gv 2,14).
Si vince dunque Satana, non
con l'ozio, con il sonno, con il vino, o con le gozzoviglie e la libidine, ma
con la preghiera, il lavoro, le veglie, l'astinenza, la continenza e la
castità. Sta scritto: "Vegliate e pregate, per non cadere in
tentazione" (Mt 26,41). Coloro che queste armi adoperano in tale battaglia
volgono in fuga gli avversari e il diavolo fugge da coloro che gli resistono
(Gc 4,7).
Nelle vittorie ricordate dei
santi, nessuno tuttavia s'insuperbisca tanto da confidare di poter con le sole
sue forze sostenere le tentazioni e gli assalti dei demoni; non sta in noi il
potere di vincere; non sta nella fragilità umana, ma ciò è proprio soltanto
della potenza di Dio. Le forze con le quali atterriamo i satelliti di Satana ci
sono date da Dio che fa delle nostre braccia come un arco di bronzo (Sal
17,35); per il suo beneficio l'arco dei forti è spezzato e i deboli si cingono
di forza (1 Sam 2,4); egli protegge la nostra salvezza (Sal 17,36) e la sua
destra ci sostiene (Sal 62,9); ammaestra le nostre mani alla battaglia, le dita
nostre alla guerra (Sal 143,1).
A Dio soltanto si devono
rendere grazie, poiché solo per suo impulso e per il suo appoggio possiamo
vincere, come fece l'Apostolo là dove dice: "Grazie a Dio, che ha dato a
noi la vittoria, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo" (1 Cor 15,57).
E la celeste voce dell'Apocalisse proclama lui solo autore della vittoria:
"È compiuta la salvezza, la virtù, il regno del nostro Dio e il potere di
Cristo, poiché è stato precipitato l'accusatore dei nostri fratelli ed essi
l'hanno vinto con il sangue dell'Agnello" (12,10.11).
Lo stesso libro attesta la
vittoria di Cristo sul mondo e sulla carne là dove dice: "Essi
combatteranno contro l'Agnello e l'Agnello li vincerà" (Ap 17,14). Ciò
basti sulla causa e sul modo di vincere.
7 Premi della vittoria
416 Esposta tutta questa
dottrina, i parroci parleranno al popolo fedele delle corone preparate da Dio e
della grandezza eterna dei premi destinati ai vincitori, attingendone le
testimonianze dall'Apocalisse: "II vincitore non sarà colpito dalla seconda
morte" (2,11). "Il vincitore sarà vestito di bianche vesti e non
cancellerò il suo nome dal libro della vita; dirò il suo nome davanti al Padre
mio e davanti ai suoi angeli" (3,5). Poco più avanti Dio stesso nostro
Signore così dice a Giovanni: "II vincitore lo farò colonna del tempio del
mio Dio e non ne uscirà mai più" (Ap 3,12). E ancora: "II vincitore
lo farò sedere con me nel mio trono, come anch'io ho vinto e mi son seduto con
il Padre mio nel suo trono" (Ap 3,21). Avendo infine esposto la gloria dei
santi e gli eterni beni di cui godono in cielo, aggiunge: "Chi sarà
vittorioso erediterà questi beni" (Ap 21,7).
7.1 Settima domanda
MA LIBERACI DAL MALE
Questa domanda è il compendio delle altre
417 Questa richiesta,
l'ultima con la quale il Figlio di Dio ha posto fine alla sua divina Preghiera,
comprende tutte le altre. Per dimostrarne il valore e l'efficacia egli si servì
di questa formula quando, in procinto di morire, invocò da Dio Padre la
salvezza degli uomini: "Ti prego che tu li guardi dal male" (Gv
17,15). Con questa preghiera, dunque, che ci ingiunse di fare e confermò con
l'esempio, egli quasi ha compendiato in breve sommario il valore e lo spirito
delle domande precedenti. Una volta ottenuto ciò che si domanda in essa,
secondo san Cipriano, "Nulla rimane da domandare; chiesta e impetrata
contro il male la protezione di Dio, stiamo senza timore e in perfetta
sicurezza contro tutti i mezzi che il demonio o il mondo mettono in opera"
(De dom. Orat., 27). Perciò essendo
essa così importante, come abbiamo detto, il parroco nello spiegarla ai fedeli
usi grande diligenza.
Differisce questa domanda
dalla precedente, perché con la prima chiediamo di poter evitare la colpa, con
questa invece di essere liberati dalla pena; ragion per cui non sarà necessario
dimostrare ai fedeli quanto essi vengano travagliati nelle avversità e nelle
disgrazie e come abbiano bisogno dell'aiuto del cielo, poiché nessuno c'è che
non abbia capito per sua o altrui esperienza a quanti e a quanto grandi mali
sia esposta la vita umana. Inoltre, gli autori sacri e i profani hanno
largamente trattato questo argomento; tutti ne sono convinti dall'esempio
tramandateci della pazienza di Giobbe: "L'uomo nato di donna, vivendo poco
tempo, è pieno di travagli. Quasi fiore, si innalza ed è calpestato; è come
l'ombra che fugge e mai sosta nel suo stato" (Gb 14,1). Non passa giorno
che non s'avverta un nuovo dolore o un nuovo incomodo; lo attesta la stessa
parola di Cristo Signore: "A ciascun giorno basta la sua pena" (Mt
6,34). Anzi questa condizione della vita umana è implicita in quel monito del
Signore che ci dichiara la necessità di prendere ogni giorno la croce e di
seguirlo (Lc 9.23).
Come dunque ognuno sente
quanto sia penosa e pericolosa questa vita, così sarà facile persuadere il
popolo fedele della necessità di implorare da Dio la liberazione dai mali;
tanto più che da nulla sono così spinti gli uomini alla preghiera, come dal
desiderio e dalla speranza di essere liberati dai malanni che soffrono o che li
minacciano.
Infatti è disposizione innata
dell'anima umana di cercare subito rifugio nell'aiuto in Dio nella disgrazia.
Perciò sta scritto: "Copri la loro faccia di ignominia e cercheranno il
nome tuo, Signore" (Sal 82,17).
8 Modo giusto di chiedere
418 Ma se gli uomini
spontaneamente invocano Dio nei pericoli e nelle disgrazie, quelli alla cui
fede e saggezza è affidata la salute comune hanno il compito di istruirli sul
modo di pregare ordinatamente. Non mancano, infatti, quelli che pregano
seguendo un ordine tutto a rovescio di quello stabilito da nostro Signore Gesù
Cristo. Chi ci ha ordinato di rifugiarci in lui nei giorni della sventura (Sal
49,15), nello stesso tempo ha prescritto l'ordine della Preghiera e volle che
noi, prima di pregarlo di liberarci dal male, chiediamo che sia santificato il
nome di Dio, che venga il suo regno e domandiamo poi tutte quelle cose, per le
quali, come per gradi, si arriva a questa.
Qualcuno invece, per un dolor
di testa, al fianco o al piede, oppure per rovesci di fortuna, minacce o
pericoli preparati dal nemico, oppure nella fame, in guerra, nella pestilenza,
omette tutti quei gradi intermedi della preghiera e chiede soltanto di essere
sottratto a quei mali.
Questo però è contro il
precetto di Cristo: "Cercate in primo luogo il regno di Dio" (Mt
6,33). Pertanto coloro che pregano ordinatamente, quando domandano
l'allontanamento delle calamità, delle sofferenze, dei mali, tutto riferiscono
alla gloria di Dio.
Così David alla preghiera:
"O Signore, non giudicarmi nella tua collera" aggiunge un pensiero
con il quale mostra il suo zelo per la gloria di Dio: "Non v'è chi nella
morte si possa ricordare di te e chi ti esalterà sottoterra?" (Sal 6,2.6).
Pregando Iddio di usargli misericordia, soggiunge: "Insegnerò ai cattivi i
tuoi sentieri e gli empi si convertiranno a te" (Sal 50,3.15).
Così i fedeli ascoltatori
vengano incitati non solo a pregare in quest'ordine salutare e a seguire
l'esempio del Profeta, ma siano anche istruiti sulla grande differenza tra le
preghiere del cristiano e quelle degli infedeli. Questi pure chiedono con
calore a Dio di guarire dalle malattie e dalle ferite e di sottrarsi ai mali
che li sovrastano, ma ripongono la principale speranza della liberazione nei
rimedi preparati dalla natura o dalle mani dell'uomo; anzi, prendono la medicina
da chiunque, anche se è preparata con incantesimi, venefici, o con il soccorso
dei demoni. E lo fanno senza scrupolo, purché venga loro data qualche speranza
di salute.
Ben diverso da questo è il
modo di fare dei cristiani, i quali nelle malattie e nelle avversità ricercano
in Dio il supremo rifugio, la difesa della loro salute, riconoscendo e
venerando lui solo autore d'ogni bene e loro liberatore. Essi stimano che
certamente da Dio proviene alle medicine la virtù risanatrice, ma che esse
riescono salutari ai malati solo in quanto Dio lo vuole. Infatti da Dio è data
agli uomini qualsiasi medicina che li sani. Si legge nel Siracide: "L'Altissimo ha creato dalla terra le medicine e il
saggio non le
disdegnerà" (Sir 38,4).
Pertanto quelli che hanno
dato a Gesù Cristo il loro nome, non ripongono in quei rimedi la suprema
speranza di guarire dalla malattia, ma confidano grandemente nell'autore stesso
delle medicine. Giustamente nelle Sacre Scritture sono ripresi quelli che,
fiduciosi nell'efficacia della medicina, non chiedono a Dio nessun aiuto (2 Cr
16,12; Ger 46,11). Invece quelli che vivono conformandosi in tutto alla Legge
divina, si astengono da quei rimedi che non risultino ordinati da Dio alla
guarigione (Lv 20,6; 1 Sam 28,7). Anche se a loro sia manifesta la probabile
guarigione proveniente dall'uso di quei rimedi, tuttavia li aborriscono, come
malie e arti magiche del demonio.
Bisogna dunque esortare i
fedeli a riporre la loro fiducia in Dio, poiché il nostro beneficentissimo
Genitore ha ordinato di chiedere a lui la liberazione dai mali, perché appunto
in questo stesso ordine che ci ha dato, troviamo una ragione per sperare di
essere esauditi. Molti sono gli esempi di questa verità nella Sacra Scrittura,
perché anche coloro che non vengono indotti a bene sperare da queste ragioni,
lo siano almeno dal loro numero.
Ricchissime prove del
soccorso divino ci s'affacciano alla memoria: Abramo, Giacobbe, Lot, Giuseppe,
David; e sono tanti nelle Sacre Scritture del Nuovo Testamento quelli strappati
ai più grandi pericoli dalla virtù di questa devota preghiera, da essere
inutile il ricordarli. Basterà questo detto del Profeta, per rassicurare anche
il più debole: "I giusti hanno gridato e il Signore li ha esauditi e li ha
liberati da ogni tribolazione" (Sal 33,18).
9 Che genere di liberazione dobbiamo chiedere
419 Perché i fedeli capiscano
il valore e lo spirito di questa domanda, si spieghi loro che non preghiamo di
essere liberati da tutti i mali, poiché ci sono cose credute generalmente mali
che invece sono utili a chi le patisce, come quello stimolo inflitto
all'Apostolo, affinché potesse rendere più perfetta, con l'aiuto di Dio, la sua
virtù nella debolezza (2 Cor 12,7.9). Se l'efficacia di queste cose viene
conosciuta, i giusti le accoglieranno con sommo piacere, piuttosto che chiedere
di esserne liberati. Perciò noi qui deprechiamo soltanto quei mali che non
possono arrecare all'anima nessun vantaggio, non già gli altri, se deve
derivarne qualche frutto salutare.
Questa preghiera, dunque,
intende chiedere che, come noi siamo stati liberati dal peccato e dal pericolo
della tentazione, lo siamo anche dai mali interni ed esterni; che siamo immuni
dall'acqua, dal fuoco, dalle folgori; che la grandine non rechi danno alle
messi, né ci angustino la carestia, le sedizioni, le guerre. Chiediamo inoltre
a Dio che tenga lontane da noi le malattie, la peste, il saccheggio, le catene,
il carcere, l'esilio, i tradimenti, gli agguati e ci eviti tutti gli altri
mali, per i quali specialmente la vita umana suole svolgersi nel terrore e
nell'affanno, ed elimini le cause di atti disonorevoli e di delitti.
Ne solo invochiamo che siano
lontani da noi quelli che sono mah per consenso generale, ma domandiamo anche
che quelle cose che quasi da tutti sono ritenute come beni, quali le ricchezze,
gli onori, la salute, la forza, la vita stessa, non siano volte al male e alla
morte dell'anima nostra. Preghiamo anche Dio di non esser vittime di morte
improvvisa, di non provocare su di noi la sua collera, di non incorrere nei
supplizi che sovrastano gli empi, di non essere avvolti nel fuoco del
Purgatorio, dal quale invochiamo devotamente e piamente che gli altri pure
siano liberati. Insomma la Chiesa interpreta, tanto nella Messa quanto nelle
Litanie, questa Preghiera, nel senso che da noi vengano tenuti lontani i mali
passati, presenti e futuri.
La bontà di Dio ci libera dal
male non in un solo modo, ma trattiene le tante sventure che ci sovrastano,
come leggiamo aver salvato il grande Giacobbe dai nemici che l'uccisione dei
Sichimiti aveva eccitati contro di lui. E scritto infatti: "II terrore di
Dio invase tutte le città d'intorno e non osarono inseguire quelli che si
ritiravano" (Gn 35,5).
Così tutti quelli che in
cielo regnano con Cristo Signore sono stati liberati da ogni male per opera di
Dio e se egli non vuole che noi, viventi ancora in questo pellegrinaggio, siamo
sciolti da qualunque affanno, ci sottrae però a non pochi di essi, quantunque
siano quasi una liberazione dai mali le consolazioni che Dio da a volte ai
colpiti dalla sventura. Di queste si consolava il Profeta dicendo:
"Secondo la moltitudine dei miei dolori nel mio cuore, le tue consolazioni
hanno allietato l'anima mia" (Sal 93,19). Dio inoltre libera gli uomini
dal male quando, versando essi in grandissimo pericolo, li conserva integri e
incolumi, come accadde a quei fanciulli gettati nella fornace ardente e a
Daniele: questi non fu affatto toccato dai leoni (Dn 6,22) né quelli dalle
fiamme (Dn 3,21).
10 Il male dal quale chiediamo di essere liberati è specialmente il demonio
420 Malvagio in modo speciale
è il demonio, secondo san Basilio Magno, san Giovanni Crisostomo e
sant'Agostino, perché istigatore della colpa degli uomini, cioè del delitto e
del peccato. Dio si serve anche di lui come di suo ministro per far scontare le
pene agli scellerati e facinorosi; poiché da Dio vengono agli uomini tutti i
mali che soffrono a causa dei loro peccati. In questo senso si esprimono le
Sacre Scritture: "Potrà esserci nella città un male che Dio non abbia
mandato?" (Am 3,6).
"Io sono il Signore, io
non un altro, che formo la luce e creo le tenebre, faccio la pace e creo il
male" (Is 45,6.7). Ma il demonio è chiamato "cattivo" anche per
questo: sebbene noi non gli abbiamo fatto alcun male, tuttavia ci fa perpetua
guerra e ci perseguita senza tregua con odio mortale. Che se egli non può
nuocere a noi, muniti come siamo di fede e d'innocenza, tuttavia mai pone fine
alle sue tentazioni con mali esterni e con qualunque altro mezzo nocivo; perciò
preghiamo Dio di liberarci dal male.
Diciamo dal male, non dai
mali, perché appunto quei mali che ci vengono dal prossimo li attribuiamo al
demonio come al vero autore e incitatore di essi. Perciò non dobbiamo andare in
collera contro il prossimo, ma rivolgere tutto l'odio e l'ira contro Satana,
dal quale gli uomini sono spinti a offenderci. Se pertanto il prossimo ti
offenderà in qualsiasi modo, nelle tue preghiere a Dio Padre chiedigli che non
solo ti liberi dal male, ossia dalle offese che il prossimo ti avrà fatte, ma
anche che strappi questo tuo stesso prossimo dalle mani del demonio, per la cui
istigazione gli uomini sono indotti al male.
11 Come sopportare i mali
421 Si deve poi notare che se
noi in seguito a preghiere e a voti non siamo liberati dal male, abbiamo il
dovere di sopportarlo con pazienza, certi di renderci graditi a Dio
tollerandolo. È male quindi sdegnarci o dolerci che Dio non esaudisca le nostre
preghiere; tutto si deve attribuire alla sua volontà, pensando che sia utile e
salutare solo ciò che a Dio piace, non quello che a noi sembra bene.
Si devono infine esortare i
buoni fedeli a rassegnarsi alla necessità di sopportare, nel breve corso della
vita terrena, le contrarietà o le sventure di qualsiasi genere con animo non
solo sereno, ma lieto: "Poiché tutti quelli che vogliono santamente vivere
in Gesù Cristo soffriranno persecuzione" (2 Tm 3,12). Ancora la Scrittura
afferma: "Per via di molte tribolazioni dobbiamo arrivare al regno di
Dio" (At 15,21).
"Non doveva forse il
Cristo patire tali cose e cosi entrare nella sua gloria?" (Lc 24,26). Sarebbe
ingiusto che il servo fosse più favorito del padrone, come è vergognoso,
secondo san Bernardo, che vi siano membra delicate sotto un capo coronato di
spine (Sermo de omn. sanct., 5, 9).
Insigne esempio, raccomandato all'imitazione, è quello di Uria che, alle
esortazioni di David di restare in casa, disse: "L'arca di Dio e Giuda e
Israele abitano sotto le tende e io entrerò nella mia casa? " (2 Sam
11,11).
Se con tali pensieri e
meditazioni noi andiamo a pregare, otterremo che, sebbene cinti da ogni parte
di minacce e attorniati di mali, resteremo inviolati come i tre fanciulli
rimasti intatti nel fuoco e certamente potremo sopportare con energia e
costanza le avversità, come i Maccabei. Nelle offese e nei travagli imitiamo i
santi Apostoli che, anche fustigati con verghe, si rallegravano di essere stati
fatti degni di soffrire oltraggi per Gesù Cristo. Così disposti, potremo
cantare con grande letizia dell'animo: "I principi mi hanno perseguitato
senza ragione, ma solo le tue parole ispirano timore al mio cuore. Io mi
rallegrerò delle tue parole, come colui che ha trovato grandi tesori" (Sal
118,161).
Conclusione della Preghiera domenicale
11.1 AMEN
12
13 Grande importanza di una devota chiusura della Preghiera
422 La parola Amen
giustamente è detta da san Girolamo nei suoi Commentari il sigillo della Preghiera domenicale (Comm. in Evang. Matthei, 1, 6, 13),
perciò, avendo prima insegnato ai fedeli la preparazione che si deve fare prima
di incominciare la preghiera, così pensiamo di dover illustrare la ragione e il
significato di questa conclusione finale dell'Orazione stessa; essendo non meno
necessario terminare bene la preghiera a Dio di quello che sia il cominciarla
con diligenza.
Sappia dunque il popolo
fedele che molti e sostanziosi sono i frutti che possiamo ricavare dalla fine
della Preghiera domenicale, ma il frutto più ricco e più piacevole è pur sempre
l'ottenere quello che abbiamo chiesto e di cui abbastanza si è detto qui sopra.
Con questa ultima parte
dell'Orazione non solo otteniamo l'esaudimento delle nostre preghiere, ma altri
beni grandi e belli che appena è possibile spiegare a parole. Quando nella
preghiera gli uomini parlano con Dio, dice san Cipriano (De dom. Orat; 31), avviene in un modo quasi inesplicabile che la
maestà divina sia molto più vicina a chi prega che agli altri e l'adorna di
doni singolari, in modo che quelli che pregano Dio con devozione si possono
paragonare a quelli che si avvicinano al fuoco; se hanno freddo, si riscaldano,
se sono caldi, ardono. Così quelli che si avvicinano a Dio ne vengono più
infervorati secondo la loro fede e devozione, il loro animo è infiammato alla
gloria di Dio, lo spirito s'illumina mirabilmente e sono ricolmati di doni
divini.
Questo ci è stato svelato
dalla Sacra Scrittura: "L'hai prevenuto con le benedizioni della
grazia" (Sai 20,4). Di esempio a tutti è il grande Mosè che, partitesi da
Dio dopo aver avuto un colloquio con lui, brillava così di luce divina che gli
Israeliti non potevano guardare i suoi occhi e la sua faccia (Es 34,35). Senza dubbio
coloro che pregano con veemente ardore godono mirabilmente della misericordia e
della maestà divina: "Fin dalla mattina mi fermerò a guardarti, poiché tu
non sei un Dio che vuole l'iniquità" (Sal 5,5), ha detto il Profeta.
Quanto più gli uomini conoscono queste cose, con tanto maggior ardore e più
profonda devozione lo venerano; con gran piacere sentono quanto Iddio sia soave
e come veramente siano beati quelli che sperano in lui (Sal 33,9); circonfusi
da quella splendente luce, vedono bene la loro piccolezza e tutta la maestà di
Dio. Ecco infatti l'assioma di sant'Agostino: "Che io conosca te e conosca
me" (Solil., 2, 1). Avviene
quindi che, non fidando più nelle proprie forze, tutti si affidino alla bontà
divina, non dubitando affatto che egli, abbracciandoli tutti nella sua paterna
carità, provvederà abbondantemente quanto è necessario alla loro vita e salute.
Così renderanno a Dio le più pure grazie del loro animo e quante ne possano
esprimere le labbra, come leggiamo aver fatto David che, avendo incominciato la
preghiera con le parole: "Salvami da tutti quelli che mi
perseguitano", termina esclamando: "Glorificherò il Signore secondo
la sua giustizia e canterò le lodi del suo nome sublime" (Sal 7,2.18).
Sono innumerevoli le
preghiere di questo genere fatte dai santi, che, cominciando con espressioni di
grande timore, terminano poi piene di buona speranza e di letizia. Hanno un
meraviglioso splendore in questo senso quelle dello stesso David il quale,
avendo così cominciato a pregare con l'animo pieno di paura: "Molti si
levano contro di me; molti dicono all'anima mia: "Non v'è salute per lui
nel suo Dio"", rassicurato poi e compenetrato di gaudio, aggiunge:
"Non temerò le migliaia di uomini che mi circondano" (Sal 3,2.3.7). In
un altro salmo piange la sua miseria, ma, gettando subito tutta la sua fiducia
in Dio, s'allieta in modo incredibile nella speranza di eterna felicità:
"Io dormirò in pace e in pace mi riposerò" (Sal 4,9). E quando
esclamava: "Signore, non mi castigare nella tua collera, non mi castigare
nella tua ira", con quanto terrore e pallore di volto lo doveva dire!
Invece, con grande fiducia e letizia d'animo prorompe nelle parole che seguono:
"State lontani da me, voi tutti che operate l'iniquità; poiché Dio ha
esaudito la voce del mio pianto" (Sal 6,2.9). Temendo l'ira e il furore di
Saul, con quanta dimessa umiltà implorava l'aiuto di Dio! "Dio, nel tuo
nome salvami; giudicami nella tua virtù"; tuttavia, lieto e fidente,
soggiunge nello stesso salmo: "Ecco, Dio mi aiuta, il Signore è l'appoggio
dell'anima mia" (Sal 53,3.6).
Perciò chi va alla preghiera
munito di fede e di speranza, si presenti a Dio come al padre, non dubitando di
ottenere ciò che gli è necessario.
14 Con la parola "Amen" si esprime il desiderio che la preghiera venga esaudita
423 Nella parola
"Amen", ultima della preghiera, si trovano molte cose, quasi seme dei
pensieri e delle riflessioni da noi esposti. Così spesso ricorreva sulle labbra
del Salvatore questa parola ebraica, che piacque allo Spirito Santo di conservarla
nella Chiesa di Dio. A essa si da in sostanza questo significato: "Sappi
che le tue preghiere sono esaudite". Ha infatti valore e significato, come
di una risposta di Dio, che licenzia con buona grazia colui che, con la
preghiera, ha impetrato ciò che voleva. Tale significato è stato riconosciuto
sempre dalla consuetudine della Chiesa di Dio, la quale, nel sacrificio della
Messa, quando si recita la Preghiera domenicale, non attribuì l'incarico di
dire "Amen" ai ministri inferiori ai quali tocca di dire:
"Liberaci dal male", ma lo riservò allo stesso sacerdote, il quale,
come interprete tra Dio e gli uomini, risponde al popolo che Dio è placato.
Però questo rito non è
generale per tutte le preghiere, poiché nelle altre sono i ministri che
rispondono "Amen", ma è caratteristico della Preghiera domenicale.
Infatti nelle altre si esprime un consenso o un desiderio; in questa, invece,
la risposta che Dio ha acconsentito al desiderio del fedele che lo ha pregato.
15 Significato della parola
424 Da molti è interpretata
variamente la parola "Amen". I Settanta la tradussero: "così
sia"; altri: "veramente"; Aquila lo traduce:
"fedelmente". Ma poco importa che si traduca in questo o in quel
modo, purché intendiamo con essa ciò che dicemmo. E il sacerdote che ci
assicura esserci concesso l'oggetto della domanda e questo significato è
accettato dall'Apostolo nella sua lettera ai Corinzi: "In realtà tutte le
promesse di Dio in lui sono divenute sì. Per questo, sempre attraverso lui,
sale a Dio il nostro "Amen" per la sua gloria" (2 Cor 1,20). Si
appropria al nostro caso questa parola che racchiude la conferma delle nostre
richieste; essa fa stare attenti quelli che pregano, poiché spesso avviene che
gli uomini, distratti durante la preghiera da vari pensieri, passino ad altro.
Con questa parola anzi chiediamo con grande sollecitudine che avvengano, cioè
che siano concesse, le cose domandate, o meglio, pensando di aver già ottenuto
tutto e sentendo in noi presente la forza dell'aiuto divino, cantiamo con il
Profeta: "Ecco Dio mi aiuta; Dio è l'appoggio dell'anima mia" (Sai
53,6). Non è infatti da dubitare che Dio non si lasci commuovere dal nome del
Figlio suo e da quella parola di cui egli si serviva così spesso; poiché
sempre, come dice l'Apostolo, "Lo ha esaudito per la sua riverenza".
"Suo è il regno, suo è
il potere e l'impero nei secoli dei secoli" (1 Pt 4,11).
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