Parte Prima - fede e il suo simbolo - : Dall'articolo 6 all'articolo 9



Articolo 6
SALÌ AL CIELO, SIEDE ALLA DESTRA DI DIO PADRE ONNIPOTENTE

Significato dell'articolo
81 II Profeta David, contemplando ripieno dello spirito di Dio la beata e gloriosa ascensione del Signore, esorta tutti a celebrare con grande letizia e gaudio un tale trionfo, con queste parole: "Popoli tutti, battete le mani, giubilate a Dio con canto di trionfo: è asceso Iddio in mezzo al tripudio" (Sal 46,2.6). Intenderà da ciò il parroco il dovere di spiegare con il massimo impegno questo mistero e di curare con diligenza che i fedeli non solo lo apprendano con la fede dell'intelletto, ma si sforzino con l'aiuto di Dio di esprimerlo nelle opere della vita. Quanto alla spiegazione di questo sesto articolo, in cui principalmente si tratta di questo divino mistero, è bene cominciare dalla prima parte ed enuclearne il significato.

1                    Cristo è asceso in cielo per sua virtù come Dio e come uomo

82 ASCESE AL CIELO. I fedeli devono fermamente credere che Cristo, compiuto il mistero della nostra redenzione, ascese al cielo, in corpo e anima come uomo, mentre, in quanto Dio, non ne fu mai assente, poiché riempie ogni luogo della sua divinità. Il parroco insegnerà come egli ascese per virtù propria, non elevato per forza altrui, come Elia che fu tratto in cielo da un carro di fuoco (2 Re 2,11), o il Profeta Abacuc (Dn 14,35), o il  diacono Filippo (At 8,39) che, portati nell'aria per divina virtù, trasvolarono notevoli distanze. E lo fece per virtù propria non solo come Dio, per l'onnipotente virtù della sua divinità, ma anche come uomo. Poiché sebbene tale cosa non potesse compiersi con le forze naturali, pure la virtù, di cui era dotata l'anima beata di Cristo, potè muovere il corpo come le piacque; e questo, che già era glorificato, potè facilmente ubbidire all'impero dell'anima che lo muoveva. Questa è la ragione per cui crediamo che Cristo, come Dio e come uomo, è asceso al cielo per sua virtù.

2                    Che significa "sedere alla destra del Padre"

83 SIEDE ALLA DESTRA DEL PADRE. Queste parole si trovano nella seconda parte dell'articolo e sarà opportuno far notare che abbiamo qui una metafora, frequente nella Sacra Scrittura per cui, indulgendo alla struttura del nostro intelletto, attribuiamo a Dio affetti e membra umane, mentre, essendo puro spirito, non si può concepire in lui nulla di corporeo. Ora, poiché tra gli uomini stimiamo che si debba tributare maggior onore a chi sta alla destra, noi applichiamo la stessa idea alle cose celesti e, per spiegare la gloria che Cristo come uomo si è guadagnata sopra tutti gli uomini, diciamo che siede alla destra del Padre. Ma qui sedere non significa il luogo o la posizione del corpo, ma il fermo e stabile possesso di quella suprema e regale potestà e gloria che ha ricevuto dal Padre. Dice l'Apostolo: "Risuscitandolo da morte e collocandolo alla sua destra nei cieli, al di sopra di ogni principato, potestà, virtù, dominazione e sopra qualunque nome, che sia pronunziato non solo in questo secolo ma anche nel futuro, tutto pose sotto i piedi di lui" (Ef 1,20-22).
Appare da queste parole che questa gloria è così propria e peculiare di Cristo che non può convenire a nessun'altra natura creata, come il medesimo Apostolo attesta in altro luogo: "A quale degli angeli disse egli mai: "Siedi alla mia destra"?" (Eb 1,13).

3                    Tutti i misteri della vita di Cristo si riferiscono all'Ascensione

84 II parroco spiegherà più a lungo il senso dell'articolo, narrando la storia dell'ascensione, che l'Evangelista san Luca ha con ordine mirabile descritto negli Atti degli Apostoli (1,2-12). E qui occorrerà soprattutto osservare che tutti gli altri misteri si riferiscono all'ascensione e in essa trovano la perfezione e il compimento. Infatti come l'incarnazione del Signore è l'inizio di tutti i misteri della nostra religione, così l'ascensione chiude la sua peregrinazione quaggiù. Di più, gli altri articoli del Simbolo che si riferiscono a Cristo nostro Signore mostrano la sua immensa bontà e abbassamento, nulla potendosi pensare di più deprimente e umiliante di questo: che il Figlio di Dio abbia assunto la natura e debolezza umana e abbia voluto patire e morire per noi. Confessando invece nell'articolo precedente che egli è risorto da morte e, in questo, che è asceso al cielo e siede alla destra del Padre, non possiamo affermare nulla di più grandioso e ammirabile per descrivere la sua gloria eccelsa e la sua divina maestà.

4                    Cause dell'Ascensione

85 Bisognerà spiegare con cura per qual motivo Cristo nostro Signore è asceso al cielo. Anzitutto perché al suo corpo, ornato nella risurrezione dalla gloria dell'immortalità, conveniva non già il soggiorno di questa oscura abitazione terrena, ma l'altissimo e splendido domicilio del cielo. E ciò non solo per insediarsi nel soglio regale di gloria, acquistato con il sangue, ma anche per curare la nostra salvezza. Secondo, per mostrar di fatto che il suo regno non è di questo mondo (Gv 18,36). I regni del mondo sono terreni e labili; si basano sulla copia delle ricchezze e la potenza del braccio; invece il regno di Cristo non è terreno, quale se l'aspettavano i Giudei, ma spirituale ed eterno. Cristo stesso ha mostrato che sono spirituali i suoi beni e tesori, collocando in cielo la sua sede, dove sono da stimarsi più ricchi e più forniti di beni quelli che con più diligenza cercano le cose di Dio. San Giacomo infatti attesta che Dio ha eletto i poveri in questo mondo, per farli ricchi di fede ed eredi del regno promesso da Dio a coloro che lo amano (Gc 2,5). Terzo, perché con lo spirito e con il desiderio lo seguissimo nella sua ascensione. Come infatti con la sua morte e risurrezione ci aveva lasciato un modello di morte e risurrezione spirituale, così con l'ascensione ci insegna a levarci con il pensiero nel cielo, pur restando sulla terra, confessando che noi siamo quaggiù ospiti e pellegrini in cerca della patria (Eb 11,13), ma già concittadini dei santi e familiari di Dio (Ef 2,19); giacché, come dice ancora il medesimo Apostolo: "La nostra patria è nei cieli" (Fil 3,20).

5                    Benefici dell'Ascensione

86 II Profeta David molto tempo prima, secondo l'Apostolo, aveva cantato l'efficacia e la grandezza dei beni ineffabili che la benignità di Dio ha effuso in noi: "Asceso in alto, ne menò schiava la schiavitù; distribuì doni agli uomini" (Sal 67,19; Ef 4,8). Il decimo giorno infatti (dopo l'ascensione) mandò lo Spirito Santo, la cui feconda virtù riempì tutta la moltitudine presente di fedeli, attuando la magnifica promessa: "È meglio per voi che io me ne vada; perché se io non vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando sarò andato, ve lo manderò" (Gv 16,7). Ascese al cielo, secondo il detto dell'Apostolo, anche per comparire dinanzi a Dio a nostro vantaggio e fungere da nostro avvocato presso il Padre (Eb 9,24). "Figlioli miei" dice san Giovanni "scrivo a voi queste cose affinché non pecchiate; ma se alcuno avrà peccato, abbiamo un avvocato presso il Padre: Gesù Cristo, il giusto; egli è propiziazione per i nostri peccati" (1 Gv 2,1). Ne v'è certo fonte alcuna, da cui i fedeli abbiano ad attingere maggiore letizia e giocondità di animo, quanto dal saper costituito patrono della nostra causa e intercessore della nostra salvezza nostro Signore Gesù Cristo, che gode presso l'eterno Padre di somma grazia e autorità.
Finalmente Cristo ci ha preparato nel cielo un posto, come aveva promesso (Gv 14,2) e, a nome di noi tutti, egli, come capo, è venuto in possesso della gloria celeste. Entrando nel cielo ci ha aperto le porte che il peccato di Adamo aveva chiuse e ci ha spianato la via per arrivare alla beatitudine celeste, come aveva predetto ai discepoli nell'ultima cena. Appunto per mostrarlo apertamente con il fatto, introdusse con sé nella casa della beatitudine eterna le anime dei buoni, che aveva strappate dagli inferi.
A questa mirabile copia di doni celesti è seguita una salutare serie di vantaggi. Anzitutto si è molto accresciuto il merito della nostra fede. Infatti la fede si riferisce alle cose invisibili e remote dalla ragione e dall'intelligenza dell'uomo. Ora se il Signore non si fosse allontanato da noi, il merito della nostra fede rimarrebbe diminuito, poiché Cristo stesso chiama beati quelli che non hanno veduto e hanno creduto (Gv 20,29).
Secondo, l'ascensione di Cristo al cielo è adattissima a confermare nei nostri cuori la speranza, poiché come professiamo che Cristo uomo è asceso al cielo e ha collocato la natura umana alla destra del Padre, così vivamente speriamo di ascendere colà anche noi sue membra, per ricongiungerci con il nostro Capo. Il Signore medesimo lo ha attestato con le parole: "Padre, io voglio che quelli i quali mi hai dato siano essi pure con me, dove sono io" (Gv 17,24).
Terzo notevolissimo beneficio da noi conseguito si è l'aver rapito verso il cielo il nostro amore, infiammandoci di ardore divino. E stato detto con somma verità che il nostro cuore è là dov'è il nostro tesoro (Mt 6,21). Certo, se Cristo nostro Signore dimorasse qui in terra, tutta la nostra mente sarebbe intenta nella visione e nella familiarità di lui uomo; lo ammireremmo solo come l'uomo che ci ha tanto beneficato e lo ameremmo di un amore terreno. Invece salendo al cielo egli ha reso spirituale il nostro amore e ha fatto sì che veneriamo e amiamo come Dio colui che ora pensiamo assente. Ciò s'intende meglio, sia con l'esempio degli Apostoli che, finché il Signore fu presente, sembravano giudicarlo con criteri umani; sia con la parola stessa del Signore che disse: "È meglio per voi che me ne vada". Infatti l'amore imperfetto con cui amavano Cristo presente doveva perfezionarsi con l'amore divino mediante la discesa dello Spirito Santo; perciò aggiunse subito: "Se io non vado, non verrà a voi il Consolatore" (Gv 16,7).
Quarto, dopo l'ascensione il Signore ha ampliato la sua dimora terrena, cioè la Chiesa, che è governata sotto la virtù e la guida dello Spirito Santo. A essa lasciò, come Pastore universale tra gli uomini e come supremo gerarca, Pietro, principe degli Apostoli; altri costituì Apostoli, altri Profeti, Evangelisti, Pastori e Dottori (Ef 4,11). Sedendo ora alla destra del Padre, distribuisce sempre a questi e a quelli doni diversi; perché, attesta l'Apostolo, a ciascuno di noi è data la grazia secondo la misura del dono di Cristo (Ef 4,7).
Da ultimo, quel che abbiamo insegnato sopra sul mistero della morte e risurrezione devono i fedeli pensarlo anche dell'ascensione. Perché sebbene noi dobbiamo la nostra salute e redenzione alla passione di Cristo, che con i suoi meriti ha aperto ai giusti la via dal cielo, tuttavia la sua ascensione non ci è proposta solo come un modello, che ci insegna a guardare in alto e ad ascendere in cielo con lo spirito, ma ci ha pure procacciato la forza divina per farlo.

Articolo 7
DI LÀ HA DA VENIRE A GIUDICARE I VIVI E I MORTI

Significato dell'articolo
87 Tre sono gli insigni compiti di nostro Signore Gesù Cristo, diretti ad abbellire e illustrare la sua Chiesa: egli è redentore, patrono e giudice. Abbiamo veduto negli articoli precedenti come egli abbia con la sua passione e morte redento il genere umano e con l'ascensione in cielo abbia preso a patrocinare la nostra causa in perpetuo. Resta ora da considerarlo come giudice in questo articolo, il quale significa che Cristo nostro Signore nell'ultimo giorno giudicherà tutto il genere umano.

6                    La duplice venuta di Cristo

88 La Sacra Scrittura menziona due venute del Figlio di Dio: l'una, quando assunse l'umana natura per la nostra salvezza, facendosi uomo nel seno della Vergine; l'altra, quando alla fine dei secoli, verrà a giudicare tutti gli uomini. Questa seconda venuta nella Scrittura è chiamata "giorno del Signore". Di essa l'Apostolo dice: "II dì del Signore verrà come il ladro notturno" (1 Ts 5,2); e il Salvatore stesso: "Quanto poi a quel giorno e quell'ora, nessuno lo sa" (Mt 24,36).
Per la realtà del supremo giudizio basti quel passo dell'Apostolo: "È necessario per tutti noi comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno ne riporti quel che è dovuto al corpo, secondo che ha fatto il bene o il male" (2 Cor 5,10). La Sacra Scrittura è piena di passi, che i parroci incontreranno a ogni pagina, assai opportuni non solo a confermare detta verità, ma anche a metterla sotto gli occhi dei fedeli. Osserveranno che come dal principio del mondo fu sempre nel massimo desiderio di tutti il giorno in cui il Signore rivestì l'umana carne e riposero in esso la speranza della liberazione, così, dopo la morte e ascensione del Figlio di Dio, dobbiamo desiderare ardentemente quel secondo giorno del Signore, aspettando quella beata speranza e l'apparizione della gloria del grande Dio (Tt 2,13).

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8                    Il duplice giudizio: "particolare" e "generale"

89 Per amor di chiarezza i parroci distingueranno bene le due epoche, nelle quali ciascuno deve comparire innanzi al Signore per rendere ragione di tutti e singoli i pensieri, le opere, le parole e sentire poi l'immediata sentenza del giudice. La prima viene quando muore ciascuno di noi: subito l'anima si presenta al tribunale di Dio, ove si fa giustissimo esame di quanto ha operato, detto o pensato e questo si chiama "giudizio particolare". La seconda verrà quando tutti gli uomini saranno riuniti insieme in un giorno e in un luogo stabilito innanzi al tribunale del Giudice, affinché tutti e singoli, spettatori e ascoltatori, gli uomini di tutti i secoli sappiano la propria sentenza. Il verdetto non sarà, per gli empi e scellerati, la minore delle pene, mentre i pii e i giusti ne trarranno grande premio e frutto, poiché sarà manifesto come ciascuno si è diportato in questa vita. E questo si chiama il "giudizio universale".

9                    Necessità del giudizio universale

90 E necessario spiegare perché, oltre al giudizio privato dei singoli, si farà anche quello universale. Primo, avviene spesso che sopravvivano ai defunti dei figlioli, imitatori dei genitori, o dei discepoli, fedeli nell'amarne e propugnarne gli esempi, le parole e le azioni; il che necessariamente fa aumentare il premio o la pena dei defunti medesimi. Ora, poiché tale vantaggio o danno di valore sociale, non cesserà prima della fine del mondo, è giusto che di tutta questa partita di parole e di opere fatte bene o male, si faccia una completa disamina, impossibile a farsi senza il giudizio universale. Secondo, poiché la fama dei buoni è spesso lesa, mentre gli empi vengono esaltati come innocenti, la giustizia di Dio vuole che i primi ricuperino innanzi all'assemblea di tutti gli uomini la stima, ingiustamente loro tolta. Terzo, poiché gli uomini, buoni o cattivi, hanno compiuto nella vita le loro azioni con il loro corpo, ne segue che le azioni buone o cattive spettino anche ai corpi, che ne furono lo strumento. E giusto dunque dare ai corpi, insieme con le rispettive anime, il dovuto premio di eterna gloria o il castigo: ciò che non si può fare senza la risurrezione degli uomini e il giudizio universale.
Quarto, bisognava mostrare finalmente che nei casi prosperi o avversi, i quali capitano talora promiscuamente agli uomini buoni e cattivi, nulla avviene fuori della infinita sapienza e giustizia di Dio. Quindi è necessario non solo stabilire premi per i buoni e castighi per i cattivi nella vita futura, ma anche applicarli in un giudizio pubblico e generale, affinché riescano più notori ed evidenti e così si lodi da tutti Dio per la sua giustizia e provvidenza, in compenso dell'ingiusto lamento che persone anche sante talora fanno come uomini, vedendo gli empi pieni di ricchezza e colmi di onori.
Il Profeta infatti dice: "Mancò poco non vacillassero i miei piedi; mancò un nulla non sdrucciolassero i miei passi, quando mi adirai per i prepotenti, nel vedere la prosperità degli empi". E poco più oltre: "Ecco come gli empi sono tranquilli e crescono sempre in potenza! Io dunque indarno purificai il mio cuore e ho lavato nell'innocenza le mie mani! Ed eccomi tutto il giorno battuto e ogni mattina mi si rinnova il tormento" (Sal 72,2.3, 12-14). E questo il lamento di molti. Era necessario pertanto che si indicesse un giudizio universale, affinché gli uomini non dicessero che Dio, passeggiando sulla volta del cielo, non si cura delle cose terrene (Gb 22,14).
A buon diritto quindi questa formula di verità fu inclusa nei dodici articoli della fede cristiana, affinché gli animi di coloro che dubitano della provvidenza e giustizia di Dio vengano sostenuti dall'efficacia di questa dottrina.
Quinto, bisognava che la prospettiva di questo giudizio rallegrasse i buoni e atterrisse i cattivi, affinché, conoscendo la giustizia di Dio, quelli non si scoraggino e questi rinsaviscano nel timore e nell'attesa dell'eterno supplizio. Perciò il Signore e Salvatore nostro, parlando dell'ultimo giorno, dichiarò che vi sarebbe stato un giudizio universale e ne descrisse i segni precursori (Mt 24,29s), affinché vedendoli apparire intendessimo essere imminente la fine del mondo. Quindi, salito al cielo, mandò degli angeli a consolare gli Apostoli piangenti per la sua assenza, con queste parole: "Quel Gesù che è stato assunto qui da voi al cielo, verrà precisamente nella stessa maniera in cui lo avete visto andare al cielo" (A( 1,11).

10                Cristo è stato costituito giudice anche come uomo

91 La Sacra Scrittura mostra che a Cristo nostro Signore non solo come Dio, ma anche come uomo, è stato affidato questo giudizio. Infatti sebbene la potestà di giudicare sia comune a tutte le tre Persone della santissima Trinità, pure la si attribuisce particolarmente al Figlio, così come gli si attribuisce la sapienza. Che poi, come uomo debba giudicare il mondo, è confermato dalla parola del Signore: "Come il Padre ha la vita in sé, così diede pure al Figlio l'avere in se stesso la vita. E gli ha dato il potere di fare il giudizio, perché è Figlio d'uomo" (Gv 5,26).
Era poi oltremodo conveniente che tale giudizio fosse presieduto da Cristo nostro Signore; perché, trattandosi di giudicare gli uomini, questi potessero con i loro occhi corporei mirare il Giudice, ascoltare con le proprie orecchie la sentenza proferita, percepire insomma con i sensi tutto intero il giudizio. Era ancora giustissimo che l'Uomo che fu condannato dalla più iniqua sentenza umana, fosse visto da tutti sul seggio di giudice. Perciò il principe degli Apostoli, dopo avere esposto, nella casa di Cornelio, per sommi capi la religione cristiana, e aver insegnato che Cristo, appeso e ucciso sulla croce dai giudei, era risorto a vita il terzo giorno, soggiunse: "Ci ha comandato di predicare al popolo e attestare come da Dio egli è stato costituito giudice dei vivi e dei morti" (At 10,42).

11                Segni che precederanno il giudizio

92 Sono tre i segni principali che, secondo le Sacre Scritture, precederanno il giudizio: la predicazione del Vangelo per l'universo mondo, l'apostasia e l'Anticristo. Dice infatti il Signore: "S'annunzierà questo Vangelo del regno in tutta la terra, per testimonianza a tutte le nazioni; e allora verrà la fine" (Mt 24,14); e l'Apostolo ci ammonisce di non farci sedurre circa l'imminenza del giorno del Signore: "Se prima non sia seguita la ribellione e non si sia manifestato l'uomo del peccato, non avverrà il giudizio" (2 Ts 2,3).

12                Premio dei buoni

93 Quanto alla forma e alla natura del giudizio, il parroco potrà agevolmente conoscerla, sia dalle profezie di Daniele (Dn 7,9ss), sia dall'insegnamento dei Vangeli (Mt 24, 25; Mc 13) e dell'Apostolo (Rm 2). Ma qui si dovrà con grande diligenza meditare la sentenza del Giudice. Cristo Salvatore nostro, guardando con lieto volto i giusti collocati alla sua destra, pronuncerà la loro sentenza con somma benignità: "Venite, benedetti dal Padre mio, possedete il regno preparato a voi fin dalla fondazione del mondo" (Mt 25,34). Non ci sono parole più gioconde di queste: e ben lo intenderà chi le porrà a paragone con la condanna degli empi. Con esse gli uomini giusti e pii sono chiamati dalle fatiche al riposo, da questa valle di lacrime al sommo gaudio, dalle miserie alla beatitudine sempiterna, meritata con le opere di carità.

13                Condanna degli empi

94 Rivolto poi a quelli che staranno alla sua sinistra, fulminerà contro di essi la sua giustizia con queste parole: "Via da me, maledetti, al fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli" (Mt 25,41 ). Con le prime, "Via da me", viene espressa la maggiore delle pene che colpirà gli empi, con l'essere cacciati il più possibile lungi dal cospetto di Dio, ne li potrà consolare la speranza che un giorno potranno fruire di tanto bene. Questa è dai teologi chiamata "pena del danno", per la quale gli empi saranno privati per sempre, nell'inferno, della luce della visione divina. L'altra parola, "maledetti", aumenterà sensibilmente la loro miseria e calamità. Se mentre son cacciati dalla presenza di Dio fossero stimati degni almeno di qualche benedizione, questo tornerebbe a grande loro sollievo; ma poiché nulla di simile potranno aspettarsi, che allevi la loro disgrazia, la divina giustizia, cacciandoli giustamente, li colpisce con ogni sua maledizione.
Seguono poi le parole: "al fuoco eterno"; è il secondo genere di pena che i teologi chiamano "pena del senso", perché si percepisce con i sensi del corpo, come avviene dei flagelli, delle battiture o di altro più grave supplizio, tra i quali non è a dubitare che il tormento del fuoco provochi il più acuto dolore sensibile. Aggiungendo a tanto male la durata perpetua, se ne deduce che la pena dei dannati rappresenta il colmo di tutti i supplizi. Ciò è meglio spiegato dalle parole che terminano la sentenza: "preparato per il diavolo e per i suoi angeli". Siccome la nostra natura è tale che noi più facilmente sopportiamo le nostre molestie, se abbiamo come socio delle nostre disgrazie qualcuno, la cui prudenza e gentilezza ci possano in qualche modo giovare, quale non sarà la miseria dei dannati, cui non sarà mai concesso, in tanti tormenti, separarsi dalla compagnia dei perdutissimi demoni. Tale sentenza giustamente il Signore e Salvatore nostro emanerà contro gli empi, perché questi hanno trascurato tutte le opere di vera pietà: non hanno offerto cibo all'affamato e bevanda all'assetato; non hanno alloggiato l'ospite, vestito l'ignudo, visitato l'infermo e il carcerato.

14                Conviene parlare spesso del giudizio

95 Tutto questo i pastori devono frequentemente inculcare al popolo fedele, perché la verità di questo articolo, concepita con viva fede, ha un'efficacia immensa a frenare le prave cupidigie dell'animo e allontanare gli uomini dal peccato. Perciò nel Siracide è detto: "In tutte le tue opere ricordati della tua fine e non cadrai mai nel peccato" (Sir 7,40). È ben difficile infatti che uno sia così proclive al peccato, da non sentirsi richiamato al dovere dal pensiero che un giorno dovrà rendere ragione innanzi al giustissimo Giudice non solo delle opere e delle parole, ma anche dei pensieri più occulti, e pagare la pena dei suoi demeriti. Mentre il giusto verrà sempre più spronato a praticare la virtù e proverà letizia grande, anche in mezzo alla povertà, all'infamia e ai dolori, pensando a quel giorno nel quale, dopo le lotte di questa vita d'angosce, sarà dichiarato vincitore davanti a tutti gli uomini e, entrato nella patria celeste, vi riceverà onori divini ed eterni. Quel che importa, dunque, è di esortare i fedeli ad abbracciare un santo tenore di vita ed esercitarsi in ogni pratica di pietà, onde possano con maggior sicurezza d'animo aspettare il grande giorno del Signore, anzi, desiderarlo con sommo ardore, come si conviene ai figli di Dio.

15                Articolo 8

CREDO NELLO SPIRITO SANTO

Significato dell'articolo
96 Sono state fin qui esposti, per il nostro programma, gli articoli relativi alla prima e alla seconda Persona della santissima Trinità; restano ora da spiegare quelli che si riferiscono alla terza Persona, cioè allo Spirito Santo. Nel chiarire questa parte, i parroci dovranno impiegare tutto il loro zelo e la loro diligenza, non essendo lecito al cristiano ignorare o fraintendere questo articolo al pari di quelli precedenti. Perciò l'Apostolo non permise che alcuni cristiani di Efeso ignorassero la Persona dello Spirito Santo. Avendoli interrogati se avessero ricevuto lo Spirito Santo e avendo essi risposto di non saper nemmeno se esistesse lo Spirito Santo, egli soggiunse subito: "Con quale battesimo dunque siete stati battezzati?" (At 19,1.2). Con queste parole volle significare che è necessarissima ai fedeli la conoscenza ben particolare di questo articolo. Da esso, come frutto principale, riceveranno la convinzione che, a ben riflettere, devono ascrivere tutto quanto hanno, a dono e beneficio dello Spirito Santo. Ciò li farà sentire più modestamente e umilmente di sé e li inciterà a porre ogni loro speranza nell'aiuto di Dio. Questo appunto deve essere il primo gradino del cristiano verso la somma sapienza e felicità.

16                Significato proprio del termine "Spirito Santo"

97 Si comincerà a spiegare l'articolo partendo dal valore e significato che assume qui la parola "Spirito Santo". Essa si applica ugualmente bene al Padre e al Figliolo, poiché ciascuno dei due è spirito ed è santo; infatti noi crediamo che Dio è spirito. Inoltre designa anche gli angeli e le anime dei buoni; bisogna quindi badare che il popolo non sia indotto in errore dall'ambiguità del vocabolo. Dovrà pertanto insegnarsi in questo articolo che con il nome di "Spirito Santo" s'intende la terza Persona della santissima Trinità; senso che s'incontra nella Sacra Scrittura del Vecchio e più frequentemente del Nuovo Testamento. David infatti implora: "Non mi levare il tuo Santo Spirito" (Sal 50,13). Nel Libro della Sapienza si legge: "Chi ha conosciuto la tua volontà, se tu non gli hai dato la sapienza e non gli hai inviato dal cielo il tuo Spirito Santo?" (Sap 9,17). E altrove: "II Signore ha creato la sapienza nello Spirito Santo" (Sir 1,9).
Nel Nuovo Testamento si legge che dobbiamo esser battezzati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo (Mt 28,19); che la santissima Vergine ha concepito per virtù di Spirito Santo (Mt 1,20; Le 1,35) e che san Giovanni ci rinvia a Gesù Cristo, perché ci battezzi nello Spirito Santo (Gv 1,33). Così si dica di molti altri testi.

17                Perché la terza Persona della santissima Trinità manca di nome proprio

98 Nessuno si meravigli che la terza Persona non abbia, come la prima e la seconda, un nome proprio. La seconda Persona ha un nome proprio e si chiama Figlio, in quanto il suo eterno procedere dal Padre si chiama propriamente "generazione", come è stato spiegato negli articoli antecedenti. Come, dunque, quel procedere viene chiamato generazione, così la Persona procedente vien detta propriamente Figlio e quella da cui procede, Padre. Ora, non essendo stato dato un nome proprio alla emanazione della terza Persona, chiamata genericamente "spirazione" e "processione", ne segue che anche la Persona prodotta manchi di nome proprio. Non lo ha, perché noi siamo costretti ad attingere i nomi, che attribuiamo a Dio, dalle cose create e come tra queste non troviamo altro modo di comunicare la natura e l'essenza all'infuori della virtù generativa, ne segue che non possiamo esprimere con vocabolo proprio la maniera con la quale Dio comunica tutto se stesso per forza di amore. Perciò la terza Persona è stata chiamata con il nome generico di Spirito Santo: nome che le conviene a perfezione, perché egli infonde in noi la vita spirituale e senza il soffio della sua santissima ispirazione non possiamo far nulla che sia degno della vita eterna.

18                Lo Spirito Santo è uguale in tutto al Padre e al Figliolo

99 Spiegato il senso del vocabolo, s'insegnerà anzitutto al popolo che lo Spirito Santo è Dio, come il Padre e il Figliolo, uguale a essi, com'essi onnipotente ed eterno, infinitamente perfetto, buono e sapiente, identico in natura al Padre e al Figlio. Tutto questo è bene espresso dalla preposizione "in", dicendo: "Credo nello Spirito Santo". Essa è stata preposta a tutte le singole Persone della santissima Trinità, appunto per esprimere la forza della nostra fede. Ed è anche confermato da aperte testimonianze della Scrittura. San Pietro, negli Atti degli Apostoli, dopo aver detto: "Anania, come mai Satana tentò il cuor tuo da mentire allo Spirito Santo?", soggiunse: "Non hai mentito a uomini, ma a Dio" (At 5,3). Egli cioè chiama Dio colui che poco prima aveva chiamato Spirito Santo.
Inoltre san Paolo spiega ai Corinzi che il Dio di cui aveva parlato era lo Spirito Santo: "Vi sono distinzioni di operazioni, ma è lo stesso Dio colui che opera in tutti tutte le cose"; e più oltre: "Ma tutte queste cose le opera quell'uno identico Spirito, il quale distribuisce a ciascuno secondo il suo beneplacito" (1 Cor 12,6.11). E negli Atti attribuisce allo Spirito Santo quello che i Profeti ascrivono unicamente a Dio. Isaia infatti aveva scritto: "Ho udito la voce del Signore che diceva: "Chi manderò?"... E mi disse: "Va' a questo popolo e di' loro:... Aggrava il cuore di questo popolo, indura le sue orecchie, chiudi i suoi occhi di guisa che non veda con gli occhi e non oda con le orecchie" (Is 6,8). E l'Apostolo, citando queste parole, osserva: "Lo Spirito Santo ha ben parlato per mezzo del Profeta Isaia" (At 28,25).
Di più, la Scrittura congiungendo la Persona dello Spirito Santo con il Padre e con il Figlio, per esempio là dove ordina di adoperare nel Battesimo il nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo, toglie ogni motivo di dubbio circa la verità di questo mistero; perché se il Padre è Dio e il Figlio è Dio, è forza confessare che anche lo Spirito Santo, congiunto a essi da pari grado di onore, sia Dio. Inoltre chi si battezza in nome di qualsiasi creatura non può trame alcun frutto. "Forse siete stati battezzati nel nome di Paolo?" (1 Cor 1,13), domanda l'Apostolo per mostrare che questo non gioverebbe alla loro salute. Venendo dunque battezzati nel nome dello Spirito Santo, bisogna ammettere che egli è Dio.
Questo medesimo ordine delle tre divine Persone, con il quale si prova la divinità dello Spirito Santo, si ritrova sia nella prima lettera di Giovanni: "Tre sono che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo; e questi tre sono una cosa sola" (1 Gv 5,7), sia nella celebre dossologia trinitaria, con cui si concludono le laudi e i salmi: "Gloria al Padre, al Figliolo e allo Spirito Santo".
Da ultimo, a preziosa conferma di questa verità, tutte quelle cose che crediamo essere proprie di Dio, per attestazione della Sacra Scrittura, convengono allo Spirito Santo. A lui viene attribuito l'onore dei templi, dicendo l'Apostolo: "Non sapete che le vostre membra sono tempio dello Spirito Santo?" (1 Cor 6,19); a lui vengono attribuite la santificazione (2 Ts 2,12) e la vivificazione (Gv 6,64; 2 Cor 3,6), lo scrutare i misteri di Dio (1 Cor 2,10), il parlare per bocca dei Profeti (2 Pt 1,21), l'esser dappertutto (Sap 1,7): cose che si possono attribuire solo alla divinità.

19                Lo Spirito Santo è Persona distinta dal Padre e dal Figlio

100 Bisogna ancora spiegare accuratamente ai fedeli che lo Spirito Santo è Dio nel senso che costituisce una terza Persona nella natura divina, distinta dal Padre e dal Figlio e prodotta per via di volontà. Tralasciando gli altri testi scritturali, la forma del Battesimo insegnataci dal Salvatore chiaramente mostra che lo Spirito Santo è una terza Persona, per sé sussistente nella natura divina e distinta dalle altre (Mt 28,19). Anche le parole dell'Apostolo sono chiare in proposito: "La grazia del nostro Signore Gesù Cristo, la carità di Dio e la partecipazione dello Spirito siano con tutti voi. Così sia" (2 Cor 13,13).
Il medesimo è mostrato molto più apertamente dall'aggiunta che i Padri del primo Concilio di Costantinopoli fecero a questo punto, per confutare l'empio errore di Macedonio: "[Credo] nello Spirito Santo, che è signore ed è vivificatore; e procede dal Padre e dal Figlio; che è adorato e glorificato insieme con il Padre e con il Figlio; che parlò per mezzo dei Profeti". Chiamando lo Spirito Santo "signore", i Padri fanno rilevare quanto sia superiore agli angeli. Essi furono, sì, creati da Dio spiriti nobilissimi; ma, come attesta san Paolo, sono tutti spiriti amministratori, mandati in ministero per coloro che acquisteranno l'eredità della salute (Eb 1,14). Lo dicono poi "vivificante", perché l'anima ha più vita nell'unirsi a Dio che il corpo, il quale si alimenti e sostenga per l'unione con l'anima. E poiché la Sacra Scrittura attribuisce allo Spirito Santo questa unione dell'anima con Dio, giustamente lo Spirito Santo viene detto vivificante.

20                La processione dello Spirito Santo

101 Circa le parole "Che procede dal Padre e dal Figlio" si deve insegnare ai fedeli che lo Spirito Santo procede dal Padre e dal Figlio come da un unico principio, per via di eterna processione. Tanto ci è proposto a credere dalla regola ecclesiastica, da cui non è lecito al cristiano dipartirsi, ed è confermato dall'autorità della Scrittura e dei concili. Infatti Cristo nostro Signore, parlando dello Spirito Santo, disse: "Egli mi glorificherà perché riceverà del mio" (Gv 16,14). Il medesimo si ricava dal fatto che nella Sacra Scrittura lo Spirito Santo è talora detto "Spirito di Cristo", talora "Spirito del Padre"; ora è detto "mandato dal Padre", ora "dal Figlio", per significare con chiarezza che procede ugualmente e dal Padre e dal Figlio.
"Se uno non ha lo Spirito di Cristo" disse san Paolo "questi non è di lui" (Rm 8,9); e scrivendo ai Galati: "Ha mandato Dio lo Spirito del Figlio suo nei vostri cuori, il quale grida: "Abbà, Padre" (Gal 4,6). San Matteo lo chiama Spirito del Padre: "Non siete voi che parlate, ma lo Spirito del Padre vostro" (Mt 10,20); e il Signore nella Cena dice: "II Consolatore che io vi manderò, lo Spirito di verità che procede dal Padre, egli attesterà di me" (Gv 15,26). E altrove così afferma che lo Spirito Santo deve esser mandato dal Padre: "II Padre lo manderà nel nome mio" (Gv 14,26). Siccome tutte queste espressioni dobbiamo intenderle della processione dello Spirito Santo, ne segue che questi procede dal Padre e dal Figlio. Tale è l'insegnamento da impartire, intorno alla Persona dello Spirito Santo.

21                Doni ed effetti dello Spirito Santo

102 Bisognerà inoltre insegnare che vi sono alcuni effetti mirabili e doni grandissimi dello Spirito Santo, che diciamo scaturiti ed emanati da lui, come da fonte inesauribile di bontà. Sebbene le opere esterne della santissima Trinità siano comuni a tutte le tre Persone, pure molte di esse si attribuiscono in particolare allo Spirito Santo, per farci intendere che esse provengono dall'amore immenso di Dio verso di noi. Infatti, poiché lo Spirito Santo procede dalla divina volontà quasi infiammata d'amore, si capisce che gli effetti attribuiti come propri allo Spirito Santo derivano dall'amore immenso di Dio verso di noi. Ne segue che lo Spirito Santo è detto "dono", significandosi con questa parola ciò che si dona benignamente e gratuitamente, senza speranza di ricompensa. Perciò tutti i doni e benefici conferitici da Dio - "E che cosa abbiamo noi", come dice l'Apostolo, "che non l'abbiamo ricevuto da Dio?" (1 Cor 4,7) - dobbiamo riconoscerli con animo pio e grato come elargiti per concessione e grazia dello Spirito Santo.
Molteplici poi sono i suoi effetti. Omettendo la creazione del mondo, la propagazione e il governo delle cose create, di cui abbiamo parlato nel primo articolo, abbiamo mostrato or ora che si attribuisce in modo proprio allo Spirito Santo il dare la vita, come conferma il passo d'Ezechiele: "Vi darò lo Spirito e vivrete" (Ez 37,6). Ma è il Profeta Isaia (11,2) che enumera gli effetti principali e più propri dello Spirito Santo: spirito di sapienza e d'intelletto, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di scienza e di pietà, spirito di timor di Dio, i quali tutti si chiamano "doni dello Spirito Santo" e talora semplicemente "Spirito Santo".
Perciò sagacemente sant'Agostino (De Trinit., 15,19) ci avverte di badare quando nella Sacra Scrittura occorre la parola "Spirito Santo", per assicurarci se si tratti della terza Persona della santissima Trinità, oppure dei suoi effetti e operazioni. Le due cose sono differenti tra loro, come il creatore differisce dalle creature. E con tanto maggior diligenza si dovrà sviluppare questo argomento, in quanto appunto da questi doni dello Spirito attingiamo i precetti della vita cristiana e possiamo giudicare se lo Spirito Santo sia veramente in noi.
Tra tutti i suoi munifici doni è da esaltare quella grazia che ci fa giusti e ci suggella con il promesso Spirito Santo, pegno della nostra eredità (Ef 1,13). Essa unisce la nostra mente a Dio con il vincolo strettissimo dell'amore, perciò avviene che, accesi da ardente desiderio di pietà, iniziamo una nuova vita (2 Pt 1,4) e fatti partecipi della natura divina, ci diciamo e siamo in realtà figlioli di Dio (1 Gv 3,1).

Articolo 9
CREDO LA SANTA CHIESA CATTOLICA, LA COMUNIONE DEI SANTI

Senso dell'articolo
103 Facilmente s'intenderà la diligenza che i parroci devono mettere nello spiegare ai fedeli la verità di questo nono articolo, considerando principalmente due cose: anzitutto che i Profeti, come nota sant'Agostino (In Psalmos, 30, 2 e 8), hanno più chiaramente e apertamente parlato della Chiesa che di nostro Signore Gesù Cristo prevedendo che molti più potevano errare ed esser ingannati su questo punto che sul mistero dell'incarnazione. Infatti non sarebbero mancati uomini empi, i quali, a somiglianza della scimmia che si finge uomo, avrebbero dichiarato di esser essi soli cattolici, affermando, con non minore empietà che superbia, che la Chiesa cattolica si trova solo presso di loro. Qualora si abbia bene impressa nell'animo questa verità, facilmente si potrà evitare il terribile scoglio dell'eresia. Poiché non si deve chiamare subito eretico uno che abbia peccato contro la fede, ma se, disprezzata l'autorità della Chiesa, difende pertinacemente le sue empie opinioni. E poiché non può macchiarsi di eresia se presterà fede a quanto in questo articolo gli vien proposto di credere, adoperino ogni cura i pastori affinché i fedeli, premuniti, grazie alla cognizione di questo articolo, contro le arti del nemico, perseverino nella verità. Questo articolo dipende dal precedente: ivi infatti abbiamo dimostrato che lo Spirito Santo è fonte munifica di ogni santità; qui professiamo che Egli ha donato la santità alla Chiesa.

22                Significato generico del termine "chiesa"

104 II termine "chiesa" viene dal greco ed è stato dai latini applicato alla religione dopo la divulgazione del Vangelo; importa quindi conoscerne il significato. Chiesa significa "convocazione"; ma gli scrittori hanno poi usato il vocabolo nel senso di "assemblea" o "riunione", senza badare se vi si adorasse il vero Dio o le false divinità. Leggiamo invero negli Atti, a proposito degli Efesini, che un funzionario, quietata la folla, disse: "Se poi chiedete qualche cosa d'altro, si risolverà in una chiesa [adunanza] legittima" (At 19,39). E si trattava del popolo efesino, votato al culto di Diana. E non soltanto i popoli che non conoscono Dio, ma anche le congreghe di uomini empi sono a volte chiamate chiesa: "Io ho in odio" dice David "la chiesa [compagnia] dei malvagi e non mi metto a sedere accanto agli empi" (Sal 25,5).

23                Significato speciale del termine "chiesa"

105 L'uso ordinario della Sacra Scrittura volse poi questa parola a significare soltanto la "società cristiana" e le "assemblee dei fedeli", di coloro cioè che per mezzo della fede sono chiamati alla luce della verità e alla cognizione di Dio, per adorare lui, vivo e vero, con pia e santa mente, e servirlo di tutto cuore. La Chiesa dunque, per dir tutto con una frase di sant'Agostino, è il popolo fedele sparso per l'universo intero (In Psalmos, 149, 2 e 10).
Grandi misteri sono compresi in questo vocabolo. Nel senso di "convocazione" infatti vi rifulgono la benignità e lo splendore della grazia divina e si rileva la differenza grande che corre tra la Chiesa e le altre pubbliche società. Queste si basano sulla ragione e la prudenza umana; quella è fondata sulla sapienza e il consiglio di Dio. Egli ci ha chiamato internamente con il soffio dello Spirito Santo, che schiude il cuore degli uomini, ed esternamente con l'opera e il ministero dei pastori e dei predicatori. Quale sia il fine a noi proposto da questa chiamata, cioè la cognizione e il possesso dei beni eterni, s'intenderà bene da chi noterà la ragione per cui in antico il popolo fedele, posto sotto la Legge, si chiamava "sinagoga" o "congrega". Codesto nome gli fu imposto, secondo sant'Agostino, perché a modo di gregge, cui si addice esser congregato, era rivolto solo ai beni terreni e caduchi. Ma il popolo cristiano giustamente è detto Chiesa e non sinagoga, perché, disprezzate le cose terrene e mortali, aspira solo a quelle celesti ed eterne.

24                Altri nomi della Chiesa

106 Vi sono molti altri nomi, pieni di significato, che servono a designare la società cristiana. L'Apostolo la chiama "casa" e "edificio di Dio": "Qualora io tardassi, sappi come comportarti nella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e fondamento della verità" (1 Tm 3,15).
La Chiesa vien detta "casa" in quanto è come una famiglia retta da un solo capo, in cui v'è comunione di tutti i beni spirituali. È anche chiamata "gregge delle pecorelle" di Cristo, di cui Cristo è porta e pastore (Gv 10,1.2).
E’ detta anche "sposa di Cristo". Così l'Apostolo ai Corinzi: "Vi ho sposati per presentarvi, qual pura vergine, a un sol uomo, a Cristo" (2 Cor 11,2); e agli Efesini: "Uomini, amate le vostre mogli, come Cristo amò la Chiesa"; e più sotto, parlando del matrimonio: "Questo sacramento è grande; lo dico in rapporto a Cristo e alla Chiesa" (Ef 5,25.32). Infine la Chiesa è detta anche "corpo di Cristo", nelle lettere a quelli di Efeso (1,23) e di Colossi (1,24). Il che deve validamente stimolare i fedeli a mostrarsi degni dell'immensa clemenza e bontà di Dio, che li ha eletti a essere suo popolo.

25                La Chiesa militante e quella trionfante

107 Dopo questo, è necessario enumerare le singole parti della Chiesa e far rilevare le reciproche differenze, affinché il popolo intenda meglio la natura, le proprietà, i doni e le grazie della Chiesa a Dio diletta e mai cessi di lodare il suo nome santissimo.
Due sono le parti principali della Chiesa: la "trionfante" e la "militante". La prima è l'assemblea illustre e felice degli spiriti beati e di coloro che hanno trionfato del mondo, della carne e del perfido demonio. Liberi e sicuri dalle molestie di questa vita, essi godono la beatitudine eterna. La seconda è l'insieme di tutti i fedeli che ancora vivono sulla terra. Si chiama militante, perché i suoi mèmbri devono sempre combattere con quei terribili nemici che sono il mondo, la carne e il demonio. Ma non si deve per questo ritenere che siano due chiese; bensì, come abbiamo detto, due parti della medesima Chiesa, una delle quali ha preceduto ed è già in possesso della patria celeste; l'altra segue sulla terra fino al giorno in cui, ricongiunta al Salvatore, si riposerà nella felicità eterna.

26                Chi è compreso nella Chiesa

108 Nella Chiesa militante vi sono due specie di uomini: i buoni e i cattivi. I cattivi partecipano dei medesimi sacramenti e professano la stessa fede dei buoni, ma ne differiscono per la vita e i costumi. Buoni sono quelli i quali sono congiunti e stretti tra loro non solo dalla professione della fede e dalla comunione dei sacramenti, ma anche dal soffio della grazia e dal vincolo della carità. Di essi è scritto: "II Signore conosce quelli che sono i suoi" (2 Tm 2,19). Gli uomini possono congetturare chi siano gli appartenenti a questa schiera di buoni, non già saperlo con sicurezza. Quindi non si deve credere che Cristo abbia voluto alludere a questa parte della Chiesa quando ci ha rimesso alla Chiesa, ordinandoci di ubbidire alla medesima (Mt 18,17). Essendo sconosciuta, come potrebbe uno esser certo a qual giudice debba ricorrere e a quale autorità debba ubbidire? La Chiesa abbraccia i buoni e i cattivi, come attestano la Sacra Scrittura e gli scritti dei santi Padri. Questo volle intendere l'Apostolo scrivendo: "Un solo corpo, un solo spirito" (Ef 4,4).
Questa Chiesa è manifesta e visibile e viene paragonata a una città posta sopra un monte, che si vede dappertutto; poiché, dovendo tutti ubbidirle, è necessario conoscerla. E abbraccia non solo i buoni ma anche i cattivi, come molte parabole del Vangelo c'insegnano; per esempio là dove il regno dei cicli, cioè la Chiesa militante, è paragonato alla rete che si getta nel mare o al campo in cui viene soprasseminato il loglio (Mt 13,47.24); o all'aia in cui si ammucchiano frumento e pula (Le 3,17); o alle dieci vergini, metà fatue e metà savie (Mt 15,1.2). Si deve vedere una figura e un'immagine della Chiesa anche nell'antica arca di Noè (Gn 7), dov'erano chiusi non solo gli animali mondi, ma anche gli immondi. E sebbene la fede cattolica affermi con verità e costanza che alla Chiesa appartengono i buoni e i cattivi, bisogna tuttavia spiegare ai fedeli che, secondo le medesime norme di fede, è ben diversa la condizione di entrambi. I cattivi sono compresi nella Chiesa come la pula sta insieme con il frumento sull'aia o come le membra guaste restano congiunte al corpo vivo.

27                Chi è escluso dalla Chiesa

109 Segue da ciò che solo tre categorie di uomini sono escluse dalla Chiesa: gli infedeli, gli eretici e scismatici, gli scomunicati. Gli infedeli, perché non sono mai entrati nella Chiesa, mai l'hanno conosciuta, ne mai sono stati fatti partecipi dei sacramenti nella comunione del popolo cristiano. Gli eretici e gli scismatici, perché si sono separati dalla Chiesa e non appartengono più alla medesima, come i disertori non appartengono più all'esercito da cui sono fuggiti. Non si deve però ritenere che essi non soggiacciano alla potestà della Chiesa, che li chiama in giudizio, li punisce e li anatematizza. Gli scomunicati, infine, perché, essendo stati esclusi dalla Chiesa in seguito a un giudizio della medesima, non appartengono più a essa, fino a resipiscenza. Quanto agli altri uomini, pur peccatori e scellerati, è certo che essi continuano a essere nella Chiesa. E questo lo si deve ricordare spesso ai fedeli, affinché essi siano ben persuasi che anche quando la vita di certi prelati della Chiesa fosse viziosa, costoro sono sempre nella Chiesa, ne resta diminuita la loro potestà.

28                Vari significati del termine "chiesa"

110 Con il nome di chiesa si sogliono anche designare le varie parti della Chiesa universale, come fa l'Apostolo quando nomina le chiese di Corinto (1 Cor 1,2), della Galazia (Gal 1,2), di Laodicea (Col 4,16), di Tessalonica (1 Ts 1,1). Talora chiama chiesa anche le private famiglie dei fedeli, come quando dice di salutare la chiesa domestica di Prisca e di Aquila (Rm 16,4): "Vi salutano nel Signore grandemente Aquila e Priscilla con la loro chiesa domestica" (1 Cor 16,19); e la stessa parola adopera scrivendo a Filemone (Fm 1,2).
Talora il vocabolo chiesa designa i suoi capi e pastori: "Se non ti ascolta, dillo alla Chiesa" (Mt 18,17); volendo intendere qui i capi della Chiesa. Si dice chiesa anche il luogo ove il popolo si aduna per la predica o altra funzione religiosa (1 Cor 11,18). Ma in questo articolo per Chiesa s'intende principalmente il popolo cristiano composto di buoni e di cattivi e non solo coloro che sono a capo, ma anche quelli che devono ubbidire.

29                Note caratteristiche della Chiesa

111 SANTA, CATTOLICA. Si spieghino ai fedeli le proprietà di questa Chiesa, dalle quali si rileva quanto sia grande il beneficio di Dio verso coloro che in essa nascono e sono educati.

30                Unità della Chiesa

112 La prima proprietà ricordata nel Simbolo dei Padri [niceni] è l'unità. Sta scritto: "Una è la mia colomba, una è la mia bella" (Ct 6,8). Una così grande moltitudine di uomini, diffusa per ogni dove, è detta una per i motivi elencati dall'Apostolo agli Efesini: "Uno è il Signore, una la fede, uno il Battesimo" (Ef 4,5). Uno è anche il suo capo e moderatore: quello invisibile è Cristo nostro Signore che l'eterno Padre ha costituito capo di tutta la Chiesa, suo mistico corpo (Ef 1,22), e quello visibile che siede sulla cattedra di Roma, quale successore legittimo di Pietro, principe degli Apostoli.
Unanime fu il consenso dei Padri nel ritenere necessario questo capo visibile, per costituire e conservare l'unità della Chiesa. San Girolamo lo vide chiaramente e ne scrisse in questi termini contro Gioviniano: "Uno solo viene eletto affinchè, costituito il capo, sia tolta ogni occasione di scisma" (1 Adv. lovin., 1, 26). E a Damaso: "Taccia l'invidia, receda l'ambizione della romana dignità; io parlo con il successore del Pescatore, con il discepolo della croce. Io non seguo altri che Cristo come primo duce: ma mi unisco in comunione con la tua Beatitudine, cioè con la cattedra di Pietro, sapendo che su questa pietra è stata edificata la Chiesa. Chiunque mangerà l'agnello fuori di questa casa è un estraneo; chiunque non starà nell'arca di Noè, perirà nelle acque del diluvio" (Epist., 15, 2). Molto tempo prima avevano detto la stessa cosa Ireneo (Adv. haereses, 3, 3) e  Cipriano, il quale ultimo, parlando dell'unità della Chiesa, scrive: "II Signore dice a Pietro: "Io, o Pietro, dico a tè che tu sei Pietro e sopra questa pietra edificherò la mia Chiesa". Edifica la Chiesa sopra uno solo e, sebbene attribuisca a tutti gli Apostoli, dopo la risurrezione, uguale potestà e dica: "Come il Padre ha mandato me, cosi io mando voi; ricevete lo Spirito Santo", pure, volendo far manifesta l'unità, dispose con la sua autorità che l'origine di detta unità derivasse da uno solo" (Cipriano, De cath. Eccl. unitate, 4).
Ottato di Milevi scrive: "Non ti può scusar l'ignoranza, sapendo bene che in Roma, a Pietro per primo, fu data la cattedra episcopale sulla quale sedette il capo di tutti gli Apostoli, affinché tutti conservassero in lui solo l'unità della sede e i singoli Apostoli non estollessero ciascuno la propria. Perciò è scismatico e prevaricatore chi contro quest'unica cattedra ne colloca un'altra" (Ottato, Contro Parmen., 2, 2). Anche san Basilio scrive: "Pietro è stato collocato nel fondamento. Egli aveva detto: "Tu sei il Cristo figlio del Dio vivente" e in cambio aveva udito di dover essere la pietra; non però nella stessa maniera di Cristo. Cristo è la pietra veramente immobile; Pietro è immobile per virtù di quella. Gesù elargisce agli altri le sue dignità; è sacerdote e fa i sacerdoti; è pietra e costituisce la pietra: così elargisce ai suoi servi le cose sue" (Basilio, Hom. [falsamente ascritta] De paenit., 4). Infine sant'Ambrogio afferma: "Pietro è anteposto a tutti, perché solo fra tutti confessa [la divinità di Cristo]" (sant'Ambrogio, Exp. evang. sec. Lucam, 10, 175).
Se uno obietta che la Chiesa, paga dell'unico capo e sposo Gesù Cristo, non ne debba cercare un altro, la risposta è pronta. Gesù Cristo è non solo l'autore, ma ancora l'interiore ministro dei singoli sacramenti; perché è lui che battezza e che assolve; eppure ha istituito degli uomini come ministri esteriori dei sacramenti. Perciò ha preposto alla Chiesa, che egli regge con il suo intimo soffio, un uomo quale vicario e ministro della sua potestà. Una Chiesa visibile ha bisogno di un capo visibile: quindi il nostro Salvatore, dando a Pietro con solenni parole l'incarico di pascolare le sue pecore, lo ha costituito capo e pastore della grande famiglia dei fedeli, nel senso che il suo successore avesse la medesima potestà di reggere e governare tutta la Chiesa.
Del resto, scrive l'Apostolo ai Corinzi, "Uno e identico è lo spirito che infonde la grazia ai fedeli, come l'anima da vita alle membra del corpo" (1 Cor 12,11). E invitando quelli di Efeso a mantenere questa unità scrive: "Siate solleciti nel conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace: un solo corpo e un solo spirito" (Ef 4,3.4).
Come il corpo umano si compone di molte membra, tutte avvivate da una sola anima che da vista agli occhi, udito alle orecchie e agli altri sensi le rispettive virtù, così il corpo mistico di Cristo, la Chiesa, si compone di molti fedeli. Unica è anche la speranza, come ivi l'Apostolo testifica, alla quale siamo stati chiamati, poiché tutti speriamo la medesima cosa: la vita eterna e beata. Una è infine la fede che tutti devono ricevere e professare. "Non ci siano scismi tra voi" dice l'Apostolo (1 Cor 1,10), e uno pure è il Battesimo, che è il sacramento della fede cristiana.

31                Santità della Chiesa

113 La seconda proprietà della Chiesa è la santità, come insegna il principe degli Apostoli scrivendo: "Ma voi, stirpe eletta, gente santa" (1 Pt 2,9). È detta "santa", perché consacrata e dedicata a Dio, com'è consuetudine chiamare sante tutte le cose di questo genere, anche materiali, purché ordinate e destinate al culto divino, come per esempio, nell'antica Legge, i vasi sacri, le vesti, gli altari e anche i primogeniti che venivano dedicati all'Altissimo. Né deve recare meraviglia che la Chiesa sia detta santa, sebbene contenga molti peccatori, giacché i fedeli si chiamano santi, in quanto sono divenuti popolo di Dio e, mediante la fede e il Battesimo, si sono consacrati a Cristo, anche se poi peccano e non mantengono le promesse fatte. Allo stesso modo chi esercita un'arte è sempre chiamato artefice, anche se non osserva i precetti dell'arte sua. Perciò san Paolo chiama i fedeli di Corinto "santificati" e "santi" (1 Cor 1,2), sebbene sia noto che ve ne fossero taluni che egli acerbamente rimprovera come carnali e peggio (ibid. 3,1).
Santa è la Chiesa, perché congiunta come corpo al suo santissimo capo, che è Cristo nostro Signore, fonte di ogni santità, dal quale ci vengono i carismi dello Spirito Santo e le ricchezze della divina bontà. Molto efficacemente sant'Agostino, interpretando quelle parole del Profeta: "Proteggi l'anima mia perché sono santo", dice: "Osi pure il corpo mistico di Cristo, osi, come un solo uomo, gridare dagli estremi confini della terra e dire con il suo Capo e sotto il suo Capo: "Io sono santo" poiché ha ricevuto la grazia di santità, la grazia del Battesimo e della remissione dei peccati" (In Psalmos, 85, 2). E dopo poco aggiunge: "Se è vero che tutti i cristiani e i fedeli, battezzati in Cristo, hanno rivestito Cristo, come dice l'Apostolo: "Tutti voi che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo" (Gal 3,27); se è vero che son divenuti membra del suo corpo, eppure dicono di non esser santi, allora fanno ingiuria al Capo le cui membra sono sante".
Infine si aggiunga che solo la Chiesa possiede il culto legittimo del sacrificio e l'uso salutare dei sacramenti. Per essi, come per efficaci strumenti della grazia divina, Dio produce la vera santità, di guisa tale che i veramente santi non possono essere fuori di questa Chiesa. È chiaro dunque che la Chiesa è santa; e santa perché è il corpo di Cristo, da cui viene santificata e dal cui sangue viene lavata.

32                Cattolicità della Chiesa

114 Terza proprietà della Chiesa è il dirsi "cattolica" ossia "universale", epiteto che le conviene a buon diritto perché, come attesta sant'Agostino: "Da Oriente a Occidente si diffonde con lo splendore di un'unica fede" (Sermo, 242, 4). Essa non è, come le nazioni civili o le conventicole eretiche, ristretta nei confini di un regno o nell'ambito di una razza; ma abbraccia nel seno della sua carità tutti gli uomini: barbari o sciti, schiavi o liberi, maschi o femmine (Gai 3,28). Perciò sta scritto: "Ci hai ricomperati per Dio con il tuo sangue, da tutte le tribù e lingue e popoli e nazioni; e ci hai fatti regno per il nostro Dio" (Ap 5,9). David dice della Chiesa: "Chiedimi e ti darò in retaggio i popoli, in possesso le più lontane regioni" (Sai 2,8); e altrove: "Porrò Rahab e Babilonia tra coloro che mi han conosciuto" e "Ogni uomo è nato in essa" (Sai 86,4.5).
Del resto tutti i fedeli, da Adamo a oggi e da oggi alla fine del mondo, i quali professano la vera fede, appartengono alla medesima Chiesa, che è stata edificata sopra il fondamento degli Apostoli e dei Profeti. Tutti questi sono stati costituiti e fondati su quella pietra angolare che è Cristo, il quale delle due cose ne ha fatta una e ha annunciato la pace ai vicini e ai lontani (Ef 2,14-20). Si dice universale anche perché quanti vogliono conseguire la salute eterna devono aderire alla Chiesa, non diversamente da coloro che, per non perire nel diluvio, entrarono nell'arca.

33                Apostolicità della Chiesa

115 Questa pertanto è la norma più sicura per distinguere la vera Chiesa dalla falsa. Ma la verità della Chiesa si può riconoscere anche dall'origine che, per una grazia evidente, deriva dagli Apostoli. La verità della sua dottrina non è recente ne nata ora, ma trasmessa un tempo dagli Apostoli e disseminata poi per tutto il mondo. Segue da ciò che nessuno deve dubitare che le empie teorie degli eretici, contrarie alla dottrina della Chiesa predicata dal tempo degli Apostoli fino a oggi, si allontanano dalla fede della vera Chiesa.
Perciò, affinché tutti capissero quale fosse la Chiesa cattolica, per divina ispirazione i
Padri aggiunsero nel Simbolo l'epiteto di "apostolica". Infatti lo Spirito Santo che presiede alla Chiesa non la governa con altra sorta di ministri all'infuori di quelli apostolici. Questo Spirito fu prima donato agli Apostoli ed è poi sempre rimasto nella Chiesa, grazie all'infinita benignità di Dio. Ma come soltanto questa Chiesa non può errare nell'insegnare la disciplina della fede e dei costumi, perché governata dallo Spirito Santo, così tutte le altre, che si arrogano il nome di chiese, essendo guidate dallo spirito del demonio, devono necessariamente cadere in perniciosissimi errori di fede e di costumi.

34                Figure della Chiesa nel Vecchio Testamento

116 Le figure del Vecchio Testamento sono efficacissime per eccitare l'animo dei fedeli e per richiamare alla memoria bellissimi insegnamenti; per questo soprattutto gli Apostoli le hanno adoperate. I parroci non trascurino questa parte dell'insegnamento, che offre molte utilità. Un chiaro significato ha l'arca di Noè, che fu costruita per divino comando, solo perché nessun dubbio rimanesse circa il suo significato relativo alla Chiesa. Questa infatti Dio l'ha costituita in guisa tale che chiunque entra in essa attraverso il Battesimo rimane salvo da ogni pericolo di morte eterna; mentre quelli che ne sono fuori rimangono sommersi dai loro delitti: appunto come avvenne a quelli che non entrarono nell'arca. Altra figura è quella della grande città di Gerusalemme, il cui nome nella Scrittura designa spesso la Chiesa. In essa soltanto era lecito offrire sacrifici a Dio, perché nella sola Chiesa, e non fuori, si trova il vero culto e il vero sacrificio accetto a Dio.

35                La Chiesa stessa è oggetto di fede

117 Da ultimo bisogna insegnare in quale senso sia articolo di fede il credere la Chiesa. Certo, ognuno con l'intelligenza e con i sensi percepisce l'esistenza terrena della Chiesa, cioè l'esistenza di un'assemblea di uomini, addetti e consacrati a Gesù Cristo; né sembra vi sia bisogno della fede a capirlo, poiché nemmeno i Giudei o i Turchi lo pongono in dubbio. Ma soltanto la mente illuminata dalla fede, e non dietro considerazioni umane, può comprendere i misteri contenuti nella santa Chiesa di Dio, parte dei quali abbiamo già spiegato, parte vedremo poi, spiegando il sacramento dell'Ordine. Dunque se anche questo articolo, come gli altri, supera la facoltà e le forze della nostra intelligenza, a buon diritto professiamo di considerare la fondazione, gli uffici e la dignità della Chiesa, non con gli occhi dell'umana ragione, ma anche con quelli della fede.
Infatti non furono gli uomini i fondatori di questa Chiesa, ma lo stesso Dio immortale, che l'ha edificata sopra saldissima roccia, come disse il Profeta: "Lo stesso Altissimo l'ha fondata" (Sal 86,5). Perciò si chiama "eredità di Dio" (Sai 27,9), "popolo di Dio" (Os 2,1). La potestà che ha ricevuta non è umana, ma di attribuzione divina. E come non si può acquistare con le forze umane, così solo la fede ci fa intendere che nella Chiesa vi sono le chiavi del regno dei cieli (Mt 16,19); che essa ha ricevuto il potere di rimettere i peccati (Gv 20,23), di scomunicare (Mt 16,19), di consacrare il vero corpo di Cristo (Lc 22,19) e che i cittadini in essa dimoranti non hanno qui dimora stabile, ma ne vanno cercando una futura (Eb 13,14).
Bisogna pertanto credere necessariamente la Chiesa una, santa e cattolica. Noi crediamo nelle tre Persone della Trinità, Padre, Figliolo e Spirito Santo, in guisa tale da collocare in essi tutta la nostra fede. Ma qui, mutando il modo di dire, professiamo di credere "la santa Chiesa", e non "nella santa Chiesa"; questo per distinguere, anche con la diversità della frase, Dio creatore dell'universo dalle cose create e per attribuire a un dono della sua bontà gli immensi benefici che sono stati conferiti alla Chiesa.

36                In che consista la "comunione dei santi"

118 LA COMUNIONE DEI SANTI. San Giovanni Evangelista, scrivendo ai fedeli intorno ai misteri divini, da questa ragione del suo insegnamento: "Affinché voi pure abbiate società con noi e la nostra società sia con il Padre e con il Figliolo di lui, Gesù Cristo" (1 Gv 1,3). Questa società consiste nella comunione dei santi, oggetto del presente articolo. Sarebbe davvero desiderabile che i responsabili delle chiese imitassero la diligenza di Paolo e degli altri Apostoli nello spiegare questo articolo, che non solo è come un'interpretazione del precedente ed è fecondo di frutti assai ubertosi, ma anche chiarisce qual uso debba farsi dei misteri contenuti nel Simbolo. Noi dobbiamo investigarli e accettarli appunto per esser ammessi nella grandiosa e beata società dei santi e una  volta ammessi perseverarvi costantemente, rendendo grazie con gaudio a Dio Padre, che ci ha fatti degni di partecipare alla sorte dei santi nella luce (Col 1,12).
Anzitutto si dovrà insegnare ai fedeli che il presente articolo è come una spiegazione di quello precedente intorno alla Chiesa, una, santa e cattolica; poiché l'unità di spirito da cui è retta fa sì che sia comune tutto quanto essa possiede. Il frutto di tutti i sacramenti appartiene a tutti i fedeli, i quali con essi, come per mezzo di catene, vengono legati e uniti a Cristo: soprattutto con il Battesimo, per il quale, come attraverso una porta, entrano nella Chiesa.
Che questa comunione dei santi indichi quella dei sacramenti, è manifesto dalle parole del Simbolo: "Confesso un solo Battesimo". Seguono a questo, prima l'Eucaristia, poi tutti gli altri sacramenti. Infatti sebbene il nome di "comunione" convenga a tutti i sacramenti, in quanto ci congiungono a Dio e ci fanno partecipi di lui, la cui grazia riceviamo, pure si appropria meglio all'Eucaristia, la quale attua questa comunione.

37                La comunione dei santi illustrata dall'esempio del corpo umano

119 Nella Chiesa c'è da considerare anche un'altra comunione. Tutto quanto viene praticato con devota e santa mente da uno, appartiene a tutti e a tutti giova, in virtù della carità, che non cerca il proprio vantaggio (1 Cor 13,5). Lo prova la testimonianza di sant'Ambrogio, il quale commentando quel passo del salmo: "Io sono il compagno di quelli che ti temono", osserva: "Come diciamo che un membro è partecipe di tutto il corpo, così diciamo che ciascuno è unito a tutti gli altri che temono il Signore. Perciò Gesù Cristo prescrivendo la formula di preghiera ci fece dire: "il nostro pane" e non "il mio pane" e così via; affinché considerassimo non soltanto il nostro bene individuale, ma quello di tutti" (Exp. de Psalmo, 118, 8, 54).
La comunione dei beni viene spesso illustrata nella Sacra Scrittura con l'appropriata similitudine delle membra del corpo umano. Nel corpo vi son molte membra, che tuttavia formano un solo corpo, nel quale ciascuno compie l'ufficio proprio, non tutti il medesimo. Dette membra non hanno uguale dignità ne compiono funzioni ugualmente utili e decorose, e ciascuna bada non al comodo proprio ma all'utilità di tutto il corpo. E sono congiunte così bene tra loro che, se ne duole una, soffrono anche le altre, per una certa affinità e consenso di natura; mentre se gode, provano anche le altre membra un senso di benessere. Il medesimo si verifica nella Chiesa. Anche in lei vi sono membra diverse, cioè le varie nazioni di giudei e di gentili, liberi e schiavi, poveri e ricchi; ma, una volta ricevuto il Battesimo, diventano un solo corpo, con Cristo per capo. Inoltre a ognuno nella Chiesa è assegnato il suo ufficio. Vi sono alcuni Apostoli, altri Dottori, costituiti tali per la pubblica utilità; ad alcuni spetta il governare e l'insegnare, ad altri l'obbedire e l'essere soggetti.

38                Quali membri della Chiesa godono dei suoi beni spirituali

120 Coloro che vivono una vita cristiana nella carità godono tanti e preziosi doni e benefici divini e sono giusti e cari a Dio. Mentre le membra morte, cioè gli uomini peccatori e lontani dalla grazia di Dio, pur non venendo privati del beneficio di essere membra del corpo della Chiesa, non percepiscono, perché morti, quel frutto spirituale di cui godono gli uomini giusti e pii. Nondimeno, restando sempre nella Chiesa, vengono aiutati da coloro che vivono secondo lo spirito, perché possano ricuperare la grazia e la vita perduta, cogliendo quei frutti di cui restano privi coloro che sono del tutto separati dalla Chiesa.
E sono comuni non soltanto quei doni che rendono gli uomini cari a Dio e giusti, ma anche le grazie cosiddette gratis date, tra cui si annoverano la scienza, la profezia, il dono delle lingue e dei miracoli e simili: doni che sono concessi anche ai cattivi per motivo non di utilità privata ma pubblica, a edificazione della Chiesa. Infatti la virtù delle guarigioni è concessa non a beneficio di chi la possiede, ma per chi è malato.
Del resto l'individuo veramente cristiano nulla possiede di così strettamente suo che non lo debba ritenere in comune con gli altri. Quindi deve essere pronto a sollevare la miseria dei poveri, essendo chiaro che non possiede la carità di Dio chi, fornito di sostanze, non aiuta il fratello che vede nel bisogno (1 Gv 3,17). Così stando le cose, è evidente che quelli i quali vivono in questa santa comunione sono in certo modo felici e possono a buon diritto esclamare: "Quanto sono amabili le tue tende, o Signore degli eserciti! L'anima mia sospira e sviene negli atri del Signore" e ancora: "Beati coloro che abitano nella tua casa, o Signore" (Sal 83, 2.3.5).

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