Parte quarta -orazione- : Padre Nostro VI e VII domanda



1.1              Sesta domanda


E NON C'INDURRE IN TENTAZIONE

II pericolo di ricadere nel peccato dopo averne ottenuta la remissione
410 Proprio quando i figli di Dio hanno ottenuto la remissione dei peccati e, accesi dallo zelo di consacrarsi al culto e alla venerazione di Dio, desiderano il regno celeste, tributando alla potenza divina tutti i doveri della devozione, e completamente dipendono dalla sua volontà e dalla sua provvidenza, non v'è dubbio che proprio allora più che mai il nemico del genere umano escogiti nuove arti contro di loro. Egli impiega tutti i mezzi per vincerli, in modo che c'è veramente da temere che essi, scosso e cambiato il proposito, ricadano ancora nei vizi e diventino più cattivi di prima. Di essi a buon diritto si può dire la frase del principe degli Apostoli: "Oh, meglio sarebbe stato per loro non conoscere la via della giustizia, anziché, conosciutala, rivolgersi indietro dal santo comandamento loro tramandato" (2 Pt 2,21).
Perciò da Cristo nostro Signore ci è stata prescritta questa domanda, affinché ogni giorno ci raccomandiamo a Dio e imploriamo la sua paterna attenzione e il suo appoggio, certissimi che, perduta la protezione divina, resteremmo impigliati nelle reti del nostro scaltrissimo nemico. Ne soltanto in questa preghiera ci ha ordinato di chiedere a Dio che non ci lasci indurre in tentazione, ma anche nel discorso che tenne davanti agli Apostoli, già vicino alla morte, quando, avendo loro detto che essi erano puri (Gv 13,10), li ammonì su questo loro dovere: "Pregate per non cadere in tentazione" (Mt 26,41).
Questo avvertimento, due volte ripetuto da Cristo Signore, impone grande obbligo di diligenza ai parroci nell'incitare il popolo fedele all'uso frequente di questa petizione, perché tutti, fra tanti pericoli preparati a ogni ora dal demonio agli uomini, chiedano assiduamente a Dio, che solo può scongiurarli: "Non ci indurre in tentazione".
Il popolo fedele capirà quanto esso abbia bisogno dell'aiuto di Dio, purché si ricordi della propria debolezza e ignoranza e ricordi il detto di nostro Signore Gesù Cristo: "Lo spirito veramente è pronto, ma la carne è debole" (Mt 26,41). Pensi quanto siano gravi ed esiziali le cadute degli uomini, tentati dal demonio, se non sono sostenuti dall'aiuto della destra di Dio.
Quale fu esempio della debolezza umana più clamoroso di quello del sacro coro degli Apostoli i quali, mentre poco prima erano animati da grande coraggio, al primo spavento fuggono e abbandonano il Salvatore? Ancora più noto è quello del principe degli Apostoli, che subito dopo così grande professione di singolare e coraggioso amore per Cristo Signore, avendo detto poco prima, pieno di fiducia nelle proprie forze: "Quand'anche dovessi morire con te, non ti rinnegherò" (Mt 26,35), preso poi da paura per le parole di una donnicciola, affermò con giuramento di non conoscere il Signore (ibid. 69). Purtroppo in lui le forze non corrispondevano a tanto ardore di spirito.
Ora, se gli uomini più santi peccarono per la debolezza della natura umana nella quale avevano confidato, che cosa non si dovrà temere per coloro che sono tanto lontani dalla loro santità?
Perciò i parroci espongano al popolo le battaglie e i pericoli nei quali continuamente incorriamo, per tutto il tempo che l'anima si trova in questo corpo mortale: da ogni parte ci assalgono la carne, il mondo e Satana. Chi è che non abbia sperimentato, a suo danno, quanto possano in noi l'ira e le passioni? Chi non s'è sentito pungere dai loro stimoli e non senta i loro aculei? Chi non si sente ardere del loro fuoco anche se soffocato? E tanto ne sono vari i colpi e così divisi gli assalti, che molto difficile riesce non ricevere qualche grave ferita. Oltre a questi nemici che risiedono e vivono in noi, ve ne sono altri acerrimi, dei quali sta scritto: "Non contro la carne e il sangue abbiamo da combattere, ma contro i principi e le potenze, contro i rettori di queste tenebre del mondo, contro gli spiriti maligni dell'aria" (Ef 6,12).

2                    Potenza dei demoni

411 Si aggiungono infatti alle lotte intime gli assalti esterni, gli urti dei demoni che ci assalgono apertamente, oppure penetrano nell'anima inavvertitamente, sicché a malapena ci possiamo guardare da essi. E "principi" li chiama l'Apostolo, per l'eccellenza della loro natura, eccellendo essi per natura sugli uomini e su tutte le cose create che cadono sotto i sensi; li chiama "potenze", perché superano gli uomini oltre che per la loro natura, anche per la forza; li nomina anche "rettori delle tenebre del mondo", poiché essi reggono non il mondo della luce, cioè i buoni e i pii, ma il mondo oscuro e tenebroso, ossia quelli che, resi ciechi dalla sordidezza di una vita piena di disordini e di delitti e dalle tenebre, amano lasciarsi guidare dall'angelo delle tenebre.
Infine l'Apostolo chiama i demoni "geni del male", poiché c'è il male dello spirito come c'è quello della carne. La cattiveria, o malizia carnale, attizza il desiderio alla lussuria e ai piaceri dei sensi. Malizia spirituale, invece, sono i cattivi desideri, le cupidigie prave che hanno attinenza con la parte superiore dell'anima: esse riescono tanto più vergognose delle altre, quanto la mente e la ragione sono più nobili ed alte. E poiché la malizia di Satana mira in modo speciale a privarci della celeste eredità, l'Apostolo aggiunge: "nell'aria". Da ciò si può arguire che grandi sono le forze dei nemici, invitto l'animo, feroce e infinito l'odio loro verso di noi; eternamente essi ci fanno guerra, sicché nessuna pace può darsi con loro e nessuna tregua.
Quanta audacia abbiano, lo dice nel Profeta la voce stessa di Satana: "Io salirò al cielo" (Is 14,13). Egli ha assalito i progenitori nel paradiso, aggredito i Profeti, cercato di afferrare gli Apostoli, per vagliarli come il grano, come dice il Signore nel Vangelo (Lc 22,31), e non ebbe ritegno nemmeno dinanzi a Cristo Signore.
La sua insaziabile cupidità e l'immensa sua ingegnosità sono espresse da san Pietro con le parole: "II diavolo, vostro avversario, vi gira intorno quale leone ruggente, cercando chi divorare" (1 Pt 5,8).
Né Satana è solo a tentare gli uomini, ma a volte i demoni riuniti fanno impeto contro ciascuno di noi, come confessò il demonio a Cristo Signore, che lo interrogava sul suo nome, rispondendo: "II mio nome è legione". Era cioè una moltitudine di demoni che lacerava quel disgraziato. Di un altro troviamo scritto: "Prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui e rientrano in lui" (Mt 12,45).
Vi sono molti però che, non sentendo gli urti e gli assalti dei demoni, credono che tutto ciò non sia vero. Non fa meraviglia che essi non siano assaliti dai demoni, ai quali si sono dati da sé: non ci sono in loro la pietà, la carità, nessuna virtù insomma degna di un cristiano. Ormai si trovano in potere completo del demonio, ne è necessario che siano assaliti da qualche tentazione, quando già nel loro animo egli ha preso dimora con il loro consenso. Ma quelli che si sono consacrati a Dio e sulla terra menano una vita degna di quella celeste, essi più di tutti sono presi di mira dagli assalti di Satana, che li odia con la massima ferocia e a essi ogni momento tende insidie.
La storia sacra è piena di esempi di uomini santi, d'animo risoluto, eppure pervertiti da lui con la violenza o con l'inganno. Adamo, David, Salomone e altri, che sarebbe difficile enumerare, hanno sperimentato la violenza degli assalti dei demoni e la loro scaltrezza, alle quali non si può resistere con il solo accorgimento o le forze umane. Chi si crederà dunque abbastanza sicuro fidando sulle sole sue forze? Chiediamo a Dio con devozione e puro sentimento che non ci lasci tentare al disopra del nostro potere e nella tentazione ci conceda il modo di uscirne con profitto (1 Cor 10,13).
Però se alcuni fedeli temono, per debolezza d'animo o per ignoranza, la forza dei demoni, si rassicurino e s'inducano, quando siano agitati dalle onde della tentazione, a rifugiarsi nel porto della preghiera. Satana, con tutta la sua potenza e il suo pertinace odio capitale per il genere umano, non può tentarci o travagliarci, ne quanto ne fino a quando vorrebbe, perché tutto il suo potere dipende dal volere e dalla permissione di Dio.
Notissimo è l'esempio di Giobbe, che Satana mai avrebbe potuto toccare, se Dio non gli avesse detto: "Ecco, tutto il suo avere è nelle tue mani" (Gb 1,12). Ma se il Signore non avesse aggiunto: "Soltanto su di lui non stendere la tua mano" (ibid.), con un solo colpo del diavolo Giobbe, i figli e le sue ricchezze, tutto sarebbe rovinato. Tanto è legata la forza dei demoni, che essi non avrebbero potuto invadere neppure quei porci, di cui parlano gli Evangelisti, senza il permesso di Dio (Mt 8,31; Mc 5,11; Lc 8,32).

3                    Che cosa sia la tentazione

412 Per capire il vero significato di questa domanda, bisogna determinare che cosa sia la tentazione e che cosa voglia dire essere indotti in tentazione.
Si dice tentare il fare un esperimento sopra colui che è tentato, in modo che, cavando da lui ciò che desideriamo, otteniamo la verità; modo di tentare che Dio non usa, perché che cosa non sa Dio? Tutto, infatti, è nudo e scoperto ai suoi occhi (Eb 4,13). V’è poi un altro modo di tentare, quando andando più oltre, si cerca di esercitare qualche cosa in bene o in male: in bene, quando si mette alla prova la virtù di uno per poterlo poi, esaminata e constatata la sua virtù, elevare con ricompense e onori e mettere così il suo esempio dinanzi agli occhi degli altri perché lo imitino, incitando tutti a renderne lode al Signore. È questo l'unico modo di tentare che convenga a Dio.
Esempio di esso si trova nel Deuteronomio: "II Signore Iddio vi mette alla prova per chiarire se lo amiate o no" (13,3). Così si dice che Dio mette in tentazione i suoi fedeli, quando li preme con miseria, malattie, o altre specie di calamità, per mettere in luce la loro pazienza e additare agli altri il dovere del cristiano. In questo modo leggiamo che fu tentato Abramo quando gli fu richiesto di immolare il figlio ed egli, avendo ubbidito, restò ai posteri modello di sottomissione e di pazienza singolare (Gn 22,1).
Sempre in quest'ordine di idee è detto di Tobia: "Poiché eri accetto a Dio, fu necessario che la tentazione ti mettesse alla prova" (Tb 12,13).
In male, invece, sono tentati gli uomini, quando vengono spinti al peccato o alla morte; questa è opera del demonio che tenta gli uomini per traviarli e farli cadere: perciò è detto "tentatore" nella Sacra Scrittura (Mt 4,3). In queste tentazioni egli eccita ora gli stimoli interni, servendosi dei sentimenti e dei movimenti dell'animo come di mezzi; ora, invece, assale dall'esterno, adoperando i beni per insuperbirci e i mali per abbatterci; a volte ha come emissari e quasi spie uomini perduti, in prima linea gli eretici che, seduti sulla cattedra di pestilenza, diffondono i germi mortiferi delle cattive dottrine.
Cosi spingono al male gli uomini che, essendo già di per sé proclivi al male, sono poi sempre vacillanti e pronti a cadere, mancando loro il potere di distinguere e di scegliere tra virtù e vizio.

4                    Essere indotti in tentazione significa soccombere alla tentazione

413 Diciamo di essere indotti in tentazione, quando cediamo alla medesima. Ora noi possiamo esservi indotti così in due modi: primo, quando, rimossi dal nostro stato, precipitiamo nel male, verso il quale qualcuno ci ha spinto con il tentarci. Ma nessuno è in questo modo indotto in tentazione da Dio, perché per nessuno Dio è causa di peccato, odiando egli tutti quelli che commettono iniquità (Sai 5,7). È quanto dice san Giacomo: "Nessuno, tentato che sia, dica di essere tentato da Dio; poiché Dio non è tentatore al male" (1,13); secondo, possiamo essere tentati nel senso che uno, sebbene non tenti egli stesso ne si adoperi a farci tentare, tuttavia lo permette, mentre potrebbe impedire sia la tentazione che il prevalere di essa. Ebbene, Dio lascia che così siano tentati i buoni e i pii, senza privarli però della sua grazia.
Talvolta anzi, quando i nostri peccati lo richiedono, con giusta e impenetrabile sentenza, Dio ci abbandona a noi stessi e noi cadiamo. Si dice anche che ci induce in tentazione quando ci serviamo dei suoi benefici, che dovevano servire alla nostra salvezza, per operare il male e consumiamo le sostanze del padre, come il figlio prodigo, in una vita lussuriosa, secondando le nostre basse passioni (Lc 15,12). Allora possiamo ripetere le parole dell'Apostolo: "Trovai che il comandamento datomi per la vita mi ha condotto alla morte" (Rm 7,10).
Giunge qui opportuno l'esempio di Gerusalemme che, come dice Ezechiele, sebbene arricchita da Dio di ogni genere d'ornamenti, tanto da farle dire per bocca dello stesso Profeta: "Eri perfetta nella mia dignità, di cui ti avevo rivestito" (Ez 16,14), tuttavia, pur essendo ricolma di doni celesti, fu così lontana dal ringraziare il beneficentissimo Dio dei beni suddetti e dal servirsi di essi per conseguire la beatitudine celeste in vista della quale li aveva ricevuti che, con somma ingratitudine verso Iddio, avendo rigettato ogni speranza e pensiero dei frutti celesti, si diede perdutamente all'esclusivo godimento dei beni presenti, come Ezechiele la rimprovera lungamente in quel medesimo capitolo. Questa è l'ingratitudine di coloro che, pur avendo ottenuto da Dio abbondante materia per fare del bene, si danno, permettendolo Dio, a una vita viziosa.
È necessario però badare alle parole usate dalla Sacra Scrittura per esprimere questa permissione di Dio, parole le quali, prese nel loro significato proprio, significherebbero un'azione diretta da parte di Dio medesimo. Così nell'Esodo si legge: "Io indurirò il cuore del faraone" (Es 4,21; 7,3); in Isaia: "Acceca il cuore di questo popolo" (Is 6,10) e nella lettera ai Romani l'Apostolo scrive: "Dio li ha abbandonati alle loro infami passioni, ai loro reprobi sensi" (Rm 1,26.28). Tutti luoghi questi, e altri simili, nei quali non si deve credere affatto che l'azione venga da Dio, ma intendere invece che Dio l'ha permessa.

5                    Noi non chiediamo di essere immuni da tentazione

414 Chiarito questo, non riuscirà difficile conoscere qual è l'oggetto di questa preghiera. Anzitutto, noi non chiediamo di non essere tentati affatto. Infatti, la vita dell'uomo sulla terra è tentazione (Gb 7,1). Del resto questa è utile al genere umano, poiché nella prova noi veniamo a una vera conoscenza di noi stessi e delle nostre forze, perciò ci umiliamo sotto la potente mano di Dio (1 Pt 5,6) e, combattendo virilmente, aspettiamo l'incorruttibile corona di gloria (ibid. 4). Poiché anche il lottatore dello stadio non è incoronato se non ha lottato a dovere (2 Tm 2,5). San Giacomo afferma: "Beato l'uomo che sopporta la tentazione, poiché dopo essere stato messo alla prova, riceverà la corona della vita che Dio ha promesso a quelli che lo amano" (1,12). Che se qualche volta siamo troppo tormentati dalle tentazioni dei nostri nemici, di grande sollievo sarà il pensare che nostro difensore è un Sommo Sacerdote, il quale tutti può compatire, essendo stato tentato lui stesso in ogni cosa (Eb 4,15).
Ma che cosa dunque chiediamo con queste parole? Chiediamo di non essere privati dell'aiuto divino, così da acconsentire alla tentazione per inganno, o da cederle per viltà; chiediamo che la grazia di Dio ci soccorra, sì da rianimare e rinfrancare contro il male le nostre forze fiaccate. Perciò da una parte dobbiamo sempre implorare il soccorso di Dio in qualunque tentazione, dall'altra, nei casi singoli di afflizione, occorre cercar rifugio nella preghiera.
Così leggiamo che fece sempre David per qualsiasi genere di tentazione. Contro la menzogna egli così pregava: "Non ritirare affatto dalla mia bocca la parola della verità" (Sal 118,43) e contro l'avarizia: "Inchina il mio cuore ai tuoi insegnamenti e non ad avarizia" (ibid. 36); contro le vanità della vita e le lusinghe del desiderio: "Storna il mio sguardo, che non veda la vanità" (ibid. 37). Noi dunque domandiamo di non informare la nostra vita ai bassi desideri, di non stancarci nel resistere alle tentazioni, di non abbandonare la via del Signore, di conservare animo eguale e costante nella fortuna favorevole o avversa e che Dio mai ci lasci privi della sua tutela. Chiediamo quindi che ci faccia schiacciare Satana sotto i nostri piedi.

6                    Necessità della fiducia in Dio

415 Ai parroci rimane ora il compito di esortare il popolo fedele a meditare le cose che in questa domanda meritano maggiore attenzione.
Ottimo argomento sarà la grande infermità dell'uomo, compresa la quale impariamo a diffidare delle nostre forze, cosicché, riponendo nella misericordia divina ogni nostra speranza di salvezza, conserveremo forte il nostro animo anche nei più grandi pericoli, soprattutto se pensiamo a quanti Dio salvò dalle fauci di Satana, per aver mantenuto questa speranza e fermezza d'animo. Non fu lui a liberare dal massimo pericolo Giuseppe, alle prese con le brame ardenti d'una donna impudica e a innalzarlo agli onori? (Gn 39,7). Non fu lui a conservare incolume Susanna, assediata dai ministri di Satana e già sul punto di venir giustiziata per nefande accuse? (Dn 13). Ne v'è da meravigliarsi: "II suo cuore infatti nutriva fiducia in Dio" (ibid. 35). Grande è l'onore e la gloria di Giobbe che trionfò del mondo, della carne e di Satana. Molti sono gli esempi del genere, con i quali il parroco può confortare il popolo pio alla speranza e alla fiducia.
Pensino anche i fedeli quale capo essi abbiano nelle tentazioni dei nemici: il Signore Gesù Cristo, il quale in questa lotta ha riportato la vittoria. Egli ha vinto il demonio. Egli è colui che, affrontando il forte armato fu più forte di lui, lo vinse, ne portò via tutta l'armatura e ne divise le spoglie (Lc 11,22). Per la sua vittoria, riportata sul mondo, è detto in san Giovanni: "Abbiate fiducia, io ho vinto il mondo" (16,33) e nell'Apocalisse è chiamato il leone vincente, che riuscì vincitore per vincere ancora (5,5; 6,2); in questa sua vittoria si fonda la capacità da lui data ai suoi fedeli di vincere. La lettera dell'Apostolo agli Ebrei è piena del racconto di vittorie di uomini santi, i quali per mezzo della fede vinsero regni, chiusero la bocca ai leoni, ecc. (Eb 11,33).
Da questi grandi fatti che leggiamo, dobbiamo ben comprendere quali vittorie riportino ogni giorno gli uomini pieni di fede, di speranza e di carità, nelle lotte contro i demoni, tanto interne che esterne. Esse sono tante e così insigni, che se tutte potessero cadere sotto il nostro sguardo, diremmo che nel mondo non ci sono fatti più frequenti e più gloriosi di esse. Della sconfitta di questi nostri nemici dice san Giovanni: "Scrivo per voi, giovani, perché siete forti e la parola di Dio rimane in voi e avete vinto il maligno" (1 Gv 2,14).
Si vince dunque Satana, non con l'ozio, con il sonno, con il vino, o con le gozzoviglie e la libidine, ma con la preghiera, il lavoro, le veglie, l'astinenza, la continenza e la castità. Sta scritto: "Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione" (Mt 26,41). Coloro che queste armi adoperano in tale battaglia volgono in fuga gli avversari e il diavolo fugge da coloro che gli resistono (Gc 4,7).
Nelle vittorie ricordate dei santi, nessuno tuttavia s'insuperbisca tanto da confidare di poter con le sole sue forze sostenere le tentazioni e gli assalti dei demoni; non sta in noi il potere di vincere; non sta nella fragilità umana, ma ciò è proprio soltanto della potenza di Dio. Le forze con le quali atterriamo i satelliti di Satana ci sono date da Dio che fa delle nostre braccia come un arco di bronzo (Sal 17,35); per il suo beneficio l'arco dei forti è spezzato e i deboli si cingono di forza (1 Sam 2,4); egli protegge la nostra salvezza (Sal 17,36) e la sua destra ci sostiene (Sal 62,9); ammaestra le nostre mani alla battaglia, le dita nostre alla guerra (Sal 143,1).
A Dio soltanto si devono rendere grazie, poiché solo per suo impulso e per il suo appoggio possiamo vincere, come fece l'Apostolo là dove dice: "Grazie a Dio, che ha dato a noi la vittoria, per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo" (1 Cor 15,57). E la celeste voce dell'Apocalisse proclama lui solo autore della vittoria: "È compiuta la salvezza, la virtù, il regno del nostro Dio e il potere di Cristo, poiché è stato precipitato l'accusatore dei nostri fratelli ed essi l'hanno vinto con il sangue dell'Agnello" (12,10.11).
Lo stesso libro attesta la vittoria di Cristo sul mondo e sulla carne là dove dice: "Essi combatteranno contro l'Agnello e l'Agnello li vincerà" (Ap 17,14). Ciò basti sulla causa e sul modo di vincere.

7                    Premi della vittoria

416 Esposta tutta questa dottrina, i parroci parleranno al popolo fedele delle corone preparate da Dio e della grandezza eterna dei premi destinati ai vincitori, attingendone le testimonianze dall'Apocalisse: "II vincitore non sarà colpito dalla seconda morte" (2,11). "Il vincitore sarà vestito di bianche vesti e non cancellerò il suo nome dal libro della vita; dirò il suo nome davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli" (3,5). Poco più avanti Dio stesso nostro Signore così dice a Giovanni: "II vincitore lo farò colonna del tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più" (Ap 3,12). E ancora: "II vincitore lo farò sedere con me nel mio trono, come anch'io ho vinto e mi son seduto con il Padre mio nel suo trono" (Ap 3,21). Avendo infine esposto la gloria dei santi e gli eterni beni di cui godono in cielo, aggiunge: "Chi sarà vittorioso erediterà questi beni" (Ap 21,7).

7.1              Settima domanda


MA LIBERACI DAL MALE

Questa domanda è il compendio delle altre
417 Questa richiesta, l'ultima con la quale il Figlio di Dio ha posto fine alla sua divina Preghiera, comprende tutte le altre. Per dimostrarne il valore e l'efficacia egli si servì di questa formula quando, in procinto di morire, invocò da Dio Padre la salvezza degli uomini: "Ti prego che tu li guardi dal male" (Gv 17,15). Con questa preghiera, dunque, che ci ingiunse di fare e confermò con l'esempio, egli quasi ha compendiato in breve sommario il valore e lo spirito delle domande precedenti. Una volta ottenuto ciò che si domanda in essa, secondo san Cipriano, "Nulla rimane da domandare; chiesta e impetrata contro il male la protezione di Dio, stiamo senza timore e in perfetta sicurezza contro tutti i mezzi che il demonio o il mondo mettono in opera" (De dom. Orat., 27). Perciò essendo essa così importante, come abbiamo detto, il parroco nello spiegarla ai fedeli usi grande diligenza.
Differisce questa domanda dalla precedente, perché con la prima chiediamo di poter evitare la colpa, con questa invece di essere liberati dalla pena; ragion per cui non sarà necessario dimostrare ai fedeli quanto essi vengano travagliati nelle avversità e nelle disgrazie e come abbiano bisogno dell'aiuto del cielo, poiché nessuno c'è che non abbia capito per sua o altrui esperienza a quanti e a quanto grandi mali sia esposta la vita umana. Inoltre, gli autori sacri e i profani hanno largamente trattato questo argomento; tutti ne sono convinti dall'esempio tramandateci della pazienza di Giobbe: "L'uomo nato di donna, vivendo poco tempo, è pieno di travagli. Quasi fiore, si innalza ed è calpestato; è come l'ombra che fugge e mai sosta nel suo stato" (Gb 14,1). Non passa giorno che non s'avverta un nuovo dolore o un nuovo incomodo; lo attesta la stessa parola di Cristo Signore: "A ciascun giorno basta la sua pena" (Mt 6,34). Anzi questa condizione della vita umana è implicita in quel monito del Signore che ci dichiara la necessità di prendere ogni giorno la croce e di seguirlo (Lc 9.23).
Come dunque ognuno sente quanto sia penosa e pericolosa questa vita, così sarà facile persuadere il popolo fedele della necessità di implorare da Dio la liberazione dai mali; tanto più che da nulla sono così spinti gli uomini alla preghiera, come dal desiderio e dalla speranza di essere liberati dai malanni che soffrono o che li minacciano.
Infatti è disposizione innata dell'anima umana di cercare subito rifugio nell'aiuto in Dio nella disgrazia. Perciò sta scritto: "Copri la loro faccia di ignominia e cercheranno il nome tuo, Signore" (Sal 82,17).

8                    Modo giusto di chiedere

418 Ma se gli uomini spontaneamente invocano Dio nei pericoli e nelle disgrazie, quelli alla cui fede e saggezza è affidata la salute comune hanno il compito di istruirli sul modo di pregare ordinatamente. Non mancano, infatti, quelli che pregano seguendo un ordine tutto a rovescio di quello stabilito da nostro Signore Gesù Cristo. Chi ci ha ordinato di rifugiarci in lui nei giorni della sventura (Sal 49,15), nello stesso tempo ha prescritto l'ordine della Preghiera e volle che noi, prima di pregarlo di liberarci dal male, chiediamo che sia santificato il nome di Dio, che venga il suo regno e domandiamo poi tutte quelle cose, per le quali, come per gradi, si arriva a questa.
Qualcuno invece, per un dolor di testa, al fianco o al piede, oppure per rovesci di fortuna, minacce o pericoli preparati dal nemico, oppure nella fame, in guerra, nella pestilenza, omette tutti quei gradi intermedi della preghiera e chiede soltanto di essere sottratto a quei mali.
Questo però è contro il precetto di Cristo: "Cercate in primo luogo il regno di Dio" (Mt 6,33). Pertanto coloro che pregano ordinatamente, quando domandano l'allontanamento delle calamità, delle sofferenze, dei mali, tutto riferiscono alla gloria di Dio.
Così David alla preghiera: "O Signore, non giudicarmi nella tua collera" aggiunge un pensiero con il quale mostra il suo zelo per la gloria di Dio: "Non v'è chi nella morte si possa ricordare di te e chi ti esalterà sottoterra?" (Sal 6,2.6). Pregando Iddio di usargli misericordia, soggiunge: "Insegnerò ai cattivi i tuoi sentieri e gli empi si convertiranno a te" (Sal 50,3.15).
Così i fedeli ascoltatori vengano incitati non solo a pregare in quest'ordine salutare e a seguire l'esempio del Profeta, ma siano anche istruiti sulla grande differenza tra le preghiere del cristiano e quelle degli infedeli. Questi pure chiedono con calore a Dio di guarire dalle malattie e dalle ferite e di sottrarsi ai mali che li sovrastano, ma ripongono la principale speranza della liberazione nei rimedi preparati dalla natura o dalle mani dell'uomo; anzi, prendono la medicina da chiunque, anche se è preparata con incantesimi, venefici, o con il soccorso dei demoni. E lo fanno senza scrupolo, purché venga loro data qualche speranza di salute.
Ben diverso da questo è il modo di fare dei cristiani, i quali nelle malattie e nelle avversità ricercano in Dio il supremo rifugio, la difesa della loro salute, riconoscendo e venerando lui solo autore d'ogni bene e loro liberatore. Essi stimano che certamente da Dio proviene alle medicine la virtù risanatrice, ma che esse riescono salutari ai malati solo in quanto Dio lo vuole. Infatti da Dio è data agli uomini qualsiasi medicina che li sani. Si legge nel Siracide: "L'Altissimo ha creato dalla terra le medicine e il saggio non le
disdegnerà" (Sir 38,4).
Pertanto quelli che hanno dato a Gesù Cristo il loro nome, non ripongono in quei rimedi la suprema speranza di guarire dalla malattia, ma confidano grandemente nell'autore stesso delle medicine. Giustamente nelle Sacre Scritture sono ripresi quelli che, fiduciosi nell'efficacia della medicina, non chiedono a Dio nessun aiuto (2 Cr 16,12; Ger 46,11). Invece quelli che vivono conformandosi in tutto alla Legge divina, si astengono da quei rimedi che non risultino ordinati da Dio alla guarigione (Lv 20,6; 1 Sam 28,7). Anche se a loro sia manifesta la probabile guarigione proveniente dall'uso di quei rimedi, tuttavia li aborriscono, come malie e arti magiche del demonio.
Bisogna dunque esortare i fedeli a riporre la loro fiducia in Dio, poiché il nostro beneficentissimo Genitore ha ordinato di chiedere a lui la liberazione dai mali, perché appunto in questo stesso ordine che ci ha dato, troviamo una ragione per sperare di essere esauditi. Molti sono gli esempi di questa verità nella Sacra Scrittura, perché anche coloro che non vengono indotti a bene sperare da queste ragioni, lo siano almeno dal loro numero.
Ricchissime prove del soccorso divino ci s'affacciano alla memoria: Abramo, Giacobbe, Lot, Giuseppe, David; e sono tanti nelle Sacre Scritture del Nuovo Testamento quelli strappati ai più grandi pericoli dalla virtù di questa devota preghiera, da essere inutile il ricordarli. Basterà questo detto del Profeta, per rassicurare anche il più debole: "I giusti hanno gridato e il Signore li ha esauditi e li ha liberati da ogni tribolazione" (Sal 33,18).

9                    Che genere di liberazione dobbiamo chiedere

419 Perché i fedeli capiscano il valore e lo spirito di questa domanda, si spieghi loro che non preghiamo di essere liberati da tutti i mali, poiché ci sono cose credute generalmente mali che invece sono utili a chi le patisce, come quello stimolo inflitto all'Apostolo, affinché potesse rendere più perfetta, con l'aiuto di Dio, la sua virtù nella debolezza (2 Cor 12,7.9). Se l'efficacia di queste cose viene conosciuta, i giusti le accoglieranno con sommo piacere, piuttosto che chiedere di esserne liberati. Perciò noi qui deprechiamo soltanto quei mali che non possono arrecare all'anima nessun vantaggio, non già gli altri, se deve derivarne qualche frutto salutare.
Questa preghiera, dunque, intende chiedere che, come noi siamo stati liberati dal peccato e dal pericolo della tentazione, lo siamo anche dai mali interni ed esterni; che siamo immuni dall'acqua, dal fuoco, dalle folgori; che la grandine non rechi danno alle messi, né ci angustino la carestia, le sedizioni, le guerre. Chiediamo inoltre a Dio che tenga lontane da noi le malattie, la peste, il saccheggio, le catene, il carcere, l'esilio, i tradimenti, gli agguati e ci eviti tutti gli altri mali, per i quali specialmente la vita umana suole svolgersi nel terrore e nell'affanno, ed elimini le cause di atti disonorevoli e di delitti.
Ne solo invochiamo che siano lontani da noi quelli che sono mah per consenso generale, ma domandiamo anche che quelle cose che quasi da tutti sono ritenute come beni, quali le ricchezze, gli onori, la salute, la forza, la vita stessa, non siano volte al male e alla morte dell'anima nostra. Preghiamo anche Dio di non esser vittime di morte improvvisa, di non provocare su di noi la sua collera, di non incorrere nei supplizi che sovrastano gli empi, di non essere avvolti nel fuoco del Purgatorio, dal quale invochiamo devotamente e piamente che gli altri pure siano liberati. Insomma la Chiesa interpreta, tanto nella Messa quanto nelle Litanie, questa Preghiera, nel senso che da noi vengano tenuti lontani i mali passati, presenti e futuri.
La bontà di Dio ci libera dal male non in un solo modo, ma trattiene le tante sventure che ci sovrastano, come leggiamo aver salvato il grande Giacobbe dai nemici che l'uccisione dei Sichimiti aveva eccitati contro di lui. E scritto infatti: "II terrore di Dio invase tutte le città d'intorno e non osarono inseguire quelli che si ritiravano" (Gn 35,5).
Così tutti quelli che in cielo regnano con Cristo Signore sono stati liberati da ogni male per opera di Dio e se egli non vuole che noi, viventi ancora in questo pellegrinaggio, siamo sciolti da qualunque affanno, ci sottrae però a non pochi di essi, quantunque siano quasi una liberazione dai mali le consolazioni che Dio da a volte ai colpiti dalla sventura. Di queste si consolava il Profeta dicendo: "Secondo la moltitudine dei miei dolori nel mio cuore, le tue consolazioni hanno allietato l'anima mia" (Sal 93,19). Dio inoltre libera gli uomini dal male quando, versando essi in grandissimo pericolo, li conserva integri e incolumi, come accadde a quei fanciulli gettati nella fornace ardente e a Daniele: questi non fu affatto toccato dai leoni (Dn 6,22) né quelli dalle fiamme (Dn 3,21).

10                Il male dal quale chiediamo di essere liberati è specialmente il demonio

420 Malvagio in modo speciale è il demonio, secondo san Basilio Magno, san Giovanni Crisostomo e sant'Agostino, perché istigatore della colpa degli uomini, cioè del delitto e del peccato. Dio si serve anche di lui come di suo ministro per far scontare le pene agli scellerati e facinorosi; poiché da Dio vengono agli uomini tutti i mali che soffrono a causa dei loro peccati. In questo senso si esprimono le Sacre Scritture: "Potrà esserci nella città un male che Dio non abbia mandato?" (Am 3,6).
"Io sono il Signore, io non un altro, che formo la luce e creo le tenebre, faccio la pace e creo il male" (Is 45,6.7). Ma il demonio è chiamato "cattivo" anche per questo: sebbene noi non gli abbiamo fatto alcun male, tuttavia ci fa perpetua guerra e ci perseguita senza tregua con odio mortale. Che se egli non può nuocere a noi, muniti come siamo di fede e d'innocenza, tuttavia mai pone fine alle sue tentazioni con mali esterni e con qualunque altro mezzo nocivo; perciò preghiamo Dio di liberarci dal male.
Diciamo dal male, non dai mali, perché appunto quei mali che ci vengono dal prossimo li attribuiamo al demonio come al vero autore e incitatore di essi. Perciò non dobbiamo andare in collera contro il prossimo, ma rivolgere tutto l'odio e l'ira contro Satana, dal quale gli uomini sono spinti a offenderci. Se pertanto il prossimo ti offenderà in qualsiasi modo, nelle tue preghiere a Dio Padre chiedigli che non solo ti liberi dal male, ossia dalle offese che il prossimo ti avrà fatte, ma anche che strappi questo tuo stesso prossimo dalle mani del demonio, per la cui istigazione gli uomini sono indotti al male.

11                Come sopportare i mali

421 Si deve poi notare che se noi in seguito a preghiere e a voti non siamo liberati dal male, abbiamo il dovere di sopportarlo con pazienza, certi di renderci graditi a Dio tollerandolo. È male quindi sdegnarci o dolerci che Dio non esaudisca le nostre preghiere; tutto si deve attribuire alla sua volontà, pensando che sia utile e salutare solo ciò che a Dio piace, non quello che a noi sembra bene.
Si devono infine esortare i buoni fedeli a rassegnarsi alla necessità di sopportare, nel breve corso della vita terrena, le contrarietà o le sventure di qualsiasi genere con animo non solo sereno, ma lieto: "Poiché tutti quelli che vogliono santamente vivere in Gesù Cristo soffriranno persecuzione" (2 Tm 3,12). Ancora la Scrittura afferma: "Per via di molte tribolazioni dobbiamo arrivare al regno di Dio" (At 15,21).
"Non doveva forse il Cristo patire tali cose e cosi entrare nella sua gloria?" (Lc 24,26). Sarebbe ingiusto che il servo fosse più favorito del padrone, come è vergognoso, secondo san Bernardo, che vi siano membra delicate sotto un capo coronato di spine (Sermo de omn. sanct., 5, 9). Insigne esempio, raccomandato all'imitazione, è quello di Uria che, alle esortazioni di David di restare in casa, disse: "L'arca di Dio e Giuda e Israele abitano sotto le tende e io entrerò nella mia casa? " (2 Sam 11,11).
Se con tali pensieri e meditazioni noi andiamo a pregare, otterremo che, sebbene cinti da ogni parte di minacce e attorniati di mali, resteremo inviolati come i tre fanciulli rimasti intatti nel fuoco e certamente potremo sopportare con energia e costanza le avversità, come i Maccabei. Nelle offese e nei travagli imitiamo i santi Apostoli che, anche fustigati con verghe, si rallegravano di essere stati fatti degni di soffrire oltraggi per Gesù Cristo. Così disposti, potremo cantare con grande letizia dell'animo: "I principi mi hanno perseguitato senza ragione, ma solo le tue parole ispirano timore al mio cuore. Io mi rallegrerò delle tue parole, come colui che ha trovato grandi tesori" (Sal 118,161).

Conclusione della Preghiera domenicale

11.1          AMEN

12                 

13                Grande importanza di una devota chiusura della Preghiera

422 La parola Amen giustamente è detta da san Girolamo nei suoi Commentari il sigillo della Preghiera domenicale (Comm. in Evang. Matthei, 1, 6, 13), perciò, avendo prima insegnato ai fedeli la preparazione che si deve fare prima di incominciare la preghiera, così pensiamo di dover illustrare la ragione e il significato di questa conclusione finale dell'Orazione stessa; essendo non meno necessario terminare bene la preghiera a Dio di quello che sia il cominciarla con diligenza.
Sappia dunque il popolo fedele che molti e sostanziosi sono i frutti che possiamo ricavare dalla fine della Preghiera domenicale, ma il frutto più ricco e più piacevole è pur sempre l'ottenere quello che abbiamo chiesto e di cui abbastanza si è detto qui sopra.
Con questa ultima parte dell'Orazione non solo otteniamo l'esaudimento delle nostre preghiere, ma altri beni grandi e belli che appena è possibile spiegare a parole. Quando nella preghiera gli uomini parlano con Dio, dice san Cipriano (De dom. Orat; 31), avviene in un modo quasi inesplicabile che la maestà divina sia molto più vicina a chi prega che agli altri e l'adorna di doni singolari, in modo che quelli che pregano Dio con devozione si possono paragonare a quelli che si avvicinano al fuoco; se hanno freddo, si riscaldano, se sono caldi, ardono. Così quelli che si avvicinano a Dio ne vengono più infervorati secondo la loro fede e devozione, il loro animo è infiammato alla gloria di Dio, lo spirito s'illumina mirabilmente e sono ricolmati di doni divini.
Questo ci è stato svelato dalla Sacra Scrittura: "L'hai prevenuto con le benedizioni della grazia" (Sai 20,4). Di esempio a tutti è il grande Mosè che, partitesi da Dio dopo aver avuto un colloquio con lui, brillava così di luce divina che gli Israeliti non potevano guardare i suoi occhi e la sua faccia (Es 34,35). Senza dubbio coloro che pregano con veemente ardore godono mirabilmente della misericordia e della maestà divina: "Fin dalla mattina mi fermerò a guardarti, poiché tu non sei un Dio che vuole l'iniquità" (Sal 5,5), ha detto il Profeta. Quanto più gli uomini conoscono queste cose, con tanto maggior ardore e più profonda devozione lo venerano; con gran piacere sentono quanto Iddio sia soave e come veramente siano beati quelli che sperano in lui (Sal 33,9); circonfusi da quella splendente luce, vedono bene la loro piccolezza e tutta la maestà di Dio. Ecco infatti l'assioma di sant'Agostino: "Che io conosca te e conosca me" (Solil., 2, 1). Avviene quindi che, non fidando più nelle proprie forze, tutti si affidino alla bontà divina, non dubitando affatto che egli, abbracciandoli tutti nella sua paterna carità, provvederà abbondantemente quanto è necessario alla loro vita e salute. Così renderanno a Dio le più pure grazie del loro animo e quante ne possano esprimere le labbra, come leggiamo aver fatto David che, avendo incominciato la preghiera con le parole: "Salvami da tutti quelli che mi perseguitano", termina esclamando: "Glorificherò il Signore secondo la sua giustizia e canterò le lodi del suo nome sublime" (Sal 7,2.18).
Sono innumerevoli le preghiere di questo genere fatte dai santi, che, cominciando con espressioni di grande timore, terminano poi piene di buona speranza e di letizia. Hanno un meraviglioso splendore in questo senso quelle dello stesso David il quale, avendo così cominciato a pregare con l'animo pieno di paura: "Molti si levano contro di me; molti dicono all'anima mia: "Non v'è salute per lui nel suo Dio"", rassicurato poi e compenetrato di gaudio, aggiunge: "Non temerò le migliaia di uomini che mi circondano" (Sal 3,2.3.7). In un altro salmo piange la sua miseria, ma, gettando subito tutta la sua fiducia in Dio, s'allieta in modo incredibile nella speranza di eterna felicità: "Io dormirò in pace e in pace mi riposerò" (Sal 4,9). E quando esclamava: "Signore, non mi castigare nella tua collera, non mi castigare nella tua ira", con quanto terrore e pallore di volto lo doveva dire! Invece, con grande fiducia e letizia d'animo prorompe nelle parole che seguono: "State lontani da me, voi tutti che operate l'iniquità; poiché Dio ha esaudito la voce del mio pianto" (Sal 6,2.9). Temendo l'ira e il furore di Saul, con quanta dimessa umiltà implorava l'aiuto di Dio! "Dio, nel tuo nome salvami; giudicami nella tua virtù"; tuttavia, lieto e fidente, soggiunge nello stesso salmo: "Ecco, Dio mi aiuta, il Signore è l'appoggio dell'anima mia" (Sal 53,3.6).
Perciò chi va alla preghiera munito di fede e di speranza, si presenti a Dio come al padre, non dubitando di ottenere ciò che gli è necessario.

14                Con la parola "Amen" si esprime il desiderio che la preghiera venga esaudita

423 Nella parola "Amen", ultima della preghiera, si trovano molte cose, quasi seme dei pensieri e delle riflessioni da noi esposti. Così spesso ricorreva sulle labbra del Salvatore questa parola ebraica, che piacque allo Spirito Santo di conservarla nella Chiesa di Dio. A essa si da in sostanza questo significato: "Sappi che le tue preghiere sono esaudite". Ha infatti valore e significato, come di una risposta di Dio, che licenzia con buona grazia colui che, con la preghiera, ha impetrato ciò che voleva. Tale significato è stato riconosciuto sempre dalla consuetudine della Chiesa di Dio, la quale, nel sacrificio della Messa, quando si recita la Preghiera domenicale, non attribuì l'incarico di dire "Amen" ai ministri inferiori ai quali tocca di dire: "Liberaci dal male", ma lo riservò allo stesso sacerdote, il quale, come interprete tra Dio e gli uomini, risponde al popolo che Dio è placato.
Però questo rito non è generale per tutte le preghiere, poiché nelle altre sono i ministri che rispondono "Amen", ma è caratteristico della Preghiera domenicale. Infatti nelle altre si esprime un consenso o un desiderio; in questa, invece, la risposta che Dio ha acconsentito al desiderio del fedele che lo ha pregato.

15                Significato della parola

424 Da molti è interpretata variamente la parola "Amen". I Settanta la tradussero: "così sia"; altri: "veramente"; Aquila lo traduce: "fedelmente". Ma poco importa che si traduca in questo o in quel modo, purché intendiamo con essa ciò che dicemmo. E il sacerdote che ci assicura esserci concesso l'oggetto della domanda e questo significato è accettato dall'Apostolo nella sua lettera ai Corinzi: "In realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute sì. Per questo, sempre attraverso lui, sale a Dio il nostro "Amen" per la sua gloria" (2 Cor 1,20). Si appropria al nostro caso questa parola che racchiude la conferma delle nostre richieste; essa fa stare attenti quelli che pregano, poiché spesso avviene che gli uomini, distratti durante la preghiera da vari pensieri, passino ad altro. Con questa parola anzi chiediamo con grande sollecitudine che avvengano, cioè che siano concesse, le cose domandate, o meglio, pensando di aver già ottenuto tutto e sentendo in noi presente la forza dell'aiuto divino, cantiamo con il Profeta: "Ecco Dio mi aiuta; Dio è l'appoggio dell'anima mia" (Sai 53,6). Non è infatti da dubitare che Dio non si lasci commuovere dal nome del Figlio suo e da quella parola di cui egli si serviva così spesso; poiché sempre, come dice l'Apostolo, "Lo ha esaudito per la sua riverenza".
"Suo è il regno, suo è il potere e l'impero nei secoli dei secoli" (1 Pt 4,11).

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